Un caso di tutela del diritto d’autore nelle opere frutto di creazione comune

La pronuncia della Corte d’Appello di Bologna
Creatività
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Indice

1. Premessa

2. La decisione del Tribunale

3. La decisione della Corte d’Appello

 

1. Premessa

La legge sul diritto d’autore e diritti connessi n. 633 del 22 aprile 1941 protegge le opere d’ingegno di carattere creativo che appartengono a vari ambiti, dalla letteratura ai software. In particolare, il legislatore si è occupato di regolare la disciplina delle opere creative frutto del contributo di più soggetti.

All’articolo 10 della suddetta legge, infatti, si dispone che:

Se l’opera è stata creata con il contributo indistinguibile ed inscindibile di più persone, il diritto d’autore appartiene in comune a tutti i coautori.

Le parti indivise si presumono di valore uguale, salvo la prova per iscritto di diverso accordo.

Sono applicabili le disposizioni che regolano la comunione. La difesa del diritto morale può peraltro essere sempre esercitata individualmente da ciascun coautore e l’opera non può essere pubblicata, se inedita, né può essere modificata o utilizzata in forma diversa da quella della prima pubblicazione, senza l’accordo di tutti i coautori. Tuttavia, in caso di ingiustificato rifiuto di uno o più coautori, la pubblicazione, la modificazione o la nuova utilizzazione dell’opera può essere autorizzata dall’autorità giudiziaria, alle condizioni e con le modalità da essa stabilita.  

Per rientrare, dunque, nell’ambito di applicazione di tale norma è indispensabile che più soggetti prendano parte alla creazione dell’opera, apportando ciascuno un proprio contributo.

Su tale argomento ha deciso con sentenza la Corte d’Appello di Bologna, la quale, definendo un giudizio di impugnazione di una sentenza emessa dal Tribunale ordinario di Bologna, ha affrontato il tema della comunione nel diritto d’autore.

 

2. La decisione del Tribunale

A seguito della realizzazione di un progetto di promozione della Regione Emilia Romagna, l’attore, uno studio di progettazione, chiedeva al suddetto Tribunale di vedersi riconoscere il diritto d’autore per l’opera realizzata – in capo alla titolare – e di accertare e dichiarare che il convenuto, cioè il Consorzio Emilia Romagna creato appositamente per il progetto, aveva utilizzato senza autorizzazione le opere di ingegno realizzate, le quali ricomprendevano progetti, elaborati grafici, supporti audio, fotografici e video.

Il convenuto aveva eccepito innanzitutto la carenza di legittimità dello Studio, in quanto soggetto fisico distinto dal titolare, unico legittimato ad avanzare una qualunque pretesa; inoltre, eccepiva la sussistenza della comunione di diritti ai sensi dell’articolo 10 della legge sul diritto d’autore, in quanto l’opera era stata considerata come frutto di un lavoro collettivo; infine, sosteneva che l’uso dell’opera fosse legittimo, avendo il convenuto acquistato “ogni facoltà di sfruttamento” dei lavori eseguiti dall’attore.

Il Tribunale, con sentenza n.2090/2015, rigettando la domanda dell’attore, concentrava la sua analisi principalmente sull’applicazione al caso in oggetto dell’articolo 10 della legge sul diritto d’autore. Il convenuto aveva, infatti, provato che l’opera oggetto della controversia, realizzato graficamente dalla parte attrice, era il frutto del contributo di più soggetti, il cui apporto era inscindibile e indistinguibile, e, pertanto, doveva applicarsi la disciplina della comunione, così come espressamente richiamata dall’articolo 10. La parte attrice, in qualità di contitolare, mancava della legittimazione ad agire senza il consenso degli altri soggetti e, trattandosi di un atto di straordinaria amministrazione, era necessario provare il consenso ex articolo 1108 codice civile («Innovazioni e altri atti di ordinaria amministrazione»); prova non raggiunta che ha comportato il rigetto della domanda.

 

3. La decisione della Corte d’Appello

L’appello proposto dall’attrice si basava sulla considerazione che gli altri soggetti che avevano partecipato alla realizzazione del progetto non avrebbero dovuto considerarsi come contitolari del diritto d’autore ma come semplici prestatori d’opera che, in forza di un contratto di collaborazione con lo Studio di progettazione, avevano eseguito la loro prestazione. Dalle prove esaminate in primo grado dal Tribunale e successivamente dalla Corte emerge che l’opera doveva indiscutibilmente considerarsi come oggetto di comunione, in quanto frutto della partecipazione paritaria di più soggetti, che avevano contribuito alla creazione del progetto.

Pertanto, basandosi su una corretta interpretazione dell’articolo 10 della legge sul diritto d’autore e della disciplina della comunione si esclude “la possibilità, per uno dei soggetti compartecipi per la realizzazione dell’idea, di agire senza la previa dimostrazione di avere il consenso degli altri, per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione quale quello volto a regolamentare e pretendere i diritti di sfruttamento economico”.

Il punto centrale su cui pertanto si è concentrata la Corte è il riconoscimento del diritto morale d’autore, disciplinato dall’articolo 10, comma 3 della legge sul diritto d’autore. Tale comma, prescrivendo che “la difesa del diritto morale può peraltro essere sempre esercitata individualmente da ciascun coautore” esprime, secondo la costante dottrina, un principio generale sull’appartenenza dei diritti morali d’autore applicabile a tutte le opere soggettivamente complesse. La distinzione che, tuttavia, compie la dottrina è tra due categorie di facoltà morali, le quali, se esercitate, possono:

  • pregiudicare gli interessi degli altri autori, o
  • non determinare questo conflitto.

Nella prima categoria rientrano il diritto di mantenere l’opera inedita o di ritirarla dal commercio: in tal caso, la loro difesa può essere esercitata solo in forma congiunta da tutti i coautori dell’opera. Diversamente nella seconda categoria, in quanto il diritto di rivendicare la paternità dell’opera o di opporsi alle modificazioni dell’opera lesive del proprio onore e reputazione può essere esercitato anche in via disgiunta.

Nel caso concreto si è riscontrata la mancanza di legittimazione dello studio (parte attrice nel procedimento di primo grado e in appello), in quanto, coordinando l’articolo 10, comma 3 della suddetta legge e l’articolo 1108 del Codice civile e configurandosi lo sfruttamento economico dell’opera come atto di straordinaria amministrazione, era necessario il consenso di tutti i coautori. Sul piano probatorio, tale consenso non è stato provato, posto che, se vi fosse stato, la legittimazione sarebbe stata piena.

In via residuale la Corte si è concentrata sul mancato riconoscimento da parte del Tribunale del diritto d’autore in riferimento al sito Web del convenuto.

Secondo l’orientamento della Corte, “la protezione del diritto d’autore riguardante programmi per elaboratori (omissis) al pari di quella riguardante qualsiasi opera, postula il requisito dell’originalità, occorrendo pertanto stabilire se il programma sia o meno frutto di un’elaborazione creativa originale rispetto alle opere precedenti, anche quando la stessa sia composta da idee e nozioni semplici, compreso il patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia, purché formulate e organizzate in modo personale ed autonoma rispetto alle precedenti”. Alla luce di ciò la Corte, basandosi sul materiale probatorio a sua disposizione, non ha riscontrato alcun elemento di originalità con riferimento al sito Web e, inoltre, ha affermato che l’attrice ha provato unicamente di aver acquistato il sito Web da un’altra società, ricevendo parte dell’importo pagato dal convenuto, destinatario concreto alla gestione dello stesso.

Pertanto, non avendo raggiunto un adeguato livello probatorio su entrambi i temi oggetto dell’impugnazione, la Corte d’Appello con sentenza n.1743 del 19 giugno 2018 ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna nei confronti dell’attore, respingendo pertanto l’appello proposto.