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Sulla legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare atti dell’Amministrazione di appartenenza

Nota a T.A.R. Campania - Napoli, Sentenza 8 stetembre 2006, n. 8013
La sentenza in commento affronta il problema della legittimazione a ricorrere da parte dei consiglieri comunali avverso le deliberazioni dell’Amministrazione di appartenenza.

L’approccio a tale tematica non può prescindere dall’esame della posizione giuridica che rivestono i consiglieri comunali in uno alla loro corrispondente veste sul piano processuale.

Orbene, per costante orientamento giurisprudenziale, condizione necessaria per poter accedere alla giustizia è la sussistenza di un interesse personale, diretto, concreto ed attuale.

Più in particolare, spostando l’attenzione nei confronti di un soggetto appartenente ad un organo collegiale, si assume che lo stesso presenti un interesse di tal genere ad impugnare delibere del consesso cui appartiene, ogni qual volta voglia far valere una lesione del proprio jus ad officium ( si c.f.r. T.A.R. Basilicata n. 191/1999), in quanto si lamenti di un pregiudizio in termini di autonomia, funzionalità e regolarità dell’attività collegiale ovvero di una violazione procedimentale attinente alla sua posizione quale componente del collegio.

Con la conseguenza che è inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto da un consigliere comunale nei confronti di una delibera del proprio consiglio allorché denunzi vizi attinenti al contenuto della delibera stessa (si c.f.r. T:A.R. Catanzaro n. 580/1997) e senza mostrare e dimostrare la lesione del suo munus.

Sicché i componenti del Consiglio comunale sono legittimati ad impugnare atti dell’amministrazione di appartenenza "che incidono direttamente sulla loro sfera giuridica o sulla posizione all’interno del consesso" (si c.f.r. T.A.R. Catanzaro n. 2638/2003), in quanto alcuna norma dà a d essi il potere di agire in giudizio a difesa della legalità che si assume violata, quale autonomo potere di azione popolare.

Orbene, la sentenza in commento prende le mosse dall’impugnazione da parte dei Consiglieri comunale dei Comune di Caserta di una delibera della Giunta della stessa Amministrazione con la quale era stata indetta una gara di appalto.

I ricorrenti, nella loro qualità di Consiglieri comunali, hanno chiesto l’annullamento della delibera per incompetenza della Giunta e l’arbitraria modifica, da parte della stessa, del modello di gestione stabilito con precedente delibera del Consiglio comunale.

I Giudici partenopei hanno respinto la domanda formulata dai ricorrenti, ritenendo il ricorso inammissibile per carenza di interesse. Fermo restando, ai fini dell’impugnazione, il requisito della lesione del diritto all’ufficio dei Consiglieri, così come da giurisprudenza pacifica, a dire del T.A.R. napoletano, nel caso di specie si è dinanzi ad un contrasto interorganico tra Consiglio e Giunta "che non riguarda in modo diretto i singoli componenti dei due Consessi di cui essi fanno parte", con l’intuibile conseguenza che il contrasto de quo non può essere risolto prescindendo dalla volontà dei singoli organi di amministrazione. La sentenza in commento affronta il problema della legittimazione a ricorrere da parte dei consiglieri comunali avverso le deliberazioni dell’Amministrazione di appartenenza.

L’approccio a tale tematica non può prescindere dall’esame della posizione giuridica che rivestono i consiglieri comunali in uno alla loro corrispondente veste sul piano processuale.

Orbene, per costante orientamento giurisprudenziale, condizione necessaria per poter accedere alla giustizia è la sussistenza di un interesse personale, diretto, concreto ed attuale.

Più in particolare, spostando l’attenzione nei confronti di un soggetto appartenente ad un organo collegiale, si assume che lo stesso presenti un interesse di tal genere ad impugnare delibere del consesso cui appartiene, ogni qual volta voglia far valere una lesione del proprio jus ad officium ( si c.f.r. T.A.R. Basilicata n. 191/1999), in quanto si lamenti di un pregiudizio in termini di autonomia, funzionalità e regolarità dell’attività collegiale ovvero di una violazione procedimentale attinente alla sua posizione quale componente del collegio.

Con la conseguenza che è inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto da un consigliere comunale nei confronti di una delibera del proprio consiglio allorché denunzi vizi attinenti al contenuto della delibera stessa (si c.f.r. T:A.R. Catanzaro n. 580/1997) e senza mostrare e dimostrare la lesione del suo munus.

Sicché i componenti del Consiglio comunale sono legittimati ad impugnare atti dell’amministrazione di appartenenza "che incidono direttamente sulla loro sfera giuridica o sulla posizione all’interno del consesso" (si c.f.r. T.A.R. Catanzaro n. 2638/2003), in quanto alcuna norma dà a d essi il potere di agire in giudizio a difesa della legalità che si assume violata, quale autonomo potere di azione popolare.

Orbene, la sentenza in commento prende le mosse dall’impugnazione da parte dei Consiglieri comunale dei Comune di Caserta di una delibera della Giunta della stessa Amministrazione con la quale era stata indetta una gara di appalto.

I ricorrenti, nella loro qualità di Consiglieri comunali, hanno chiesto l’annullamento della delibera per incompetenza della Giunta e l’arbitraria modifica, da parte della stessa, del modello di gestione stabilito con precedente delibera del Consiglio comunale.

I Giudici partenopei hanno respinto la domanda formulata dai ricorrenti, ritenendo il ricorso inammissibile per carenza di interesse. Fermo restando, ai fini dell’impugnazione, il requisito della lesione del diritto all’ufficio dei Consiglieri, così come da giurisprudenza pacifica, a dire del T.A.R. napoletano, nel caso di specie si è dinanzi ad un contrasto interorganico tra Consiglio e Giunta "che non riguarda in modo diretto i singoli componenti dei due Consessi di cui essi fanno parte", con l’intuibile conseguenza che il contrasto de quo non può essere risolto prescindendo dalla volontà dei singoli organi di amministrazione.