Tribunale di Milano: diritto di prelazione sulle quote di società subordinato all’accettazione di chi vende
Il Tribunale di Milano ha rigettato le pretese degli attori che chiedevano il riconoscimento del diritto di prelazione in relazione alla vendita, da parte dei convenuti, delle quote della società.
La vicenda riguarda la dichiarazione di volontà di alcuni soci di vendere le quote di loro proprietà attraverso la c.d. denuntiatio e la successiva comunicazione di volerle acquistare da parte degli attori della causa.
Questi ultimi sostenevano che i convenuti dovessero adempiere all'obbligo di vendere loro le azioni a seguito dell'esercizio del diritto di prelazione nell'acquisto delle stesse, circostanza che non si era verificata poiché i convenuti non avevano proceduto alla vendita delle azioni.
Il Giudice di prima istanza ha ritenuto di aderire all’interpretazione della dottrina, secondo la quale “la denuntiatio rappresenta invece la mera dichiarazione di una intenzione a vendere ad un terzo, volta ad innescare una eventuale proposta di acquisto da parte dell’oblato, alle medesime condizioni dichiarate nella denuntiatio, proposta alla quale, dunque, per la conclusione del negozio di cessione, deve far seguito una ulteriore accettazione del denunziante, solo in presenza della quale si può dire concluso il negozio”.
Tale interpretazione consente di controllare l’evoluzione delle originarie proporzioni di partecipazione e deve “consentire anche al socio intenzionato alla vendita di valutare, una volta che alla sua denuntiatio abbia fatto seguito l’esercizio del diritto di prelazione da parte di altri soci, l’opportunità di cessione a soci diversi da quelli originariamente da lui individuati quali acquirenti”.
Nel caso di specie, invece, alla dichiarazione di voler esercitare il diritto di prelazione non è seguita alcuna manifestazione di accettazione di tale volontà, motivo per cui “lo stato di rapporti tra le parti – sottolinea il Tribunale – può dunque essere ricondotto ad una fase precontrattuale, evidentemente interrottasi senza pervenire alla conclusione né del negozio di cessione né di contratto preliminare”.
Per tali motivi, il Tribunale di Milano ha rigettato le pretese proposte dagli attori, compensando le spese di lite tra le parti.
(Tribunale di Milano, sentenza 24 aprile 2013, n. 5705)
Il Tribunale di Milano ha rigettato le pretese degli attori che chiedevano il riconoscimento del diritto di prelazione in relazione alla vendita, da parte dei convenuti, delle quote della società.
La vicenda riguarda la dichiarazione di volontà di alcuni soci di vendere le quote di loro proprietà attraverso la c.d. denuntiatio e la successiva comunicazione di volerle acquistare da parte degli attori della causa.
Questi ultimi sostenevano che i convenuti dovessero adempiere all'obbligo di vendere loro le azioni a seguito dell'esercizio del diritto di prelazione nell'acquisto delle stesse, circostanza che non si era verificata poiché i convenuti non avevano proceduto alla vendita delle azioni.
Il Giudice di prima istanza ha ritenuto di aderire all’interpretazione della dottrina, secondo la quale “la denuntiatio rappresenta invece la mera dichiarazione di una intenzione a vendere ad un terzo, volta ad innescare una eventuale proposta di acquisto da parte dell’oblato, alle medesime condizioni dichiarate nella denuntiatio, proposta alla quale, dunque, per la conclusione del negozio di cessione, deve far seguito una ulteriore accettazione del denunziante, solo in presenza della quale si può dire concluso il negozio”.
Tale interpretazione consente di controllare l’evoluzione delle originarie proporzioni di partecipazione e deve “consentire anche al socio intenzionato alla vendita di valutare, una volta che alla sua denuntiatio abbia fatto seguito l’esercizio del diritto di prelazione da parte di altri soci, l’opportunità di cessione a soci diversi da quelli originariamente da lui individuati quali acquirenti”.
Nel caso di specie, invece, alla dichiarazione di voler esercitare il diritto di prelazione non è seguita alcuna manifestazione di accettazione di tale volontà, motivo per cui “lo stato di rapporti tra le parti – sottolinea il Tribunale – può dunque essere ricondotto ad una fase precontrattuale, evidentemente interrottasi senza pervenire alla conclusione né del negozio di cessione né di contratto preliminare”.
Per tali motivi, il Tribunale di Milano ha rigettato le pretese proposte dagli attori, compensando le spese di lite tra le parti.
(Tribunale di Milano, sentenza 24 aprile 2013, n. 5705)