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Stop alle porte girevoli per accedere alla dirigenza pubblica negli enti locali

Stop alle porte girevoli per accedere alla dirigenza pubblica negli enti locali
Stop alle porte girevoli per accedere alla dirigenza pubblica negli enti locali

Dopo la stangata ricevuta dall’Agenzia delle Entrate che, anche attraverso un compiacente legislatore statale proiettato ad introdurre nell’ordinamento meccanismi di laissez-faire, si è vista stoppare dalla Corte Costituzionale le diffuse promozioni a Dirigente pubblico di dipendenti sprovvisti di tale status, anche il comparto Regione-enti locali viene preso di mira dal Giudice delle leggi. Con la recentissima Sentenza n. 180 del 23 luglio scorso, la Corte Costituzionale stigmatizza l’operato legislativo della Regione Basilicata finalizzato, tra l’altro, ad attribuire, nelle more dell’espletamento dei concorsi pubblici per l’accesso alla qualifica dirigenziale, le funzioni dirigenziali a dipendenti di ruolo dell’Amministrazione regionale appartenenti alla categoria D3 del comparto Regioni-enti locali in possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale, previo espletamento di apposite procedure selettive, stabilendo altresì, che al dipendente incaricato spetti, per la durata dell’attribuzione delle funzioni, il trattamento tabellare già in godimento e il trattamento accessorio del personale con la qualifica dirigenziale. La Corte Costituzionale, ancora una volta, è costretta ad affermare che l’assegnazione, ancorché temporanea, di personale ad altre mansioni (nella specie di rango dirigenziale) non soddisfa i requisiti prescritti dal Testo Unico del Pubblico Impiego (e del relativo contratto collettivo), delineando il conferimento di funzioni corrispondenti ad una diversa “carriera” (quella dirigenziale appunto), piuttosto che di mansioni superiori come disciplinate dall’articolo 52, comma 5, del medesimo Testo Unico. Dello stesso tenore sarà sicuramente il verdetto della Corte Costituzionale chiamato, mediante impugnativa del Governo centrale, ad annullare la Legge n. 24/2014 della Regione Sardegna che ammette la temporaneamente l’attribuzione delle funzioni di direttore di servizio a dipendenti in possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale.

Nella P.A., l’accesso alla procedura selettiva può anche essere condizionato al possesso di requisiti fissati dalla legge, allo scopo di consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nell’ambito dell’amministrazione, purché l’assunzione non escluda, o irragionevolmente riduca attraverso norme di privilegio, le possibilità di accesso per tutti gli altri aspiranti, con violazione del carattere del concorso (tra le tante, Corte Costituzionale, Sentenza n. 213/2010). 

Pertanto, al pari dell’Agenzia delle Entrate, anche gli Enti locali sono tenuti ad osservare il disposto dell’articolo 24 del Decreto Legislativo n. 150/2009, a mente del quale le Amministrazioni Pubbliche, con decorrenza dall’1 gennaio 2010, devono coprire i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al 50% a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni. In applicazione del citato art. 24, invero, l’Istituto avrebbe dovuto consentire la partecipazione concorsuale anche ai soggetti esterni, atteso che, nell’ipotesi in cui la selezione sia bandita per un unico posto, va garantita la partecipazione sia dei concorrenti interni che di quelli esterni in ossequio alla previsione secondo cui il numero dei posti riservati ai concorrenti interni non può mai superare il 50% dei posti messi a concorso. In assenza di distinzioni operate dalla legge, dette regole sono applicabili in genere anche alle ipotesi di assunzioni con contratti a termine (Cassazione Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 529/2010). È stato affermato che, in ogni caso, qualsiasi contratto di lavoro a tempo determinato o di co.co.co. con la P.A. deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale in forza dei noti principi costituzionali (Corte Conti, Sezione di contr. Lombardia, parere n. 37/2008). Invero, la Corte Costituzionale, con il richiamato pronunciamento n. 37/2015, nel censurare l’illegittimità delle procedure riservate ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate per accedere alla dirigenza pubblica ha evidenziato che “I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione (Sentenze n. 217/2012, n. 149 e 150/2010, 293/2009 e 453/1990)”.

D’altronde, la stessa Corte Suprema di Cassazione più volte, in passato, ha confermato che “nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato il conferimento di mansioni dirigenziali ad un funzionario direttivo è illegittimo” (ex pluirimis, Cassazione Civile, Sezione Lavoro: n. 13597 dell’11/06/2009, n. 8529 del 12/04/2006, n. 10027 del 27/04/2007 ecc…).

In tale contesto, non sfugge quanto recentemente affermato dal TAR Lazio n. 3670/2015 in ordine alla necessità di dare priorità alle esperienze professionali interne prima di procedere all’affidamento di incarichi dirigenziali all’esterno, ma in quella circostanza i funzionari direttivi interni erano stati esclusi da una partecipazione alla copertura di postazioni dirigenziali, al contrario, riservata ai soli esterni. Qui non si discute della partecipazione dei funzionari direttivi interni ma degli aspiranti esterni ai quali vengono chiuse, illegittimamente, le porte della dirigenza pubblica.

A questo punto ci chiediamo quale altro organo di giustizia deve pronunciarsi per ottenere il ripristino di quel minimo di legalità all’interno del comparto enti locali, che ancora oggi contempla la presenza di circa 2000 dirigenti a contratto attraverso un uso distorto dell’art. 110 del TUEL visto che, finalmente, con il Decreto legge n. 90/2014 è stata superata la disciplina degli incarichi dirigenziali con contratto a tempo determinato prevista dall’articolo 19, comma 6-quater, del T.U. sul P.I., interamente modificato, e attualmente riferito agli enti di ricerca e non più agli enti locali.   

Dopo la stangata ricevuta dall’Agenzia delle Entrate che, anche attraverso un compiacente legislatore statale proiettato ad introdurre nell’ordinamento meccanismi di laissez-faire, si è vista stoppare dalla Corte Costituzionale le diffuse promozioni a Dirigente pubblico di dipendenti sprovvisti di tale status, anche il comparto Regione-enti locali viene preso di mira dal Giudice delle leggi. Con la recentissima Sentenza n. 180 del 23 luglio scorso, la Corte Costituzionale stigmatizza l’operato legislativo della Regione Basilicata finalizzato, tra l’altro, ad attribuire, nelle more dell’espletamento dei concorsi pubblici per l’accesso alla qualifica dirigenziale, le funzioni dirigenziali a dipendenti di ruolo dell’Amministrazione regionale appartenenti alla categoria D3 del comparto Regioni-enti locali in possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale, previo espletamento di apposite procedure selettive, stabilendo altresì, che al dipendente incaricato spetti, per la durata dell’attribuzione delle funzioni, il trattamento tabellare già in godimento e il trattamento accessorio del personale con la qualifica dirigenziale. La Corte Costituzionale, ancora una volta, è costretta ad affermare che l’assegnazione, ancorché temporanea, di personale ad altre mansioni (nella specie di rango dirigenziale) non soddisfa i requisiti prescritti dal Testo Unico del Pubblico Impiego (e del relativo contratto collettivo), delineando il conferimento di funzioni corrispondenti ad una diversa “carriera” (quella dirigenziale appunto), piuttosto che di mansioni superiori come disciplinate dall’articolo 52, comma 5, del medesimo Testo Unico. Dello stesso tenore sarà sicuramente il verdetto della Corte Costituzionale chiamato, mediante impugnativa del Governo centrale, ad annullare la Legge n. 24/2014 della Regione Sardegna che ammette la temporaneamente l’attribuzione delle funzioni di direttore di servizio a dipendenti in possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale.

Nella P.A., l’accesso alla procedura selettiva può anche essere condizionato al possesso di requisiti fissati dalla legge, allo scopo di consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nell’ambito dell’amministrazione, purché l’assunzione non escluda, o irragionevolmente riduca attraverso norme di privilegio, le possibilità di accesso per tutti gli altri aspiranti, con violazione del carattere del concorso (tra le tante, Corte Costituzionale, Sentenza n. 213/2010). 

Pertanto, al pari dell’Agenzia delle Entrate, anche gli Enti locali sono tenuti ad osservare il disposto dell’articolo 24 del Decreto Legislativo n. 150/2009, a mente del quale le Amministrazioni Pubbliche, con decorrenza dall’1 gennaio 2010, devono coprire i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al 50% a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni. In applicazione del citato art. 24, invero, l’Istituto avrebbe dovuto consentire la partecipazione concorsuale anche ai soggetti esterni, atteso che, nell’ipotesi in cui la selezione sia bandita per un unico posto, va garantita la partecipazione sia dei concorrenti interni che di quelli esterni in ossequio alla previsione secondo cui il numero dei posti riservati ai concorrenti interni non può mai superare il 50% dei posti messi a concorso. In assenza di distinzioni operate dalla legge, dette regole sono applicabili in genere anche alle ipotesi di assunzioni con contratti a termine (Cassazione Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 529/2010). È stato affermato che, in ogni caso, qualsiasi contratto di lavoro a tempo determinato o di co.co.co. con la P.A. deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale in forza dei noti principi costituzionali (Corte Conti, Sezione di contr. Lombardia, parere n. 37/2008). Invero, la Corte Costituzionale, con il richiamato pronunciamento n. 37/2015, nel censurare l’illegittimità delle procedure riservate ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate per accedere alla dirigenza pubblica ha evidenziato che “I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione (Sentenze n. 217/2012, n. 149 e 150/2010, 293/2009 e 453/1990)”.

D’altronde, la stessa Corte Suprema di Cassazione più volte, in passato, ha confermato che “nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato il conferimento di mansioni dirigenziali ad un funzionario direttivo è illegittimo” (ex pluirimis, Cassazione Civile, Sezione Lavoro: n. 13597 dell’11/06/2009, n. 8529 del 12/04/2006, n. 10027 del 27/04/2007 ecc…).

In tale contesto, non sfugge quanto recentemente affermato dal TAR Lazio n. 3670/2015 in ordine alla necessità di dare priorità alle esperienze professionali interne prima di procedere all’affidamento di incarichi dirigenziali all’esterno, ma in quella circostanza i funzionari direttivi interni erano stati esclusi da una partecipazione alla copertura di postazioni dirigenziali, al contrario, riservata ai soli esterni. Qui non si discute della partecipazione dei funzionari direttivi interni ma degli aspiranti esterni ai quali vengono chiuse, illegittimamente, le porte della dirigenza pubblica.

A questo punto ci chiediamo quale altro organo di giustizia deve pronunciarsi per ottenere il ripristino di quel minimo di legalità all’interno del comparto enti locali, che ancora oggi contempla la presenza di circa 2000 dirigenti a contratto attraverso un uso distorto dell’art. 110 del TUEL visto che, finalmente, con il Decreto legge n. 90/2014 è stata superata la disciplina degli incarichi dirigenziali con contratto a tempo determinato prevista dall’articolo 19, comma 6-quater, del T.U. sul P.I., interamente modificato, e attualmente riferito agli enti di ricerca e non più agli enti locali.