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Tribunale di Bolzano: gestioni patrimoniali e obblighi informativi dell’intermediario

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI BOLZANO, SECONDA SEZIONE CIVILE

Nella persona del Giudice Unico dott.ssa Consuelo Pasquali

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile sub R.G. n. 337/2002, vertente

tra

Tizio e Caia, entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti Antonio Tanza di Lecce e Valentina Loner di Bolzano, presso il cui studio in Piazza Walther n. 22, sono anche domiciliati, giusta procura a margine dell’atto di citazione 15/02/2002;

attori

e

Bipop Carire S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. Giacomo Franceschetti, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Gian Luca Brancadoro, prof. Umberto Morera e prof. Giuseppe Sbisà, avv. Gerhard Brandstatter di Bolzano, nel cui studio in via Dr. Strerter Gasse n. 12 essa è anche domiciliata, di giusta procura in calce all’atto di citazione notificato;

convenuta

In punto: risarcimento danno

Causa trattenuta in decisione all’udienza del 17/05/2007 sulle seguenti

CONCLUSIONI

Del procuratore di parte attrice:

- all’udienza di precisazione delle conclusioni concludeva come da foglio allegato al verbale d’udienza:

“Voglia l’On.le Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, in accoglimento dei sopra esposti motivi, in via preliminare di merito:

1) DICHIARARE LA NULLITA’ del contratto di investimento per cui è causa, ex art. 23 D.Lgs. n. 58/98 e 1325 n. 4 c.c. per difetto di sottoscrizione da parte della sig.ra Caia della scelta della linea di gestione “100% Linea Obiettivo Crescita” del “piano di accumulo” e delle “norme che regolano il contratto di gestione di portafogli di investimento”, nonché la nullità integrale del contratto di investimento per cui è causa ex art. 30, 7° co., D.Lgs. n. 58/98, poché il contratto, concluso fuori sede, non contiene la clausola obbligatoria in tal senso sulla facoltà di recesso dell’investitore entro sette giorni dalla stipula; nel merito in ogni caso:

2) ACCERTARE e DICHIARARE la violazione, da parte di BIPOP-CARIRE S.p.A., nei confronti dei Sigg. Tizio e Caia, dell’art. 21, comma 1, lett. a), b), e), T U.f.; dell’art. 92 del T.U.f.; dell’art. 211, lett. e) T.U.f.; dell’art. 261, lett. c), del Regolamento CONSOB n. 11522/1998, nonché del principio di sana e prudente gestione di cui all’art. 70 T.U.b., degli obblighi derivanti dall’esercizio del mandato in genere e di quelli derivanti dallo svolgimento di attività professionale (art. 11762 c.c.), per i motivi esposti nella premessa narrativa;

3) CONDANNARE, di conseguenza, BIPOP-CARIRE S.p.A., ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., al risarcimento di tutti i danni patrimoniali patiti, per le causali di cui alla premessa narrativa e nella indicata misura, salvo quella differente, maggiore o minore, che emergerà nel corso dell’istruttoria e che l’On.le Tribunale vorrà riconoscere, in via subordinata, anche secondo Giustizia o Equità;

4) CONDANNARE, ai sensi dell’art. 2043 c.c., BIPOP-CARIRE S.p.A. al risarcimento del danno esistenziale patito dall’odierno attore, per le causali e la misura di cui alla premessa narrativa e, in via subordinata, secondo criteri di Giustizia ed Equità;

5) CONDANNARE la convenuta alla rifusione di spese, diritti ed onorari del presente giudizio, con distrazione in favore dei sottoscritti procuratori antistatari; in subordine in via istruttoria: omissis”;

- nell’atto di citazione le conclusioni formulate erano quelle di cui ai punti 3, 4 e 5 delle note dimesse all’udienza conclusiva;

Del procuratore di parte convenuta:

- all’udienza di precisazione delle conclusioni si richiamava a quanto richiesto nella comparsa di costituzione del 29/04/2002:

“Voglia il Tribunale Ill.mo, respinta ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione, sia di merito, sia istruttoria, respingere integralmente tutte le domande proposte dagli attori; dichiarare inammissibili e/o irrilevanti tutte le domande e istanze istruttorie proposte dagli attori; condannare gli attori al pagamento di spese, diritti ed onorari di causa, oltre CPA e IVA in misura di legge, ed al rimborso delle spese generali nella misura del 10% a norma dell’art. 15 Tariffa professionale”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato i coniugi Tizio e Caia hanno convenuto in giudizio l’istituto di credito Bipop Carire S.p.A., per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della sottoscrizione in data 06/03/2000 del contratto di gestione di portafogli di investimento “Prisinvest”. In particolare, hanno esposto gli attori che la banca, mentre sottoscriveva con i clienti normali - come dovevano ritenersi loro stessi - contratti di gestione di fondi (d’ora in avanti GPF) standard, concludeva anche con altri clienti privilegiati dei contratti di GPF “garantiti”, con i quali, cioè, si assicurava il cliente da qualsiasi rischio, garantendogli la restituzione quanto meno del capitale, per l’ipotesi di perdita, ovvero di un tasso minimo di rendimento. Tale comportamento, oltre che violare la normativa di settore, improntata al superiore principio di tutela dell’integrità del mercato e degli investitori, secondo i parametri di lealtà, diligenza, correttezza nello svolgimento dei servizi d’investimento, oltre che di sana e prudente gestione, doveva considerarsi causa del tracollo subito dal titolo Bipop-Carire a partire dall’autunno del 2001, titolo contenuto all’interno della gestione patrimoniale in cui gli attori avevano investito. La Bipop Carire, infatti, a fronte delle - secondo gli attori - illegittime GPF “privilegiate”, non aveva provveduto ad adottare misure di bilancio adeguate al fine di evitare il verificarsi di grosse perdite. Una volta scoppiato lo scandalo nell’ottobre del 2001, il titolo era letteralmente crollato in borsa, trascinando con sé l’intera GPF sottoscritta dagli attori.

Gli attori hanno censurato il comportamento di parte convenuta sotto numerosi profili, soprattutto evidenziando la violazione degli obblighi di informazione gravanti sulla banca, sia in relazione all’investimento offerto in sé considerato, sia in relazione alla mancata indicazione di investimenti alternativi, quali proprio le GPF privilegiate, ovvero – tenuto conto che l’investimento de quo era rappresentato da una gestione monomarca, ossia che investiva in fondi/quote di fondi di società collegate al gruppo - altre GPF plurimarca, per le quali essi affermavano un sicuro maggiore rendimento di almeno il 10%.

Ciò premesso, veniva richiesta la condanna della banca al risarcimento di tutti i danni conseguiti all’illecito comportamento, quantificati non solo nella perdita di capitale subita, bensì anche nel mancato rendimento che le GPF privilegiate avevano ad altri assicurato, ovvero in quel 10% in più che le gestioni plurimarca avrebbero garantito, ovvero ancora nell’interesse corrisposto per investimenti in titoli di Stato. Oltre a ciò, doveva trovare riconoscimento anche la voce relativa al danno esistenziale patito dagli attori.

La Bipop Carire S.p.A. si è costituita regolarmente in giudizio con comparsa del 29/04/2002, nella quale ha contestato tutte le pretese attoree precisando, innanzi tutto, che il fenomeno delle GPF privilegiate era stato posto in essere da alcuni dipendenti/consiglieri del CdA in maniera del tutto occulta rispetto alle scelte gestionali della banca (che dunque - all’epoca dei fatti - non ne sapeva niente), la quale aveva comunque - una volta scoperto i fatti - provveduto ai necessari accantonamenti. In secondo luogo, quanto al caso specifico degli attori, la banca ha evidenziato di aver rispettato pienamente la normativa di settore, soprattutto in relazione agli obblighi informativi, avendo provveduto alla piena “personalizzazione” del rapporto con i propri clienti. Ha chiesto, quindi, il rigetto di tutte le domande formulate da controparte.

Il giudice istruttore, ritenuta inutile l’istruttoria orale della causa, ha proceduto all’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, affidata al Dott. Roberto Pallaver, diretta a descrivere, anche nei dettagli, con riguardo ai singoli fondi che lo componevano, l’investimento oggetto di causa; ciò al fine di evidenziare, in primis, di quali elementi i sottoscrittori fossero stati resi edotti al momento della stipula del contratto, in secundis, quale fosse stata l’incidenza del titolo Bipop-Carire sulla complessiva GPF de qua, in tertiis, quali fossero gli investimenti alternativi offerti dalla banca nel periodo in questione.

Con il deposito della consulenza, il Giudice ha ritenuto esaurita la fase istruttoria e matura la causa per la decisione; ha fissato, dunque, per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 17/05/2007, all’esito della quale la causa, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda attorea va accolta nei limiti e per le ragioni che di seguito s’illustrano.

1) Nullità dedotte per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni

Mentre nell’atto introduttivo del giudizio gli attori hanno chiesto - previo accertamento della violazione, da parte della banca, di una serie di obblighi su di essa gravanti ex lege in relazione al comportamento da tenere nei confronti del cliente nello svolgimento dei servizi d’investimento ed accessori - esclusivamente la condanna della banca al risarcimento del danno, in sede di precisazione delle conclusioni hanno introdotto un ulteriore, preliminare, motivo di merito: quello della nullità del contratto d’investimento per cui è causa ai sensi a) dell’art. 23 D.lgs. n. 58/98 (d’ora in poi TUF) e art. 1325, n. 4, c.c. (difetto di forma scritta), per non avere la sig.ra Caia apposto la propria firma in calce alla linea di gestione prescelta (GPF Prisinvest - Obiettivo Crescita), al piano di accumulo e alle “norme che regolano il contratto di gestione di portafogli di investimento”, b) dell’art. 30, comma 7, TUF, in quanto il contratto, concluso fuori sede, non conterrebbe la clausola sulla facoltà di recesso dell’investitore entro il termine di sette giorni dalla stipula.

Nelle comparse conclusionali entrambe le parti hanno preso posizione ed argomentato ampiamente sul punto: gli attori sostenendo che, trattandosi di nullità, le medesime sarebbero rilevabili, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio, mentre la convenuta ha eccepito l’inammissibilità della relativa deduzione, in quanto tardivamente introdotta nel giudizio.

La questione non appare di immediata soluzione, dovendosi coordinare il potere del giudice di dichiarare, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c., con altri fondamentali principi del processo civile, quali il principio della domanda ex artt. 99 e 100 c.p.c., il principio della corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c. ed il sistema delle preclusioni processuali introdotte con la novella n. 353/90 ex artt. 163, 167 e 183, comma 4 e 5, c.p.c. (quest’ultimo applicabile ratione temporis al presente giudizio): orbene, come precisato dalla Suprema Corte, “il giudice, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, è tenuto a rilevare la nullità in qualsiasi stato e grado del giudizio solo quando sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione del contratto, perché in tale ipotesi la validità dell’atto si pone come elemento costitutivo della domanda. Se, invece, la domanda è diretta a far dichiarare l’invalidità del contratto, la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni di illegittimità dedotte dalla parte, perché, in tale ipotesi, la nullità si pone come elemento costitutivo della domanda” (Cass. sent. n. 18210/2004); tale principio risulta confermato in altre pronunce, quali quella di cui alla sentenza n. 20548/04, nella quale si afferma quanto segue: “Il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità dell’atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e trova applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea (ad esempio, di esecuzione di un nullo), non anche quando sia invece la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, dovendo in tal caso la pronuncia del giudice essere circoscritta alle ragioni di illegittimità denunciate dall’interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d’ufficio o tardivamente indicati, giacché in tal caso l’invalidità dell’atto si pone come elemento costitutivo della domanda attorea”.

Applicando tali principi al caso di specie, va osservato che gli attori, fin dall’inizio, non hanno chiesto al giudice di pronunciare in ordine all’applicazione o all’esecuzione del contratto, nel qual caso la valutazione della sua validità o meno, in quanto elemento costitutivo della domanda, sarebbe stata possibile per il giudice senza limiti di tempo; al contrario, gli attori, sul presupposto di un comportamento scorretto della banca, hanno chiesto di accertare la violazione da parte di. quest’ultima di norme comportamentali imposte dalla legge, a seguito delle quali gli attori avrebbero subito una serie di danni, di cui hanno chiesto il risarcimento. Quindi, fin dall’inizio gli attori hanno voluto che il giudice conoscesse dell’illegittimità di atti e comportamenti, con la conseguenza che la declaratoria di un motivo di nullità/invalidità diverso da quello originariamente prospettato, e formulato oltre il termine processuale consentito, costituendo una pronuncia su domanda nuova, comporterebbe una violazione del principio dispositivo, e quindi un vizio di cd. ultrapetizione. Le due eccezioni di nullità, dedotte per la prima volta dagli attori in sede di precisazione delle conclusioni, vanno, in conseguenza di quanto esposto, dichiarate inammissibili.

2) La violazione degli obblighi di informazione.

2.1) Obblighi di informazione e altri principi che presiedono il corretto svolgimento dei servizi d’investimento

Lamentano gli attori che la banca convenuta avrebbe violato i precetti fondamentali sanciti per il settore specifico di riferimento (intermediazione mobiliare) dagli articoli 21 e 92 TUF, 26 Reg. Consob n. 11522/98, 70 TUB, oltre che quelli generali di cui all’art. 1176 c.c. (mandato professionale): in pratica, avendo la banca consentito la stipula, con un numero molto limitato di clienti, di Gestioni Patrimoniali in Fondi “privilegiate” - nel senso che a questi clienti veniva garantita quanto meno la restituzione del capitale investito, o comunque la corresponsione, oltre il capitale, di un rendimento minimo, fisso o variabile -, essa avrebbe con ciò non solo violato, in sé e per sé, le regole sopra indicate, dettate per il corretto svolgimento dei servizi d’investimento, finalizzate a garantire, in qualunque momento, un rapporto banca cliente improntato a principi di lealtà, trasparenza, correttezza e diligenza, ma soprattutto provocato una serie di conseguenze patrimoniali a catena, negative per la banca convenuta, le quali avrebbero causato il crollo del titolo Bipop Carire, quest’ultimo contenuto nella GPF (standard) offerta ai propri (non privilegiati) clienti Tizio e Caia. Sotto questo profilo, possono ritenersi senz’altro pacifici, ovvero dimostrati sulla scorta della copiosa documentazione prodotta (vedi annotazione di PG sub doc. 8, nonché relazione Price Waterhouse Coopers, relazione ispettiva preliminare Consob 17/12/01, relazione Banca d’Italia, sub doc. 3-5, tutti dimessi da parte attrice), i fatti così come di seguito ricostruiti. La Bipop Carire, a partire dall’aprile 1999 e fino al 1° luglio 2001 (data dell’ultimo rinnovo di una preesistente garanzia già concessa, v. pag. 24 Relazione preliminare Bipop Carire del 17/12/2001), ha concesso ad un numero limitato di clienti (parrebbe 247) di investire in GPF “garantite”, nelle quale, cioè, i medesimi non avrebbero corso i rischi normalmente collegati all’investimento in fondi (di qualunque natura essi fossero, ossia azionari, obbligazionari, monetari o misti), dal momento che la banca, a fianco del contratto d’investimento, sottoscriveva una lettera di garanzia, con la quale - per l’appunto - si garantiva al cliente il rimborso del capitale, in caso di perdite, ovvero un tasso di rendimento, fisso o variabile, comunque normalmente non inferiore al 2,5% e non superiore al 6% del capitale conferito alla data del rilascio della garanzia. Di tale fenomeno la banca, in quanto ente autonomo e distinto dalla persone fisiche dei suoi dipendenti, parrebbe non aver avuto conoscenza ufficiale fino alla fine di settembre 2001, quanto il Collegio Sindacale, venuto a sapere della sottoscrizione da parte della banca di impegni di garanzia su gestioni di portafogli di investimento, resosi conto della gravità della situazione, iniziava la propria attività ispettiva, convocava il Consiglio d’Amministrazione, informandone contestualmente la Consob. Ritenuta l’urgenza della situazione, anche il Consiglio d’Amministrazione si attivava, nominando dapprima una commissione interna d’esame (Commissione Rinaldi, dal nome dei consigliere incaricato, con compiti precipui di ricerca della documentazione cartacea, audizione delle persone coinvolte, acquisizione di dichiarazione scritte al fine di ricostruire la catena decisionale, individuare le motivazioni commerciali sottostanti e offrire una prima stima del rischio collegato alle “dichiarazioni aggiuntive” rilasciate a fronte delle GPF), e poi una società esterna specializzata, la Price Waterhouse di Milano (avente il compito, fra l’altro, di valutare gli effetti sui bilanci di fine 1999 e 2000 e su quelli infrannuali di giugno e settembre 2001, originati dagli impegni assunti mediante la concessione delle predette “garanzie”). La banca decideva, in seguito, di acquisire dei pareri legali ulteriori rispetto a quello del proprio Ufficio legale, in ordine alla natura giuridica di queste lettere di garanzia e alla loro validità ed efficacia (prof. Avv. Morera sub doc. 6 degli attori, Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo sub doc. 7, avv. Rocchi). A prescindere dalla questione della legittimità o meno delle cd. lettere di garanzia (la maggior parte dei giuristi che si sono espressi sul punto parrebbe ritenerle illegittime, pur non mancando l’opinione contraria non solo dell’avv. Rocchi, ma anche della stessa Commissione Ispettiva nominata dalla Consob, che ha ritenuto di dover concludere, quanto al fenomeno delle GPF “garantite”, che esso “non contrasta in linea di principio con la disciplina legislativa e regolamentare vigente”, come si legge a pag. 42 della Relazione del 17/12/01), certo e indiscutibile, come risulta da tutte le relazioni predisposte dai soggetti (istituzionali e non) che hanno indagato sulla vicenda complessiva, è che questo comportamento della banca ha ampiamente violato il precetto che vuole la banca “svolgere una gestione indipendente, sana e prudente”, oltre che “adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati”. Su questo punto il dato è certo: la Bipop Carire, a fronte di questo sistema di GPF “privilegiate”, che per la banca evidentemente rappresentava un peso non da poco, dal momento che venivano garantiti capitali o rendimenti su capitali di centinaia di migliaia di euro, non ha saputo predisporre meccanismi adeguati di copertura delle garanzie concesse, né provvedere ad un adeguato controllo interno che evitasse o arginasse il fenomeno. L’impatto totale sul conto economico della banca negli anni 1999, 2000 e 2001 delle GPF “garantite” sarebbe stato, secondo quanto accertato dall’Autorità Giudiziaria (v. relazione di PG sopra citata), pari oltre nove milioni di euro per le GPF già estinte prima del 2001, e di oltre 87 milioni di euro per le GPF ancora aperte ad ottobre 2001 e chiuse nei primi mesi del 2002. Tutto ciò per dire che effettivamente il comportamento della banca, non tanto nel concedere le garanzie in questione, quanto nel non predisporre meccanismi di copertura delle (sicure) relative perdite, ha senza dubbio avuto efficienza causale diretta nella determinazione del crollo del titolo Bipop, avvenuta - una volta scoppiato il caso - in data 12/10/2001. Questa conclusione, tuttavia, non appare sufficiente, ad avviso dello scrivente, per affermare con certezza che la perdita sub a dall’investimento effettuato dai coniugi Tizio/Caia sia conseguenza immediata e diretta del crollo del titolo Bipop. Come accertato dal c.t.u. nominato in corso di causa, suffragato dalla documentazione esaminata, con ragionamento ineccepibile dal punto di vista logico e motivazione adeguata, la ricostruzione analitica del portafoglio di investimento dei clienti Tizio/Caia e dunque dei singoli fondi, tra i quali risultava aver investito la società di gestione, ha evidenziato una presenza del titolo Bipop Carire non solo indiretta - nel senso che mancava un investimento diretto in titoli della banca, pur essendo il titolo Bipop Carire contenuto in alcuni dei fondi interessati dalla GPF in esame -, ma comunque, in relazione ai fondi contenenti investimenti nel titolo de quo, assolutamente minimale e marginale, diversificata nel tempo, al massimo pari al 2,12% (all’inizio del rapporto, il 06/03/2000) e per poi scendere allo 0,277931% (al momento del crollo del titolo, il 12/10/2001) e allo 0,106516% (al momento di chiusura del rapporto, il 24-27/03/2003) del complessivo portafoglio Tizio/Caia. Da ciò la conclusione, cui si aderisce pienamente, che non è ragionevole ritenere che lo stravolgimento del titolo Bipop Carire (conseguente sì a tutte le violazioni di cui si è detto) abbia potuto determinare un “effetto domino” sul rimanente portafoglio, il quale ha subito la maggiore svalorizzazione nel trimestre chiuso al 30/09/01 (che rispetto al precedente trimestre ha evidenziato un meno 30%) e dunque prima della ufficializzazione del crollo del titolo Bipop Carire, a conferma che sono intervenuti altri e più gravi fatti congiunturali (si pensi all’attentato alle torri gemelle di New York dell’11/09/2001) che hanno generalizzato un crollo dei mercati finanziari. Concludendo, in ordine alla correlazione tra danno lamentato dagli attori e comportamento illegittimo della banca sotto il profilo della sana e prudente gestione, il giudice ritiene che, dal punto di vista eziologico, la perdita subita dagli attori non possa ritenersi conseguenza diretta ed immediata della condotta tenuta dalla parte convenuta, quanto piuttosto conseguenza della tipologia di investimento prescelto (a rischio elevato, in quanto composto da fondi per lo più azionari, specializzati non solo nel mercato domestico, ma anche in quello estero) e della fase congiunturale negativa a livello mondiale affrontata, a partire dalla seconda metà del 2001, dal mercato finanziario.

2.2.) Obblighi di informazione e adeguatezza dell’investimento.

Diversa conclusione deve raggiungersi per quanto riguarda la violazione specifica - in sé e per sé considerata - degli obblighi di diligenza, trasparenza, informazione gravanti sull’intermediario finanziario ai sensi della normativa di settore nell’ottica di tutela del cliente - parte debole del rapporto - a fronte di investimenti in servizi finanziari eccessivamente rischiosi.

In particolare, l’art. 21 TUF, comma 1, prevedeva - nella sua versione vigente all’epoca dei fatti - per quanto d’interesse, quanto segue: “Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”.

L’art 28 del regolamento Consob 11522/1998 disciplina, poi, articolatamente, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario nei confronti del cliente, in particolare prevedendo che prima della stipula del contratto di gestione, gli intermediari debbano, ai sensi del primo comma, “a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3” e che essi non possano, per espressa previsione del secondo comma “effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”.

Segue l’art. 29, relativo proprio alla condotta da tenere da parte degli intermediari per l’ipotesi di operazioni “non adeguate”, il quale impone agli intermediari - tenuto conto delle informazioni di cui all’articolo 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati - di astenersi “dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione”, informando il cliente “di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione”. Aggiunge, infine, la disposizione che “qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. Si precisa, ad abundantiam, che tale chiara e significativa disciplina dei doveri informativi dell’intermediario, con riferimento all’analisi dell’adeguatezza del servizio d’investimento rispetto alle capacità e conoscenze del cliente, già consacrata nel regolamento Consob n. 11522/98, ha ora trovato positivo riconoscimento all’interno dello stesso articolo 21 TUF, comma 1, lett. a), a seguito della modifica apportata dall’art. 14 della legge 262/2005. Dunque, l’intermediario deve informarsi ed informare: in altre parole, deve acquisire dal cliente tutte le informazioni necessarie per comprendere quale propensione al rischio il soggetto possegga, propensione che deve risultare dalla tipologia, oggetto, frequenza, dimensione degli investimenti già effettuati dal cliente; una volta acquisiti tali elementi, potrà essere offerto un determinato servizio d’investimento, il quale deve essere adeguate alla “storia” finanziaria del soggetto. In caso contrario, l’intermediario deve “astenersi” - dice letteralmente la normativa - dall’effettuare l’operazione d’investimento inadeguata, informando il cliente delle ragioni di tale comportamento; l’astensione non sarà, poi, più necessaria, quando il cliente, nonostante tutto, voglia procedere all’investimento e lo manifesti espressamente nella forma richiesta. La valutazione dell’adeguatezza delle operazioni costituisce, quindi, un momento essenziale della corretta prestazione dei servizi di investimento nei confronti di investitori non qualificati, con la conseguenza che essa deve essere sempre effettuata. Nel caso di specie, al contrario, tale valutazione risulta mancare del tutto: nel documento informativo del cliente, sottoscritto da entrambi i signori Tizio e Caia, relativo al contratto di gestione per cui è causa (GPF Prisinvest) non risulta, infatti, acquisita alcuna informazione relativamente alla “esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari” e alla “situazione finanziaria” dell’investitore; anzi risulta una crocetta, cui la sottoscrizione dei clienti farebbe evidente riferimento, alla voce “il cliente non ha ritenuto di fornire le informazioni richieste” relativamente a tali due aspetti, mentre l’unico altro punto segnato attiene agli “obiettivi di investimento e propensione al rischio”, ove a fronte di quattro indicazioni [ovvero 1) pura redditività - minimo grado di rischio (Obiettivo Protezione), 2) redditività con elementi di rivalutabilità - basso grado di rischio (Obiettivo Protezione/Obiettivo reddito), 3) compresenza di redditività e rivalutabilità legata all’andamento dei corsi e dei cambi - medio grado di rischio (Obiettivo Reddito/Obiettivo Crescita) e 4) prevalenza della rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi e dei cambi - alto grado di rischio (Obiettivo Crescita/Obiettivo Sviluppo)], i due investitori hanno scelto con una crocetta quello indicato al numero 3). Tutto ciò considerato, appare evidente che la Bipop Carire, nello stipulare il contratto de quo, non ha rispettato le norme che presiedono la fase preliminare di assunzione delle informazioni e di verifica dell’adeguatezza del servizio d’investimento offerto al cliente. Come abbia ritenuto che l’operazione fosse adeguata non è dato sapere (né la banca ha dedotto di aver fornito informazioni suppletive, ovvero di aver acquisito un ordine scritto ai sensi dell’art. 29 del Reg. Consob 11522/98, ora seconda parte del primo comma dell’art. 21 TUF), né del resto rileva, dal momento che, in ogni caso, già la mancanza di dati circa la precedente esperienza in materia di investimenti avrebbe dovuto indurre la banca a non consigliare l’investimento nella GPF Prisinvest “Obiettivo Crescita”, il quale, va sottolineato, non risulta nemmeno essere un investimento “a medio grado di rischio” (come i clienti avrebbero indicato, apponendo la crocetta alla relativa voce di cui sopra), risultando - invece - qualificato nel contratto come investimento “a grado di rischio medio/alto”. L’inadeguatezza delle informazioni fornite dalla banca in relazione alla specifica operazione finanziaria posta in essere integra, pertanto, una fattispecie di comportamento sleale, ossia contrario a quella buona fede che deve presiedere, ai sensi dell’art. 1337 c.c. e 21 TUF, 28-29 Reg. Consob 11522/98 la fase pre-contrattuale. La violazione di queste regole di condotta obbliga al risarcimento del danno patito dai clienti Tizio/Caia.

3.) Il risarcimento del danno

Nel presente caso che, come detto, riguarda un’ipotesi di comportamento scorretto dell’intermediario nella fase delle trattative e prima della conclusione del contratto, il risarcimento viene parametrato alla perdita subita per effetto dell’investimento: tale investimento, infatti, deve ritenersi che sia stato posto in essere senza che i clienti avessero avuto completa conoscenza dei rischi collegati; l’importo dovuto, in termini di danno emergente, risulta, pertanto, pari alla differenza tra quanto investito il 6/03/00 e quanto liquidato il 24/03/2003, secondo quanto indicato dal c.t.u. pari ad € 16.944,67 (€ 25.822,84 - 8.878,17). In ordine al lucro cessante, che consiste nel minor vantaggio conseguito a causa dell’illegittimo comportamento della controparte, per non aver potuto usufruire di occasioni alternative di affari, nulla di quanto richiesto da parte attrice può essere riconosciuto: di certo non può attribuirsi quel quid pluris che costituiva il “privilegio” delle GPF cd. garantite, dal momento che, non solo il privilegio poteva avere forme diverse (anche disancorate dall’applicazione di un tasso ad un capitale), ma soprattutto perché esso non costituiva un’alternativa reale ed ufficiale per i clienti della Bipop Carire, trattandosi di un fenomeno occulto e - per le sue modalità di gestione - illegittimo, che, in quanto tale, non può costituire parametro di riferimento per alcuna pretesa risarcitoria. Né il danno da lucro cessante può riconoscersi nella misura di quell’asserito 10% di rendimento in più che un investimento in gestioni plurimarca (ovvero in fondi non promossi o gestiti dalla stessa società che offre il servizio di gestione o ad altre società facenti parte del gruppo della medesima) garantirebbe rispetto alle gestioni monomarca (qual è quella per cui è causa, dove i fondi erano tutti gestiti dalla società Cisalpina Gestioni S.p.A., controllata dalla stessa Bipop Carire nella misura del 78,45%): in primo luogo, perché non è stato dimostrato l’assunto che tali gestioni rendano effettivamente di più e in quale misura (lo studio Consob cui fanno riferimento gli attori non è stato oggetto di verifica ed esame), in secondo luogo, in quanto non è dato sapere se la Bipop-Carire offriva, oltre alle GPF monomarca, anche GPF plurimarca - essendo evidente che il raffronto va fatto tra gli strumenti finanziari offerti dalla banca interessata e non da altri possibili soggetti; a tale proposito può, tuttavia, desumersi dagli atti di causa (v. pag. 30/32 della relazione c.t.u. in relazione ai prodotti offerti da Bipop-Carire in alternativa a quello sottoscritto dagli attori, e pag. 32 della c.t.p. del Prof. Annunziata, di parte convenuta) che, delle altre due GPF offerte da Bipop Carire nel periodo di riferimento, a) la GPF Evolution fosse anch’essa una gestione monomarca (dal momento che il patrimonio gestito veniva investito totalmente o in prevalenza in fondi “Cisalpino” e “Putnam”, ovvero in fondi emessi da Cisalpina Gestioni S.p.A. o da altre società del gruppo Bipop Carire), mentre b) la GPF Personal Invest rappresentava un prodotto più evoluto, difficilmente comparabile alle gestioni Prisinvest ed Evolution, destinato ad investitori aventi ancora una maggior esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari; tale ultima circostanza permette, ritenuta la non adeguatezza dell’investimento Prisinvest ai clienti Tizio/Caia, di escludere a priori, indipendentemente dalla natura mono o plurimarca della GPF Personal Invest, che questa gestione alternativa potesse interessare e/o essere offerta agli attori. Nemmeno può essere riconosciuto il tasso corrisposto per i BOT o altri titoli di Stato, dal momento che non è noto se gli attori fossero investitori in tal senso, né quali fossero le quotazione all’epoca dei fatti. Sull’importo capitale vanno, invece, riconosciuti gli interessi legali, a far data dal 06/03/2000 (giorno di conclusione del contratto d’investimento) e fino al saldo. In ordine al danno esistenziale lamentato dagli attori, anche a prescindere dall’ammissibilità di tale categoria di danno quale conseguenza di una violazione contrattuale (il mero riferimento all’art. 2043 c.c., senza ulteriori indicazioni in fatto, non consente una diversa conclusione), va ricordato che con tale nozione s’intende una compromissione dell’esistenza quotidiana, “naturalisticamente” accertabile e percepibile, che si traduce in una serie di modificazioni negative del normale svolgimento della vita lavorativa, familiare, culturale, di svago; in altre parole, si tratta di “un non poter più fare, un dover agire altrimenti”; orbene, dati questi presupposti, va rilevato che gli attori assolutamente nulla hanno allegato/dedotto in relazione alle modificazioni della vita quotidiana che essi avrebbero subito per effetto della perdita economica conseguente all’investimento. La relativa domanda deve, quindi essere respinta.

4.) Le spese del processo

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste integralmente a carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bolzano, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Consuelo Pasquali, definitivamente pronunciando nella vertenza pendente sub R.G. 337/2002, promossa da Tizio e Caia nei confronti di Bipop Carire S.p.A., così pronuncia:

dichiara

inammissibili le eccezioni di nullità sollevate dagli attori in sede di precisazione delle conclusioni;

accerta e dichiara

che l’investimento di cui al contratto di gestione di portafogli di investimento Prisinvest, Obiettivo Crescita, stipulato dagli attori in data 06/03/2000 con la convenuta, non era adeguato ai sensi del combinato disposto dagli articoli 21, comma 1, lett. a) e b), D.lgs. n. 58/98, e 28 e 29 del Reg. Consob n. 11522/1998, al profilo dei clienti;

accerta e dichiara

che la violazione degli obblighi informativi di cui agli articoli 21, comma 1, lett. a) e b), Dlg. n. 58/98, e 28 e 29 del Reg. Consob n. 11522/1998, da parte della Bipop Carire S.p.A. ha provocato agli attori un danno economico quantificato nel capitale perduto, pari ad € 16.944,67, oltre agli interessi legali dal dì dell’investimento (6/03/2000) al dì del saldo;

condanna

la Bipop Carire S.p.A. a pagare agli attori Tizio e Caia l’importo di € 16.911,67, oltre agli interessi legali dal 6/03/2000 al saldo;

rigetta

la domanda di risarcimento del danno esistenziale;

condanna

la Bipop Carire S.p.A., a rifondere agli attori le spese del giudizio, che si liquidano in € 9.000,00 per onorari, € 3.603,89 per diritti e € 347,17 per spese imponibili, € 908,69 per spese escluse, oltre alle spese forfetarie come da tariffa professionale e ad IVA e CPA come per legge, con distrazione delle spese in favore dei procuratori, che se ne sono dichiarati antistatari.

Così deciso in Bolzano, il 20 ottobre 2007

Depositato in cancelleria il 3 novembre 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI BOLZANO, SECONDA SEZIONE CIVILE

Nella persona del Giudice Unico dott.ssa Consuelo Pasquali

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile sub R.G. n. 337/2002, vertente

tra

Tizio e Caia, entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti Antonio Tanza di Lecce e Valentina Loner di Bolzano, presso il cui studio in Piazza Walther n. 22, sono anche domiciliati, giusta procura a margine dell’atto di citazione 15/02/2002;

attori

e

Bipop Carire S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. Giacomo Franceschetti, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Gian Luca Brancadoro, prof. Umberto Morera e prof. Giuseppe Sbisà, avv. Gerhard Brandstatter di Bolzano, nel cui studio in via Dr. Strerter Gasse n. 12 essa è anche domiciliata, di giusta procura in calce all’atto di citazione notificato;

convenuta

In punto: risarcimento danno

Causa trattenuta in decisione all’udienza del 17/05/2007 sulle seguenti

CONCLUSIONI

Del procuratore di parte attrice:

- all’udienza di precisazione delle conclusioni concludeva come da foglio allegato al verbale d’udienza:

“Voglia l’On.le Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, in accoglimento dei sopra esposti motivi, in via preliminare di merito:

1) DICHIARARE LA NULLITA’ del contratto di investimento per cui è causa, ex art. 23 D.Lgs. n. 58/98 e 1325 n. 4 c.c. per difetto di sottoscrizione da parte della sig.ra Caia della scelta della linea di gestione “100% Linea Obiettivo Crescita” del “piano di accumulo” e delle “norme che regolano il contratto di gestione di portafogli di investimento”, nonché la nullità integrale del contratto di investimento per cui è causa ex art. 30, 7° co., D.Lgs. n. 58/98, poché il contratto, concluso fuori sede, non contiene la clausola obbligatoria in tal senso sulla facoltà di recesso dell’investitore entro sette giorni dalla stipula; nel merito in ogni caso:

2) ACCERTARE e DICHIARARE la violazione, da parte di BIPOP-CARIRE S.p.A., nei confronti dei Sigg. Tizio e Caia, dell’art. 21, comma 1, lett. a), b), e), T U.f.; dell’art. 92 del T.U.f.; dell’art. 211, lett. e) T.U.f.; dell’art. 261, lett. c), del Regolamento CONSOB n. 11522/1998, nonché del principio di sana e prudente gestione di cui all’art. 70 T.U.b., degli obblighi derivanti dall’esercizio del mandato in genere e di quelli derivanti dallo svolgimento di attività professionale (art. 11762 c.c.), per i motivi esposti nella premessa narrativa;

3) CONDANNARE, di conseguenza, BIPOP-CARIRE S.p.A., ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., al risarcimento di tutti i danni patrimoniali patiti, per le causali di cui alla premessa narrativa e nella indicata misura, salvo quella differente, maggiore o minore, che emergerà nel corso dell’istruttoria e che l’On.le Tribunale vorrà riconoscere, in via subordinata, anche secondo Giustizia o Equità;

4) CONDANNARE, ai sensi dell’art. 2043 c.c., BIPOP-CARIRE S.p.A. al risarcimento del danno esistenziale patito dall’odierno attore, per le causali e la misura di cui alla premessa narrativa e, in via subordinata, secondo criteri di Giustizia ed Equità;

5) CONDANNARE la convenuta alla rifusione di spese, diritti ed onorari del presente giudizio, con distrazione in favore dei sottoscritti procuratori antistatari; in subordine in via istruttoria: omissis”;

- nell’atto di citazione le conclusioni formulate erano quelle di cui ai punti 3, 4 e 5 delle note dimesse all’udienza conclusiva;

Del procuratore di parte convenuta:

- all’udienza di precisazione delle conclusioni si richiamava a quanto richiesto nella comparsa di costituzione del 29/04/2002:

“Voglia il Tribunale Ill.mo, respinta ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione, sia di merito, sia istruttoria, respingere integralmente tutte le domande proposte dagli attori; dichiarare inammissibili e/o irrilevanti tutte le domande e istanze istruttorie proposte dagli attori; condannare gli attori al pagamento di spese, diritti ed onorari di causa, oltre CPA e IVA in misura di legge, ed al rimborso delle spese generali nella misura del 10% a norma dell’art. 15 Tariffa professionale”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato i coniugi Tizio e Caia hanno convenuto in giudizio l’istituto di credito Bipop Carire S.p.A., per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della sottoscrizione in data 06/03/2000 del contratto di gestione di portafogli di investimento “Prisinvest”. In particolare, hanno esposto gli attori che la banca, mentre sottoscriveva con i clienti normali - come dovevano ritenersi loro stessi - contratti di gestione di fondi (d’ora in avanti GPF) standard, concludeva anche con altri clienti privilegiati dei contratti di GPF “garantiti”, con i quali, cioè, si assicurava il cliente da qualsiasi rischio, garantendogli la restituzione quanto meno del capitale, per l’ipotesi di perdita, ovvero di un tasso minimo di rendimento. Tale comportamento, oltre che violare la normativa di settore, improntata al superiore principio di tutela dell’integrità del mercato e degli investitori, secondo i parametri di lealtà, diligenza, correttezza nello svolgimento dei servizi d’investimento, oltre che di sana e prudente gestione, doveva considerarsi causa del tracollo subito dal titolo Bipop-Carire a partire dall’autunno del 2001, titolo contenuto all’interno della gestione patrimoniale in cui gli attori avevano investito. La Bipop Carire, infatti, a fronte delle - secondo gli attori - illegittime GPF “privilegiate”, non aveva provveduto ad adottare misure di bilancio adeguate al fine di evitare il verificarsi di grosse perdite. Una volta scoppiato lo scandalo nell’ottobre del 2001, il titolo era letteralmente crollato in borsa, trascinando con sé l’intera GPF sottoscritta dagli attori.

Gli attori hanno censurato il comportamento di parte convenuta sotto numerosi profili, soprattutto evidenziando la violazione degli obblighi di informazione gravanti sulla banca, sia in relazione all’investimento offerto in sé considerato, sia in relazione alla mancata indicazione di investimenti alternativi, quali proprio le GPF privilegiate, ovvero – tenuto conto che l’investimento de quo era rappresentato da una gestione monomarca, ossia che investiva in fondi/quote di fondi di società collegate al gruppo - altre GPF plurimarca, per le quali essi affermavano un sicuro maggiore rendimento di almeno il 10%.

Ciò premesso, veniva richiesta la condanna della banca al risarcimento di tutti i danni conseguiti all’illecito comportamento, quantificati non solo nella perdita di capitale subita, bensì anche nel mancato rendimento che le GPF privilegiate avevano ad altri assicurato, ovvero in quel 10% in più che le gestioni plurimarca avrebbero garantito, ovvero ancora nell’interesse corrisposto per investimenti in titoli di Stato. Oltre a ciò, doveva trovare riconoscimento anche la voce relativa al danno esistenziale patito dagli attori.

La Bipop Carire S.p.A. si è costituita regolarmente in giudizio con comparsa del 29/04/2002, nella quale ha contestato tutte le pretese attoree precisando, innanzi tutto, che il fenomeno delle GPF privilegiate era stato posto in essere da alcuni dipendenti/consiglieri del CdA in maniera del tutto occulta rispetto alle scelte gestionali della banca (che dunque - all’epoca dei fatti - non ne sapeva niente), la quale aveva comunque - una volta scoperto i fatti - provveduto ai necessari accantonamenti. In secondo luogo, quanto al caso specifico degli attori, la banca ha evidenziato di aver rispettato pienamente la normativa di settore, soprattutto in relazione agli obblighi informativi, avendo provveduto alla piena “personalizzazione” del rapporto con i propri clienti. Ha chiesto, quindi, il rigetto di tutte le domande formulate da controparte.

Il giudice istruttore, ritenuta inutile l’istruttoria orale della causa, ha proceduto all’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, affidata al Dott. Roberto Pallaver, diretta a descrivere, anche nei dettagli, con riguardo ai singoli fondi che lo componevano, l’investimento oggetto di causa; ciò al fine di evidenziare, in primis, di quali elementi i sottoscrittori fossero stati resi edotti al momento della stipula del contratto, in secundis, quale fosse stata l’incidenza del titolo Bipop-Carire sulla complessiva GPF de qua, in tertiis, quali fossero gli investimenti alternativi offerti dalla banca nel periodo in questione.

Con il deposito della consulenza, il Giudice ha ritenuto esaurita la fase istruttoria e matura la causa per la decisione; ha fissato, dunque, per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 17/05/2007, all’esito della quale la causa, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda attorea va accolta nei limiti e per le ragioni che di seguito s’illustrano.

1) Nullità dedotte per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni

Mentre nell’atto introduttivo del giudizio gli attori hanno chiesto - previo accertamento della violazione, da parte della banca, di una serie di obblighi su di essa gravanti ex lege in relazione al comportamento da tenere nei confronti del cliente nello svolgimento dei servizi d’investimento ed accessori - esclusivamente la condanna della banca al risarcimento del danno, in sede di precisazione delle conclusioni hanno introdotto un ulteriore, preliminare, motivo di merito: quello della nullità del contratto d’investimento per cui è causa ai sensi a) dell’art. 23 D.lgs. n. 58/98 (d’ora in poi TUF) e art. 1325, n. 4, c.c. (difetto di forma scritta), per non avere la sig.ra Caia apposto la propria firma in calce alla linea di gestione prescelta (GPF Prisinvest - Obiettivo Crescita), al piano di accumulo e alle “norme che regolano il contratto di gestione di portafogli di investimento”, b) dell’art. 30, comma 7, TUF, in quanto il contratto, concluso fuori sede, non conterrebbe la clausola sulla facoltà di recesso dell’investitore entro il termine di sette giorni dalla stipula.

Nelle comparse conclusionali entrambe le parti hanno preso posizione ed argomentato ampiamente sul punto: gli attori sostenendo che, trattandosi di nullità, le medesime sarebbero rilevabili, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio, mentre la convenuta ha eccepito l’inammissibilità della relativa deduzione, in quanto tardivamente introdotta nel giudizio.

La questione non appare di immediata soluzione, dovendosi coordinare il potere del giudice di dichiarare, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c., con altri fondamentali principi del processo civile, quali il principio della domanda ex artt. 99 e 100 c.p.c., il principio della corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c. ed il sistema delle preclusioni processuali introdotte con la novella n. 353/90 ex artt. 163, 167 e 183, comma 4 e 5, c.p.c. (quest’ultimo applicabile ratione temporis al presente giudizio): orbene, come precisato dalla Suprema Corte, “il giudice, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, è tenuto a rilevare la nullità in qualsiasi stato e grado del giudizio solo quando sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione del contratto, perché in tale ipotesi la validità dell’atto si pone come elemento costitutivo della domanda. Se, invece, la domanda è diretta a far dichiarare l’invalidità del contratto, la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni di illegittimità dedotte dalla parte, perché, in tale ipotesi, la nullità si pone come elemento costitutivo della domanda” (Cass. sent. n. 18210/2004); tale principio risulta confermato in altre pronunce, quali quella di cui alla sentenza n. 20548/04, nella quale si afferma quanto segue: “Il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità dell’atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e trova applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea (ad esempio, di esecuzione di un nullo), non anche quando sia invece la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, dovendo in tal caso la pronuncia del giudice essere circoscritta alle ragioni di illegittimità denunciate dall’interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d’ufficio o tardivamente indicati, giacché in tal caso l’invalidità dell’atto si pone come elemento costitutivo della domanda attorea”.

Applicando tali principi al caso di specie, va osservato che gli attori, fin dall’inizio, non hanno chiesto al giudice di pronunciare in ordine all’applicazione o all’esecuzione del contratto, nel qual caso la valutazione della sua validità o meno, in quanto elemento costitutivo della domanda, sarebbe stata possibile per il giudice senza limiti di tempo; al contrario, gli attori, sul presupposto di un comportamento scorretto della banca, hanno chiesto di accertare la violazione da parte di. quest’ultima di norme comportamentali imposte dalla legge, a seguito delle quali gli attori avrebbero subito una serie di danni, di cui hanno chiesto il risarcimento. Quindi, fin dall’inizio gli attori hanno voluto che il giudice conoscesse dell’illegittimità di atti e comportamenti, con la conseguenza che la declaratoria di un motivo di nullità/invalidità diverso da quello originariamente prospettato, e formulato oltre il termine processuale consentito, costituendo una pronuncia su domanda nuova, comporterebbe una violazione del principio dispositivo, e quindi un vizio di cd. ultrapetizione. Le due eccezioni di nullità, dedotte per la prima volta dagli attori in sede di precisazione delle conclusioni, vanno, in conseguenza di quanto esposto, dichiarate inammissibili.

2) La violazione degli obblighi di informazione.

2.1) Obblighi di informazione e altri principi che presiedono il corretto svolgimento dei servizi d’investimento

Lamentano gli attori che la banca convenuta avrebbe violato i precetti fondamentali sanciti per il settore specifico di riferimento (intermediazione mobiliare) dagli articoli 21 e 92 TUF, 26 Reg. Consob n. 11522/98, 70 TUB, oltre che quelli generali di cui all’art. 1176 c.c. (mandato professionale): in pratica, avendo la banca consentito la stipula, con un numero molto limitato di clienti, di Gestioni Patrimoniali in Fondi “privilegiate” - nel senso che a questi clienti veniva garantita quanto meno la restituzione del capitale investito, o comunque la corresponsione, oltre il capitale, di un rendimento minimo, fisso o variabile -, essa avrebbe con ciò non solo violato, in sé e per sé, le regole sopra indicate, dettate per il corretto svolgimento dei servizi d’investimento, finalizzate a garantire, in qualunque momento, un rapporto banca cliente improntato a principi di lealtà, trasparenza, correttezza e diligenza, ma soprattutto provocato una serie di conseguenze patrimoniali a catena, negative per la banca convenuta, le quali avrebbero causato il crollo del titolo Bipop Carire, quest’ultimo contenuto nella GPF (standard) offerta ai propri (non privilegiati) clienti Tizio e Caia. Sotto questo profilo, possono ritenersi senz’altro pacifici, ovvero dimostrati sulla scorta della copiosa documentazione prodotta (vedi annotazione di PG sub doc. 8, nonché relazione Price Waterhouse Coopers, relazione ispettiva preliminare Consob 17/12/01, relazione Banca d’Italia, sub doc. 3-5, tutti dimessi da parte attrice), i fatti così come di seguito ricostruiti. La Bipop Carire, a partire dall’aprile 1999 e fino al 1° luglio 2001 (data dell’ultimo rinnovo di una preesistente garanzia già concessa, v. pag. 24 Relazione preliminare Bipop Carire del 17/12/2001), ha concesso ad un numero limitato di clienti (parrebbe 247) di investire in GPF “garantite”, nelle quale, cioè, i medesimi non avrebbero corso i rischi normalmente collegati all’investimento in fondi (di qualunque natura essi fossero, ossia azionari, obbligazionari, monetari o misti), dal momento che la banca, a fianco del contratto d’investimento, sottoscriveva una lettera di garanzia, con la quale - per l’appunto - si garantiva al cliente il rimborso del capitale, in caso di perdite, ovvero un tasso di rendimento, fisso o variabile, comunque normalmente non inferiore al 2,5% e non superiore al 6% del capitale conferito alla data del rilascio della garanzia. Di tale fenomeno la banca, in quanto ente autonomo e distinto dalla persone fisiche dei suoi dipendenti, parrebbe non aver avuto conoscenza ufficiale fino alla fine di settembre 2001, quanto il Collegio Sindacale, venuto a sapere della sottoscrizione da parte della banca di impegni di garanzia su gestioni di portafogli di investimento, resosi conto della gravità della situazione, iniziava la propria attività ispettiva, convocava il Consiglio d’Amministrazione, informandone contestualmente la Consob. Ritenuta l’urgenza della situazione, anche il Consiglio d’Amministrazione si attivava, nominando dapprima una commissione interna d’esame (Commissione Rinaldi, dal nome dei consigliere incaricato, con compiti precipui di ricerca della documentazione cartacea, audizione delle persone coinvolte, acquisizione di dichiarazione scritte al fine di ricostruire la catena decisionale, individuare le motivazioni commerciali sottostanti e offrire una prima stima del rischio collegato alle “dichiarazioni aggiuntive” rilasciate a fronte delle GPF), e poi una società esterna specializzata, la Price Waterhouse di Milano (avente il compito, fra l’altro, di valutare gli effetti sui bilanci di fine 1999 e 2000 e su quelli infrannuali di giugno e settembre 2001, originati dagli impegni assunti mediante la concessione delle predette “garanzie”). La banca decideva, in seguito, di acquisire dei pareri legali ulteriori rispetto a quello del proprio Ufficio legale, in ordine alla natura giuridica di queste lettere di garanzia e alla loro validità ed efficacia (prof. Avv. Morera sub doc. 6 degli attori, Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo sub doc. 7, avv. Rocchi). A prescindere dalla questione della legittimità o meno delle cd. lettere di garanzia (la maggior parte dei giuristi che si sono espressi sul punto parrebbe ritenerle illegittime, pur non mancando l’opinione contraria non solo dell’avv. Rocchi, ma anche della stessa Commissione Ispettiva nominata dalla Consob, che ha ritenuto di dover concludere, quanto al fenomeno delle GPF “garantite”, che esso “non contrasta in linea di principio con la disciplina legislativa e regolamentare vigente”, come si legge a pag. 42 della Relazione del 17/12/01), certo e indiscutibile, come risulta da tutte le relazioni predisposte dai soggetti (istituzionali e non) che hanno indagato sulla vicenda complessiva, è che questo comportamento della banca ha ampiamente violato il precetto che vuole la banca “svolgere una gestione indipendente, sana e prudente”, oltre che “adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati”. Su questo punto il dato è certo: la Bipop Carire, a fronte di questo sistema di GPF “privilegiate”, che per la banca evidentemente rappresentava un peso non da poco, dal momento che venivano garantiti capitali o rendimenti su capitali di centinaia di migliaia di euro, non ha saputo predisporre meccanismi adeguati di copertura delle garanzie concesse, né provvedere ad un adeguato controllo interno che evitasse o arginasse il fenomeno. L’impatto totale sul conto economico della banca negli anni 1999, 2000 e 2001 delle GPF “garantite” sarebbe stato, secondo quanto accertato dall’Autorità Giudiziaria (v. relazione di PG sopra citata), pari oltre nove milioni di euro per le GPF già estinte prima del 2001, e di oltre 87 milioni di euro per le GPF ancora aperte ad ottobre 2001 e chiuse nei primi mesi del 2002. Tutto ciò per dire che effettivamente il comportamento della banca, non tanto nel concedere le garanzie in questione, quanto nel non predisporre meccanismi di copertura delle (sicure) relative perdite, ha senza dubbio avuto efficienza causale diretta nella determinazione del crollo del titolo Bipop, avvenuta - una volta scoppiato il caso - in data 12/10/2001. Questa conclusione, tuttavia, non appare sufficiente, ad avviso dello scrivente, per affermare con certezza che la perdita sub a dall’investimento effettuato dai coniugi Tizio/Caia sia conseguenza immediata e diretta del crollo del titolo Bipop. Come accertato dal c.t.u. nominato in corso di causa, suffragato dalla documentazione esaminata, con ragionamento ineccepibile dal punto di vista logico e motivazione adeguata, la ricostruzione analitica del portafoglio di investimento dei clienti Tizio/Caia e dunque dei singoli fondi, tra i quali risultava aver investito la società di gestione, ha evidenziato una presenza del titolo Bipop Carire non solo indiretta - nel senso che mancava un investimento diretto in titoli della banca, pur essendo il titolo Bipop Carire contenuto in alcuni dei fondi interessati dalla GPF in esame -, ma comunque, in relazione ai fondi contenenti investimenti nel titolo de quo, assolutamente minimale e marginale, diversificata nel tempo, al massimo pari al 2,12% (all’inizio del rapporto, il 06/03/2000) e per poi scendere allo 0,277931% (al momento del crollo del titolo, il 12/10/2001) e allo 0,106516% (al momento di chiusura del rapporto, il 24-27/03/2003) del complessivo portafoglio Tizio/Caia. Da ciò la conclusione, cui si aderisce pienamente, che non è ragionevole ritenere che lo stravolgimento del titolo Bipop Carire (conseguente sì a tutte le violazioni di cui si è detto) abbia potuto determinare un “effetto domino” sul rimanente portafoglio, il quale ha subito la maggiore svalorizzazione nel trimestre chiuso al 30/09/01 (che rispetto al precedente trimestre ha evidenziato un meno 30%) e dunque prima della ufficializzazione del crollo del titolo Bipop Carire, a conferma che sono intervenuti altri e più gravi fatti congiunturali (si pensi all’attentato alle torri gemelle di New York dell’11/09/2001) che hanno generalizzato un crollo dei mercati finanziari. Concludendo, in ordine alla correlazione tra danno lamentato dagli attori e comportamento illegittimo della banca sotto il profilo della sana e prudente gestione, il giudice ritiene che, dal punto di vista eziologico, la perdita subita dagli attori non possa ritenersi conseguenza diretta ed immediata della condotta tenuta dalla parte convenuta, quanto piuttosto conseguenza della tipologia di investimento prescelto (a rischio elevato, in quanto composto da fondi per lo più azionari, specializzati non solo nel mercato domestico, ma anche in quello estero) e della fase congiunturale negativa a livello mondiale affrontata, a partire dalla seconda metà del 2001, dal mercato finanziario.

2.2.) Obblighi di informazione e adeguatezza dell’investimento.

Diversa conclusione deve raggiungersi per quanto riguarda la violazione specifica - in sé e per sé considerata - degli obblighi di diligenza, trasparenza, informazione gravanti sull’intermediario finanziario ai sensi della normativa di settore nell’ottica di tutela del cliente - parte debole del rapporto - a fronte di investimenti in servizi finanziari eccessivamente rischiosi.

In particolare, l’art. 21 TUF, comma 1, prevedeva - nella sua versione vigente all’epoca dei fatti - per quanto d’interesse, quanto segue: “Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”.

L’art 28 del regolamento Consob 11522/1998 disciplina, poi, articolatamente, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario nei confronti del cliente, in particolare prevedendo che prima della stipula del contratto di gestione, gli intermediari debbano, ai sensi del primo comma, “a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3” e che essi non possano, per espressa previsione del secondo comma “effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”.

Segue l’art. 29, relativo proprio alla condotta da tenere da parte degli intermediari per l’ipotesi di operazioni “non adeguate”, il quale impone agli intermediari - tenuto conto delle informazioni di cui all’articolo 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati - di astenersi “dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione”, informando il cliente “di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione”. Aggiunge, infine, la disposizione che “qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. Si precisa, ad abundantiam, che tale chiara e significativa disciplina dei doveri informativi dell’intermediario, con riferimento all’analisi dell’adeguatezza del servizio d’investimento rispetto alle capacità e conoscenze del cliente, già consacrata nel regolamento Consob n. 11522/98, ha ora trovato positivo riconoscimento all’interno dello stesso articolo 21 TUF, comma 1, lett. a), a seguito della modifica apportata dall’art. 14 della legge 262/2005. Dunque, l’intermediario deve informarsi ed informare: in altre parole, deve acquisire dal cliente tutte le informazioni necessarie per comprendere quale propensione al rischio il soggetto possegga, propensione che deve risultare dalla tipologia, oggetto, frequenza, dimensione degli investimenti già effettuati dal cliente; una volta acquisiti tali elementi, potrà essere offerto un determinato servizio d’investimento, il quale deve essere adeguate alla “storia” finanziaria del soggetto. In caso contrario, l’intermediario deve “astenersi” - dice letteralmente la normativa - dall’effettuare l’operazione d’investimento inadeguata, informando il cliente delle ragioni di tale comportamento; l’astensione non sarà, poi, più necessaria, quando il cliente, nonostante tutto, voglia procedere all’investimento e lo manifesti espressamente nella forma richiesta. La valutazione dell’adeguatezza delle operazioni costituisce, quindi, un momento essenziale della corretta prestazione dei servizi di investimento nei confronti di investitori non qualificati, con la conseguenza che essa deve essere sempre effettuata. Nel caso di specie, al contrario, tale valutazione risulta mancare del tutto: nel documento informativo del cliente, sottoscritto da entrambi i signori Tizio e Caia, relativo al contratto di gestione per cui è causa (GPF Prisinvest) non risulta, infatti, acquisita alcuna informazione relativamente alla “esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari” e alla “situazione finanziaria” dell’investitore; anzi risulta una crocetta, cui la sottoscrizione dei clienti farebbe evidente riferimento, alla voce “il cliente non ha ritenuto di fornire le informazioni richieste” relativamente a tali due aspetti, mentre l’unico altro punto segnato attiene agli “obiettivi di investimento e propensione al rischio”, ove a fronte di quattro indicazioni [ovvero 1) pura redditività - minimo grado di rischio (Obiettivo Protezione), 2) redditività con elementi di rivalutabilità - basso grado di rischio (Obiettivo Protezione/Obiettivo reddito), 3) compresenza di redditività e rivalutabilità legata all’andamento dei corsi e dei cambi - medio grado di rischio (Obiettivo Reddito/Obiettivo Crescita) e 4) prevalenza della rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi e dei cambi - alto grado di rischio (Obiettivo Crescita/Obiettivo Sviluppo)], i due investitori hanno scelto con una crocetta quello indicato al numero 3). Tutto ciò considerato, appare evidente che la Bipop Carire, nello stipulare il contratto de quo, non ha rispettato le norme che presiedono la fase preliminare di assunzione delle informazioni e di verifica dell’adeguatezza del servizio d’investimento offerto al cliente. Come abbia ritenuto che l’operazione fosse adeguata non è dato sapere (né la banca ha dedotto di aver fornito informazioni suppletive, ovvero di aver acquisito un ordine scritto ai sensi dell’art. 29 del Reg. Consob 11522/98, ora seconda parte del primo comma dell’art. 21 TUF), né del resto rileva, dal momento che, in ogni caso, già la mancanza di dati circa la precedente esperienza in materia di investimenti avrebbe dovuto indurre la banca a non consigliare l’investimento nella GPF Prisinvest “Obiettivo Crescita”, il quale, va sottolineato, non risulta nemmeno essere un investimento “a medio grado di rischio” (come i clienti avrebbero indicato, apponendo la crocetta alla relativa voce di cui sopra), risultando - invece - qualificato nel contratto come investimento “a grado di rischio medio/alto”. L’inadeguatezza delle informazioni fornite dalla banca in relazione alla specifica operazione finanziaria posta in essere integra, pertanto, una fattispecie di comportamento sleale, ossia contrario a quella buona fede che deve presiedere, ai sensi dell’art. 1337 c.c. e 21 TUF, 28-29 Reg. Consob 11522/98 la fase pre-contrattuale. La violazione di queste regole di condotta obbliga al risarcimento del danno patito dai clienti Tizio/Caia.

3.) Il risarcimento del danno

Nel presente caso che, come detto, riguarda un’ipotesi di comportamento scorretto dell’intermediario nella fase delle trattative e prima della conclusione del contratto, il risarcimento viene parametrato alla perdita subita per effetto dell’investimento: tale investimento, infatti, deve ritenersi che sia stato posto in essere senza che i clienti avessero avuto completa conoscenza dei rischi collegati; l’importo dovuto, in termini di danno emergente, risulta, pertanto, pari alla differenza tra quanto investito il 6/03/00 e quanto liquidato il 24/03/2003, secondo quanto indicato dal c.t.u. pari ad € 16.944,67 (€ 25.822,84 - 8.878,17). In ordine al lucro cessante, che consiste nel minor vantaggio conseguito a causa dell’illegittimo comportamento della controparte, per non aver potuto usufruire di occasioni alternative di affari, nulla di quanto richiesto da parte attrice può essere riconosciuto: di certo non può attribuirsi quel quid pluris che costituiva il “privilegio” delle GPF cd. garantite, dal momento che, non solo il privilegio poteva avere forme diverse (anche disancorate dall’applicazione di un tasso ad un capitale), ma soprattutto perché esso non costituiva un’alternativa reale ed ufficiale per i clienti della Bipop Carire, trattandosi di un fenomeno occulto e - per le sue modalità di gestione - illegittimo, che, in quanto tale, non può costituire parametro di riferimento per alcuna pretesa risarcitoria. Né il danno da lucro cessante può riconoscersi nella misura di quell’asserito 10% di rendimento in più che un investimento in gestioni plurimarca (ovvero in fondi non promossi o gestiti dalla stessa società che offre il servizio di gestione o ad altre società facenti parte del gruppo della medesima) garantirebbe rispetto alle gestioni monomarca (qual è quella per cui è causa, dove i fondi erano tutti gestiti dalla società Cisalpina Gestioni S.p.A., controllata dalla stessa Bipop Carire nella misura del 78,45%): in primo luogo, perché non è stato dimostrato l’assunto che tali gestioni rendano effettivamente di più e in quale misura (lo studio Consob cui fanno riferimento gli attori non è stato oggetto di verifica ed esame), in secondo luogo, in quanto non è dato sapere se la Bipop-Carire offriva, oltre alle GPF monomarca, anche GPF plurimarca - essendo evidente che il raffronto va fatto tra gli strumenti finanziari offerti dalla banca interessata e non da altri possibili soggetti; a tale proposito può, tuttavia, desumersi dagli atti di causa (v. pag. 30/32 della relazione c.t.u. in relazione ai prodotti offerti da Bipop-Carire in alternativa a quello sottoscritto dagli attori, e pag. 32 della c.t.p. del Prof. Annunziata, di parte convenuta) che, delle altre due GPF offerte da Bipop Carire nel periodo di riferimento, a) la GPF Evolution fosse anch’essa una gestione monomarca (dal momento che il patrimonio gestito veniva investito totalmente o in prevalenza in fondi “Cisalpino” e “Putnam”, ovvero in fondi emessi da Cisalpina Gestioni S.p.A. o da altre società del gruppo Bipop Carire), mentre b) la GPF Personal Invest rappresentava un prodotto più evoluto, difficilmente comparabile alle gestioni Prisinvest ed Evolution, destinato ad investitori aventi ancora una maggior esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari; tale ultima circostanza permette, ritenuta la non adeguatezza dell’investimento Prisinvest ai clienti Tizio/Caia, di escludere a priori, indipendentemente dalla natura mono o plurimarca della GPF Personal Invest, che questa gestione alternativa potesse interessare e/o essere offerta agli attori. Nemmeno può essere riconosciuto il tasso corrisposto per i BOT o altri titoli di Stato, dal momento che non è noto se gli attori fossero investitori in tal senso, né quali fossero le quotazione all’epoca dei fatti. Sull’importo capitale vanno, invece, riconosciuti gli interessi legali, a far data dal 06/03/2000 (giorno di conclusione del contratto d’investimento) e fino al saldo. In ordine al danno esistenziale lamentato dagli attori, anche a prescindere dall’ammissibilità di tale categoria di danno quale conseguenza di una violazione contrattuale (il mero riferimento all’art. 2043 c.c., senza ulteriori indicazioni in fatto, non consente una diversa conclusione), va ricordato che con tale nozione s’intende una compromissione dell’esistenza quotidiana, “naturalisticamente” accertabile e percepibile, che si traduce in una serie di modificazioni negative del normale svolgimento della vita lavorativa, familiare, culturale, di svago; in altre parole, si tratta di “un non poter più fare, un dover agire altrimenti”; orbene, dati questi presupposti, va rilevato che gli attori assolutamente nulla hanno allegato/dedotto in relazione alle modificazioni della vita quotidiana che essi avrebbero subito per effetto della perdita economica conseguente all’investimento. La relativa domanda deve, quindi essere respinta.

4.) Le spese del processo

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste integralmente a carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bolzano, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Consuelo Pasquali, definitivamente pronunciando nella vertenza pendente sub R.G. 337/2002, promossa da Tizio e Caia nei confronti di Bipop Carire S.p.A., così pronuncia:

dichiara

inammissibili le eccezioni di nullità sollevate dagli attori in sede di precisazione delle conclusioni;

accerta e dichiara

che l’investimento di cui al contratto di gestione di portafogli di investimento Prisinvest, Obiettivo Crescita, stipulato dagli attori in data 06/03/2000 con la convenuta, non era adeguato ai sensi del combinato disposto dagli articoli 21, comma 1, lett. a) e b), D.lgs. n. 58/98, e 28 e 29 del Reg. Consob n. 11522/1998, al profilo dei clienti;

accerta e dichiara

che la violazione degli obblighi informativi di cui agli articoli 21, comma 1, lett. a) e b), Dlg. n. 58/98, e 28 e 29 del Reg. Consob n. 11522/1998, da parte della Bipop Carire S.p.A. ha provocato agli attori un danno economico quantificato nel capitale perduto, pari ad € 16.944,67, oltre agli interessi legali dal dì dell’investimento (6/03/2000) al dì del saldo;

condanna

la Bipop Carire S.p.A. a pagare agli attori Tizio e Caia l’importo di € 16.911,67, oltre agli interessi legali dal 6/03/2000 al saldo;

rigetta

la domanda di risarcimento del danno esistenziale;

condanna

la Bipop Carire S.p.A., a rifondere agli attori le spese del giudizio, che si liquidano in € 9.000,00 per onorari, € 3.603,89 per diritti e € 347,17 per spese imponibili, € 908,69 per spese escluse, oltre alle spese forfetarie come da tariffa professionale e ad IVA e CPA come per legge, con distrazione delle spese in favore dei procuratori, che se ne sono dichiarati antistatari.

Così deciso in Bolzano, il 20 ottobre 2007

Depositato in cancelleria il 3 novembre 2007