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Una ciotola di minestra a Bam

Iran
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Sono tempi inusuali. È diffusa la sensazione di essere tornati ad un remoto passato, quando le pestilenze erano usuali flagelli considerati castighi di Dio. Forse, a pensarci bene, qualcosa da farci perdonare l’abbiamo realmente commesso.

Anche io me ne sto rintanato in attesa e speranza di tempi migliori. La mia mente, tuttavia, continua a viaggiare ripercorrendo le pagine di un vecchio diario.

“La gente qui in Iran non cessa di stupire per la sua ospitalità. Ieri ero in una zona di campagna a fare una passeggiata, quando ho visto un contadino corrermi incontro gridando qualcosa. Ho pensato che forse, inavvertitamente, stavo calpestando qualche coltivazione, ma quando mi è arrivato vicino ha aperto il viso in un grande sorriso e da una piega della sua veste ha estratto ortaggi freschi come dono di benvenuto.

Questo genere di situazioni mi sono accadute ripetutamente in diverse zone del Paese. In una scuola coranica di Esfahan gli studenti mi hanno chiesto: “Ti sei mai sentito in pericolo nel nostro Paese?”. Questa domanda esprime la loro incredulità di fronte all’isolamento a cui sono sottoposti dall’Occidente. Quando ho risposto “Beh, veramente sì, ogni volta che devo attraversare le strade a Tehran”, città attraversata da un traffico caotico, ho suscitato una risata liberatoria.

Adesso mi trovo a Bam. La sua fortezza (argh), completamente edificata in grossi mattoni di argilla e paglia cotti al sole, è di una bellezza struggente. Un antico sistema di condutture sotterranee (ghanat) le fornisce l’acqua canalizzata dai monti, senza perdite dovute all’evaporazione.

Dall’alto della collina domina la valle in una posizione strategica lungo gli antichi percorsi commerciali carovanieri della Via della Seta. Nel XVIII secolo è stata distrutta dagli afghani e poi di nuovo sotto la dinastia Qajar nel XIX secolo, ma adesso è tornata al suo splendore. A suo tempo vi è stato girato il film “Il deserto dei tartari”, tratto dal libro di Dino Buzzati, e rappresenta una delle mete di richiamo dell’Iran inserite dall’UNESCO fra i monumenti “Patrimonio dell’Umanità”.

Decido di visitarla con calma per assaporarne adeguatamente il fascino.

La luce è accecante e non si vede gente in giro, ma alla base della struttura, in alcuni ambienti finalizzati al culto, scorgo infine un gruppetto di donne. Sono intente a fare qualcosa ma, sebbene incuriosito, non intendo disturbarle. Frequenti viaggi in Paesi islamici mi hanno insegnato a rispettare i codici locali di comportamento. Ciò non mi impedisce, tuttavia, di dare discretamente di tanto in tanto delle occhiate da lontano.

Le donne, la cui attività non riesco a decifrare, mi scorgono e, inaspettatamente, mi fanno cenno di avvicinarmi. Pur essendo palesemente uno straniero, non mi chiedono il Paese o la religione.

Semplicemente, con un sorriso pieno di dolore, mi offrono una scodella di minestra dicendo: “Prendi, mangia e prega perché c’è una persona malata che ha bisogno anche di te”. Cibo, dolore, preghiera da condividere con uno sconosciuto.

La fortezza di Bam è stata rasa al suolo da un terribile terremoto che ha colpito l’Iran nel 2003.