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Videosorveglianza - Cassazione Penale: utilizzabili le videoriprese per provare le condotte criminose poste in essere dai lavoratori

Videosorveglianza - Cassazione Penale: utilizzabili le videoriprese per provare le condotte criminose poste in essere dai lavoratori
Videosorveglianza - Cassazione Penale: utilizzabili le videoriprese per provare le condotte criminose poste in essere dai lavoratori

La Corte di Cassazione ha stabilito che sono pienamente utilizzabili nei confronti dei lavoratori le riprese video effettuate con l’utilizzo di telecamere installate nei luoghi di lavoro per provare la commissione da parte dei stessi di reati.

 

I giudizi di merito

Nel caso in esame, una lavoratrice era stata accusata di appropriazione indebita per aver sottratto beni di proprietà del datore di lavoro. Condannata in primo grado, il giudizio di penale responsabilità dell’imputata era stato confermato anche dalla Corte d’Appello territorialmente competente, previa rideterminazione del trattamento sanzionatorio per l’esclusione di una aggravante.

I giudici di merito pervenivano a tale decisione sulla base della valutazione delle prove raccolte dalla Pubblica Accusa, in particolare le dichiarazioni di testi e, soprattutto, le riprese visive effettuate dalla telecamera installata all’interno dei locali dell’azienda.

Avverso la suddetta sentenza, il difensore dell’imputata proponeva ricorso per Cassazione, deducendo l’inutilizzabilità delle immagini captate con il sistema di video sorveglianza.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto che del tutto correttamente i giudici di merito avessero utilizzato le riprese video per giungere ad un giudizio di penale responsabilità, applicando un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale “sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio”.

Inoltre, la Corte, ritenendo il ricorso inammissibile per mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende, nonché a rifondere le spese processuali sostenute dal datore di lavoro, costituitosi parte civile.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 30 gennaio 2018, n. 4367)