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Il conciliatore degli organismi di conciliazione di cui al Decreto Legislativo 5/2003

Per poter comprendere la figura del conciliatore di cui al d.lgs. n. 5/2003 occorre fare un piccolo passo indietro, al fine di comprendere la genesi della conciliazione di cui al citato d.lgs. 5/2003.

L’istituto della conciliazione non è sconosciuto al nostro ordinamento; lo ritroviamo all’interno del processo del lavoro, nonché, fra i tanti esempi, nella materia della subfornitura, nella materia del turismo, nonché del franchising.

Tuttavia, tali forme di conciliazione non sortiscono, quasi mai, gli effetti desiderati, concludendosi, quasi sempre, con un esito negativo e senza, perciò, alcun vantaggio effettivo per quanti vi si rivolgono.

Negli ultimi anni, però, il nostro ordinamento, al fine di tentare un allineamento con i Paesi europei - e non solo - che già da tempo utilizzano, con grandi risultati, le procedure conciliative, ha previsto un’importante novità, introducendo una conciliazione volontaria ma amministrata.

Si tratta, in pratica, della possibilità di devolvere la conciliazione ad organismi privati, purché assoggettati a forme di controllo da parte della pubblica amministrazione (e, più precisamente, da parte del Ministero della Giustizia), che assumono la veste di “organismi di conciliazione”.

Tale innovazione è stata avviata con la legge n. 366 del 3 ottobre 2001 "Delega al Governo per la riforma del diritto societario", che prevede la conciliazione delle controversie civili in materia societaria, anche dinanzi ad organismi istituiti da enti privati, che dessero garanzia di serietà ed efficienza e che fossero iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia.

Il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 "Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, emanato in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366", con gli articoli da 38 a 40, ha previsto l’istituzione degli organismi di conciliazione.

Ma chi sono gli organismi di conciliazione?

Gli organismi di conciliazione possono essere soggetti autonomi di diritto, sotto forma associativa ovvero societaria, sia di natura pubblica che privata.

Tuttavia, al fine di poter assolvere le funzioni previste dalla legge e al fine di garantire quel controllo da parte del Ministero della Giustizia di cui si è detto, gli organismi di conciliazione devono necessariamente ottenere l’iscrizione in un apposito registro tenuto proprio presso il Ministero della Giustizia e sottoposto alla vigilanza del “Responsabile del registro”.

Tale registro altro non è che un data base, nel quale sono individuati tutti gli organismi che, avendone fatto domanda corredata dei requisiti e degli allegati richiesti, siano stati iscritti nel registro e abbiano perciò la qualificazione a svolgere procedimenti idonei a produrre gli effetti di cui agli artt. 38-40 del d.lgs. 5/2003, ai sensi del d.m. 23 luglio 2004, n. 222, "Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5".

Anche le camere di commercio che, individualmente o in forma associata, abbiano istituito organismi di conciliazione hanno "diritto di ottenere l’iscrizione di tali organismi nel registro" (art. 38, co. 2 d.lgs. n.5/2003) "su semplice domanda" (art. 4, co. 2, d.m. 222/2004).

Tra i requisiti che devono possedere gli organismi di conciliazione, ai fini dell’iscrizione nel registro, la normativa in esame pone un forte accento sui requisiti soggettivi dei conciliatori.

L’art. 4, co. 3, lett. f del d.m. 222/2004 stabilisce che ciascun organismo di conciliazione deve dimostrare l’inserimento nella struttura organizzativa di almeno sette conciliatori, che abbiano dato esclusiva disponibilità al richiedente, tenendo, altresì, presente che ciascun conciliatore non può partecipare contemporaneamente a più di tre organismi di conciliazione (si cfr. art. 6, co. 2, del d.m. 222/2004).

I conciliatori sono necessariamente persone fisiche, che abbiano determinati requisiti di onorabilità; difatti, l’art. 4 del d.m. 222/2004 richiede il possesso, da parte dei conciliatori, dei seguenti requisiti:

a) non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche per contravvenzione;

b) non avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non inferiore a sei mesi;

c) non essere incorso nell’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici;

d) non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;

e) non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento.

Inoltre, sempre il d.m. 222/2004 prevede che la figura del conciliatore possa essere ricoperta soltanto da:

1 - un magistrato in quiescenza;

2 - un professore universitario di ruolo di materie giuridiche o economiche anche in quiescenza;

3 - un professionista iscritto in albi professionali di materie giuridiche o economiche da oltre 15 anni anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari;

4 - un laureato in materia giuridiche o economiche, ovvero un iscritto in albi professionali in materia giuridiche o economiche con anzianità inferiore ai 15 anni, purché abbia seguito con successo un corso specifico di formazione per conciliatori, che sia stato svolto in conformità a quanto prescritto dalla determinazione assunta dal  Responsabile del registro a norma dell’art. 10, co. 5, d.m. 222/2004.

In questo ultimo caso, perciò, ove si tratti di un iscritto ad un albo professionale da meno di 15 anni ovvero di un laureato in discipline giuridiche o economiche, anche con laurea triennale, la normativa in esame richiede un requisito ulteriore: per poter diventare conciliatore occorre necessariamente seguire un corso di formazione.

Ma, attenzione, non un qualsiasi corso!

E’ necessario che il corso sia tenuto da soggetti deputati a ciò idonei dal Ministero della Giustizia.

Il d.m. 222/2004 statuisce, all’art. 10, che “Il responsabile stabilisce i requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere i corsi di formazione previsti dall’articolo 4, comma 3, lettera d)”, per i conciliatori che non siano magistrati in quiescenza, professori universitari di ruolo, anche in quiescenza, in materie giuridiche o economiche o iscritti ad albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità di almeno 15 anni, anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari.

Lo stesso art. 10 del d.m. citato stabilisce “ … in via transitoria, e finché non si sia autonomamente determinata, il responsabile applica i criteri elaborati dall’Unione italiana delle CCIAA per il corso di conciliazione di livello base …”.

Si tratta dei requisiti elaborati dall’Unione italiana delle CCIAA nel maggio 2005, in quelli che venivano chiamati” Standard uniformi per la formazione di conciliatori per le camere di commercio”.

Tali criteri stabilivano una formazione dei conciliatori per un minimo di 32 ore di lezione, di cui almeno 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, per un numero massimo di 30 partecipanti.

E tali standard di formazione sono stati utilizzati, oltre che per i corsi di formazione tenuti dalle Camere di commercio, anche per quelli organizzati dai organismi privati, fino al 2006, allorché il Direttore Generale del Ministero della Giustizia ha emanato, in attuazione del citato art. 10 del d.m. 222/2004, il decreto del 24 luglio 2006, avente ad oggetto “Approvazione dei requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere corsi di formazione per l’iscrizione nel registro degli organismi di conciliazione”.

Tali requisiti hanno lo scopo di consentire, per un verso, alle strutture già esistenti di adeguare i propri standard formativi e, per altro verso, ai nuovi soggetti e/o enti formatori di poter strutturare l’attività di formazione secondo gli standard minimi.

Una lettura testuale del decreto citato sembra suggerire l’istituzione di una nuova figura professionale, quella, per l’appunto, del conciliatore degli organismi di conciliazione.

I requisiti indicati dal Ministero, difatti, ove strettamente applicati, consentono effettivamente ai partecipanti ai corsi di apprendere in maniera completa ed esaustiva le pratiche della conciliazione, in modo da garantire – e questo sembra il principale interesse del Ministero della giustizia – che chi sia diventato conciliatore sia effettivamente in grado di amministrare, con professionalità e competenza, una conciliazione.

Ma vediamo, nel dettaglio, quali sono i requisiti richiesti per l’accreditamento.

Il decreto del 24 luglio 2006 prevede l’attestazione di impegno a svolgere corsi di formazione per conciliatori, ciascuno per un numero massimo di 30 partecipanti, con le seguenti caratteristiche.

Il primo requisito attiene agli argomenti da trattare, con l’indicazione di un monte ore minimo da dedicare ad attività pratiche, e cioè:

- “almeno 32 ore di lezione, di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, con i seguenti contenuti minimi: strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione; principi, natura e funzione della conciliazione; esperienze internazionali e principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra conciliatore e Organismi di conciliazione; tecniche di conciliazione; la procedura di conciliazione; rapporti con la tutela contenziosa ;

- almeno 8 ore di lezione con i seguenti contenuti minimi: le controversie di cui all’art. 1 d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; i riti societari di cognizione ordinaria e sommaria”.

Quest’ultima indicazione di un monte ore dedicato alla conciliazione in materia societaria era d’obbligo, ove si consideri che la conciliazione amministrata nasce proprio per il diritto societario, pur potendo, poi, essere estesa (come d’altronde è stato) anche ad altre branche del diritto.

A tali criteri si aggiunge, poi, un requisito strutturale, consistente nella disponibilità, da parte dell’ente formatore, di strutture e locali idonei a consentire lo svolgimento dei corsi di formazione, nonché nell’attestazione di impegno a svolgere, a pena di decadenza dall’accreditamento, almeno 90 ore annuali dedicate all’attività di formazione dei conciliatori.

Non potevano mancare, a questo punto, dei requisiti specifici per i formatori.

Al punto 3) del decreto del 24 luglio 2006 si legge: " ... attestazione di disporre di almeno 3 formatori che siano in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori e che abbiano maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche".

Sicché, può essere formatore dei corsi sulla conciliazione :

1) un magistrato in quiescenza

2) un professore universitario di ruolo di materie giuridiche o economiche anche in quiescenza

3) un professionista iscritto in albi professionali di materie giuridiche o economiche da oltre 15 anni anche se successivamente cancellato per motivi non disciplinari

4) un laureato in materie giuridiche o economiche iscritto in albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità inferiore ai 15 anni, purché titolare di abilitazione conseguita a seguito della frequenza di un corso specifico di formazione per conciliatori.

Il dato normativo innovativo e fondamentale è che tutti i soggetti sopra indicati devono aver maturato un’esperienza, almeno triennale, quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche od economiche a dimostrazione che il legislatore, nell’ottica sopra evidenziata di formare una nuova figura professionale, sembra non fidarsi di chi abbia lo status di conciliatore senza avere alcuna esperienza nel campo della formazione.

L’esame della normativa sopra richiamata consente di affermare che effettivamente il legislatore ha voluto creare una nuova figura professionale che, però, a differenza di quanto accade negli altri campi, alla fine del percorso formativo abbia acquisito capacità, competenze e professionalità che gli consentono di poter gestire il lavoro in piena autonomia.

Per poter comprendere la figura del conciliatore di cui al d.lgs. n. 5/2003 occorre fare un piccolo passo indietro, al fine di comprendere la genesi della conciliazione di cui al citato d.lgs. 5/2003.

L’istituto della conciliazione non è sconosciuto al nostro ordinamento; lo ritroviamo all’interno del processo del lavoro, nonché, fra i tanti esempi, nella materia della subfornitura, nella materia del turismo, nonché del franchising.

Tuttavia, tali forme di conciliazione non sortiscono, quasi mai, gli effetti desiderati, concludendosi, quasi sempre, con un esito negativo e senza, perciò, alcun vantaggio effettivo per quanti vi si rivolgono.

Negli ultimi anni, però, il nostro ordinamento, al fine di tentare un allineamento con i Paesi europei - e non solo - che già da tempo utilizzano, con grandi risultati, le procedure conciliative, ha previsto un’importante novità, introducendo una conciliazione volontaria ma amministrata.

Si tratta, in pratica, della possibilità di devolvere la conciliazione ad organismi privati, purché assoggettati a forme di controllo da parte della pubblica amministrazione (e, più precisamente, da parte del Ministero della Giustizia), che assumono la veste di “organismi di conciliazione”.

Tale innovazione è stata avviata con la legge n. 366 del 3 ottobre 2001 "Delega al Governo per la riforma del diritto societario", che prevede la conciliazione delle controversie civili in materia societaria, anche dinanzi ad organismi istituiti da enti privati, che dessero garanzia di serietà ed efficienza e che fossero iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia.

Il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 "Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, emanato in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366", con gli articoli da 38 a 40, ha previsto l’istituzione degli organismi di conciliazione.

Ma chi sono gli organismi di conciliazione?

Gli organismi di conciliazione possono essere soggetti autonomi di diritto, sotto forma associativa ovvero societaria, sia di natura pubblica che privata.

Tuttavia, al fine di poter assolvere le funzioni previste dalla legge e al fine di garantire quel controllo da parte del Ministero della Giustizia di cui si è detto, gli organismi di conciliazione devono necessariamente ottenere l’iscrizione in un apposito registro tenuto proprio presso il Ministero della Giustizia e sottoposto alla vigilanza del “Responsabile del registro”.

Tale registro altro non è che un data base, nel quale sono individuati tutti gli organismi che, avendone fatto domanda corredata dei requisiti e degli allegati richiesti, siano stati iscritti nel registro e abbiano perciò la qualificazione a svolgere procedimenti idonei a produrre gli effetti di cui agli artt. 38-40 del d.lgs. 5/2003, ai sensi del d.m. 23 luglio 2004, n. 222, "Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5".

Anche le camere di commercio che, individualmente o in forma associata, abbiano istituito organismi di conciliazione hanno "diritto di ottenere l’iscrizione di tali organismi nel registro" (art. 38, co. 2 d.lgs. n.5/2003) "su semplice domanda" (art. 4, co. 2, d.m. 222/2004).

Tra i requisiti che devono possedere gli organismi di conciliazione, ai fini dell’iscrizione nel registro, la normativa in esame pone un forte accento sui requisiti soggettivi dei conciliatori.

L’art. 4, co. 3, lett. f del d.m. 222/2004 stabilisce che ciascun organismo di conciliazione deve dimostrare l’inserimento nella struttura organizzativa di almeno sette conciliatori, che abbiano dato esclusiva disponibilità al richiedente, tenendo, altresì, presente che ciascun conciliatore non può partecipare contemporaneamente a più di tre organismi di conciliazione (si cfr. art. 6, co. 2, del d.m. 222/2004).

I conciliatori sono necessariamente persone fisiche, che abbiano determinati requisiti di onorabilità; difatti, l’art. 4 del d.m. 222/2004 richiede il possesso, da parte dei conciliatori, dei seguenti requisiti:

a) non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche per contravvenzione;

b) non avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non inferiore a sei mesi;

c) non essere incorso nell’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici;

d) non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;

e) non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento.

Inoltre, sempre il d.m. 222/2004 prevede che la figura del conciliatore possa essere ricoperta soltanto da:

1 - un magistrato in quiescenza;

2 - un professore universitario di ruolo di materie giuridiche o economiche anche in quiescenza;

3 - un professionista iscritto in albi professionali di materie giuridiche o economiche da oltre 15 anni anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari;

4 - un laureato in materia giuridiche o economiche, ovvero un iscritto in albi professionali in materia giuridiche o economiche con anzianità inferiore ai 15 anni, purché abbia seguito con successo un corso specifico di formazione per conciliatori, che sia stato svolto in conformità a quanto prescritto dalla determinazione assunta dal  Responsabile del registro a norma dell’art. 10, co. 5, d.m. 222/2004.

In questo ultimo caso, perciò, ove si tratti di un iscritto ad un albo professionale da meno di 15 anni ovvero di un laureato in discipline giuridiche o economiche, anche con laurea triennale, la normativa in esame richiede un requisito ulteriore: per poter diventare conciliatore occorre necessariamente seguire un corso di formazione.

Ma, attenzione, non un qualsiasi corso!

E’ necessario che il corso sia tenuto da soggetti deputati a ciò idonei dal Ministero della Giustizia.

Il d.m. 222/2004 statuisce, all’art. 10, che “Il responsabile stabilisce i requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere i corsi di formazione previsti dall’articolo 4, comma 3, lettera d)”, per i conciliatori che non siano magistrati in quiescenza, professori universitari di ruolo, anche in quiescenza, in materie giuridiche o economiche o iscritti ad albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità di almeno 15 anni, anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari.

Lo stesso art. 10 del d.m. citato stabilisce “ … in via transitoria, e finché non si sia autonomamente determinata, il responsabile applica i criteri elaborati dall’Unione italiana delle CCIAA per il corso di conciliazione di livello base …”.

Si tratta dei requisiti elaborati dall’Unione italiana delle CCIAA nel maggio 2005, in quelli che venivano chiamati” Standard uniformi per la formazione di conciliatori per le camere di commercio”.

Tali criteri stabilivano una formazione dei conciliatori per un minimo di 32 ore di lezione, di cui almeno 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, per un numero massimo di 30 partecipanti.

E tali standard di formazione sono stati utilizzati, oltre che per i corsi di formazione tenuti dalle Camere di commercio, anche per quelli organizzati dai organismi privati, fino al 2006, allorché il Direttore Generale del Ministero della Giustizia ha emanato, in attuazione del citato art. 10 del d.m. 222/2004, il decreto del 24 luglio 2006, avente ad oggetto “Approvazione dei requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere corsi di formazione per l’iscrizione nel registro degli organismi di conciliazione”.

Tali requisiti hanno lo scopo di consentire, per un verso, alle strutture già esistenti di adeguare i propri standard formativi e, per altro verso, ai nuovi soggetti e/o enti formatori di poter strutturare l’attività di formazione secondo gli standard minimi.

Una lettura testuale del decreto citato sembra suggerire l’istituzione di una nuova figura professionale, quella, per l’appunto, del conciliatore degli organismi di conciliazione.

I requisiti indicati dal Ministero, difatti, ove strettamente applicati, consentono effettivamente ai partecipanti ai corsi di apprendere in maniera completa ed esaustiva le pratiche della conciliazione, in modo da garantire – e questo sembra il principale interesse del Ministero della giustizia – che chi sia diventato conciliatore sia effettivamente in grado di amministrare, con professionalità e competenza, una conciliazione.

Ma vediamo, nel dettaglio, quali sono i requisiti richiesti per l’accreditamento.

Il decreto del 24 luglio 2006 prevede l’attestazione di impegno a svolgere corsi di formazione per conciliatori, ciascuno per un numero massimo di 30 partecipanti, con le seguenti caratteristiche.

Il primo requisito attiene agli argomenti da trattare, con l’indicazione di un monte ore minimo da dedicare ad attività pratiche, e cioè:

- “almeno 32 ore di lezione, di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, con i seguenti contenuti minimi: strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione; principi, natura e funzione della conciliazione; esperienze internazionali e principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra conciliatore e Organismi di conciliazione; tecniche di conciliazione; la procedura di conciliazione; rapporti con la tutela contenziosa ;

- almeno 8 ore di lezione con i seguenti contenuti minimi: le controversie di cui all’art. 1 d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; i riti societari di cognizione ordinaria e sommaria”.

Quest’ultima indicazione di un monte ore dedicato alla conciliazione in materia societaria era d’obbligo, ove si consideri che la conciliazione amministrata nasce proprio per il diritto societario, pur potendo, poi, essere estesa (come d’altronde è stato) anche ad altre branche del diritto.

A tali criteri si aggiunge, poi, un requisito strutturale, consistente nella disponibilità, da parte dell’ente formatore, di strutture e locali idonei a consentire lo svolgimento dei corsi di formazione, nonché nell’attestazione di impegno a svolgere, a pena di decadenza dall’accreditamento, almeno 90 ore annuali dedicate all’attività di formazione dei conciliatori.

Non potevano mancare, a questo punto, dei requisiti specifici per i formatori.

Al punto 3) del decreto del 24 luglio 2006 si legge: " ... attestazione di disporre di almeno 3 formatori che siano in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori e che abbiano maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche".

Sicché, può essere formatore dei corsi sulla conciliazione :

1) un magistrato in quiescenza

2) un professore universitario di ruolo di materie giuridiche o economiche anche in quiescenza

3) un professionista iscritto in albi professionali di materie giuridiche o economiche da oltre 15 anni anche se successivamente cancellato per motivi non disciplinari

4) un laureato in materie giuridiche o economiche iscritto in albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità inferiore ai 15 anni, purché titolare di abilitazione conseguita a seguito della frequenza di un corso specifico di formazione per conciliatori.

Il dato normativo innovativo e fondamentale è che tutti i soggetti sopra indicati devono aver maturato un’esperienza, almeno triennale, quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche od economiche a dimostrazione che il legislatore, nell’ottica sopra evidenziata di formare una nuova figura professionale, sembra non fidarsi di chi abbia lo status di conciliatore senza avere alcuna esperienza nel campo della formazione.

L’esame della normativa sopra richiamata consente di affermare che effettivamente il legislatore ha voluto creare una nuova figura professionale che, però, a differenza di quanto accade negli altri campi, alla fine del percorso formativo abbia acquisito capacità, competenze e professionalità che gli consentono di poter gestire il lavoro in piena autonomia.