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Whisteblowing e prevenzione della corruzione

Tiedosto, Paul Gaugin, 1898, National Gallery of Scotland
Tiedosto, Paul Gaugin, 1898, National Gallery of Scotland

Atti dell’intervento di Alessandro Parrotta al seminario del 12 luglio 2019 presso il Comune di Alba (CN), dal tema “Il sistema di segnalazione interna: strumenti di prevenzione alla corruzione alla luce della l. 6 novembre 2012 n. 190 e s.m.i.”, presieduto dal Segretario Generale del Comune di Alba ed accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Asti.

 

Indice

1. Premesse

2. Gli attuali progetti di riforma

3. Sistema o assetti preventivi, quale preferenza.

4. Conclusioni

 

1. Premesse

Negli ultimi due anni il Legislatore ha prestato grande attenzione ed impegno alla lotta ed alla repressione ai reati contro la Pubblica Amministrazione, di riciclaggio, ricettazione e impiego di denaro, beni e utilità̀ di provenienza illecita.

In questo senso, è doveroso citare provvedimenti quali la L. 179/17 in materia di Whistleblowing – sistema di segnalazione interna agli Enti – e la nuova legge anticorruzione (L. 3/19). Questi due provvedimenti sono senz’altro un ottimo punto di partenza per il contrasto ai fenomeni corruttivi perché, da un lato, con la L. 179/17 viene predisposta una tutela per coloro che effettuano la cd. segnalazione di illeciti all’interno di un’azienda, sia per il settore pubblico che privato, mentre, dall’altro lato, la L. 3/19 dispone un severo inasprimento delle pene, anche dal punto di vista della fase di esecuzione.

Tuttavia, la lotta ai reati contro la Pubblica Amministrazione va necessariamente ricollegata non solo all’inasprimento delle pene, ma anche al tema della prevenzione: occorre agire nella fase anteriore alla configurazione del reato, abbassando il rischio che questo si realizzi. Proprio la valutazione e la presa di coscienza del fattore rischio – che riveste oggi il filo conduttore di tutte le attuali normative societarie – è il punto cardine da cui costruire un incisivo sistema di lotta alla corruzione.

Il rischio non può essere eliminato ma può essere ridotto al minimo: è questa l’ottica con cui, a parere di chi scrive, va formulata ogni modifica delle normative attuali. In questo contesto è stato disciplinato il Modello Organizzativo Gestionale, previsto dal d.lgs. 231/01 quale strumento idoneo a prevenire la commissione dei reati contro la Pubblica Amministrazione con effetto esimente nel processo penale.

Tuttavia, una modifica organica della normativa sulla responsabilità penale degli Enti è ormai da tempo percepita come una primaria esigenza, sia dal mondo politico che dagli avvocati stessi: negli anni sono state, infatti, istituite numerose commissioni di studio al fine di formulare proposte di modifica normativa e, più̀ in generale, di rilanciare le politiche di prevenzione.

Infatti, uno dei grandi limiti a cui è sottoposta l’adozione del MOG risiede nel fatto che questa sia, ad oggi, facoltativa.

L’obbligatorietà - che ad avviso di chi scrive sta nei fatti - del modello è attualmente sentita come un’esigenza indispensabile per tutelare tutte le società e per abbassare radicalmente il fattore rischio di configurazione dei reati presupposto.

L’adozione obbligatoria del modello “231” comporterebbe un miglioramento dell’efficacia e trasparenza del funzionamento dell’ente o società interessati, prevenendo fenomeni di opacità informativa, possibili fenomeni corruttivi e utilizzi impropri della struttura dell’ente o dell’impresa per fini illegali, contribuendo, in definitiva, alla diffusione di una cultura della legalità negli enti e nelle imprese.

Peraltro, anche l’attuale epocale riforma della normativa fallimentare ha visto un intervento in tal senso, anche in alcune norme del codice civile. In particolare, verrà introdotto un secondo comma all’art. 2086 c.c., il quale istituirà per l’imprenditore un obbligo di istituzione di assetti organizzativi adeguati.

Come ha attentamente richiamato l’Istruttore del Comune di Alba, Relatore nel seminario di oggi, la novella normativa del sistema di segnalazione interna, la L. 179/2017, è intervenuta anche a porre rimedio a due delle più spinose problematiche applicative, inerenti al rapporto tra i sistemi di segnalazione interna - come disciplinati all’interno di ciascun Piano anticorruzione - il diritto di accesso di cui alla l. 241/90 e le facoltà spettanti al titolare di dati personali a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 Aprile 2016.

 

2. Gli attuali progetti di riforma

In un’ottica di organica e sistematica lotta alla corruzione ed a tutti i reati strumentali alla configurazione della stessa, preme mettere in luce l’esigenza di riprendere in mano la recente proposta di legge n. 726, comunicata alla Presidenza il 30 luglio 2018, a firma dei Senatori Valente, Cucca, D’Alfonso, D’Arienzo, Fedeli, Giacobbe, Malpezzi e Rampi. In questo Disegno di Legge, viene ribadita la fondamentale esigenza di prevedere l’obbligatorietà del Modello Organizzativo Gestionale per tutte le società che abbiano riportato un totale dell’attivo dello stato patrimoniale non inferiore a 4.400.000 euro o ricavi delle vendite e delle prestazioni non inferiori a 8.800.000 euro. Queste società, secondo l’art. 1 della proposta di legge, dovranno – obbligatoriamente – approvare il MOG depositando la relativa delibera di approvazione presso la camera di commercio competente.

Come detto, una modifica organica della normativa 231 era ormai da tempo percepita come una primaria esigenza, soprattutto da chi – professionista – ha la possibilità di lavorare all’interno di organismi dotati di un efficace Modello societario che riduca al minimo il rischio di commissione di reati.

Proprio in un’ottica di rafforzamento delle misure di prevenzione e basandosi sul concetto di gestione e diminuzione del rischio (il c.d. Risikoverringerung di matrice tedesca) è stato pensato il DDL n. 726 che, combinandosi con le misure repressive previste dalla Legge Spazzacorrotti, delineerebbe finalmente un sistema completo ed organico in ordine alla lotta alle fattispecie criminali.

In particolare, la ratio della summenzionata riforma consisteva - e consiste tutt’ora che l’iter legislativo ha finalmente preso avvio, ancorché sia attualmente in una fase di stallo in quanto non ancora iniziato l’esame della commissione assegnataria - nell’esigenza di porre nel nostro ordinamento basi ancora più solide e regole chiare e precise per la tutela di tutte le imprese che agiscono all’interno del perimetro della legalità ed al fine di prevenire ogni abuso e strumentalizzazione dell’iniziativa economica, sia privata che pubblica.

Oltre a queste rilevanti ragioni sottese alla necessità di porre nuovamente l’attenzione sul DDL 726 – chiarezza, maggior tutela e contrasto alla corruzione - occorre tener conto anche del trascorrere del tempo: come ricordato poc’anzi, il Decreto Lgs n. 231 è stato approvato quindici anni fa, in data 8 giugno 2011, ed ora necessita di un’imprescindibile opera di modernizzazione che tenga conto dei parametri moderni del nuovo assetto economico e finanziario, così come mutato ed evoluto.

Tornando al merito della riforma occorre ancora annotare come il nuovo art. 1, comma 3 bis, del D. Lgs. 231/01 elenchi in maniera precisa, sistematica e puntuale tutti i soggetti che, rientrando nei parametri previsti dalla normativa, dovranno approvare un Modello Organizzativo di Gestione e Controllo, nominare un Organismo di Vigilanza e depositare le relative delibere presso la camera di commercio, industria, artigianato o agricoltura di appartenenza.

La novità più rilevante consiste nell’introduzione del principio di obbligatorietà: a seguito della riforma, tutti i soggetti – senza possibilità di scelta – che rientrano nei parametri previsti saranno tenuti ad approvare il Modello di organizzazione e gestione, previsto dal D. lgs. 231/01.

In tema di sanzioni, l’art. 2 del D.D.L., afferma, poi, che, in caso di non ottemperanza alle prescrizioni così come introdotte dal nuovo art. 1 comma 3 bis, il soggetto sarà tenuto al pagamento di una sanzione amministrativa di euro 200.000. Nel caso di deposito tardivo la sanzione è ridotta ad euro 50.000. Anche in questo caso la nuova disciplina è chiara e sintetica e non lascia spazi ad interpretazioni.

Occorre, peraltro, annotare come il MOG sia lo strumento ideale per poter porre chiarezza all’interno della disorganica normativa in materia di reati societari: tutti i protocolli necessari e previsti dalle varie normative potrebbero in tal modo essere contenuti all’interno del MOG stesso, con un conseguente giovamento per tutti coloro che operano all’interno di una struttura societaria.

Proseguendo in ordine alla normativa in tema di prevenzione, ancora più dirompente è l’art. 25 rubricato “Tutela dei soggetti che segnalano illeciti dei magistrati e del personale amministrativo degli uffici giudiziari” del Disegno Di Legge recante “Deleghe al Governo per l’efficienza del processo civile e del processo penale, per la riforma complessiva dell’ordinamento giudiziario e della disciplina su eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati nonché disposizioni sulla costituzione e funzionamento del consiglio superiore della magistratura e sulla flessibilità dell’organico di magistratura”.

Si apprende, infatti, leggendo il testo, che nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi riguardanti tale contesto - la tutela dei soggetti che segnalano illeciti dei magistrati e del personale amministrativo degli uffici giudiziari - sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, e cioè:

a) estendere il sistema di tutela e di gestione delle segnalazioni previsto dall’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, alle segnalazioni provenienti dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, per il tramite del Presidente del Consiglio dell’Ordine, nell’esercizio del potere previsto dall’articolo 29, comma 1, lett. t), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, individuando con successivo decreto del Ministro della giustizia le modalità tecnico-informatiche idonee ad acquisire le segnalazioni, assicurando la tutela del segnalante;

b) introdurre un regime di segnalazione, modellato recependo l’impianto complessivo di gestione delle segnalazioni previsto dal comma 3 dell’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, delle situazioni o dei comportamenti che, pur non assumendo immediato rilievo disciplinare, denotano l’esercizio non indipendente della funzione o contrastano con gli obblighi e oneri inerenti alla funzione medesima;

c) individuare nel capo dell’ufficio giudiziario l’organo competente a ricevere le segnalazioni di cui alla precedente lettera b), prevedendo che il medesimo, dopo un’istruttoria preliminare e sentito il magistrato interessato, sia tenuto a trasmettere gli esiti degli accertamenti compiuti al consiglio giudiziario;

d) riconoscere ai magistrati e ai funzionari di cancelleria facenti parte dell’ufficio la legittimazione a presentare le segnalazioni di cui alla precedente lettera b);

e) introdurre un meccanismo sanzionatorio per il caso in cui nell’arco di cinque anni siano presentate almeno tre segnalazioni successivamente risultate infondate.

Il tenore solca la direzione già abbozzata dallo scrivente nell’ambito dei lavori relativi al Volume dal titolo “Il sistema di segnalazione interna: il whistleblowing nell’assetto anticorruzione, antiriciclaggio e nella prevenzione da responsabilità degli Enti”, Pacini Giuridica Ed. 2019, nel quale viene auspicato un Testo Unico volto a disciplinare il delicato meccanismo della segnalazione. Meccanismo rappresentato da una valvola rotante, un ingranaggio che – se ben manutenuto – permette all’intera struttura di funzionare mantenendo standard adeguati. 

Ora, anche nel panorama Giustizia – forse a seguito dei fatti che hanno riguardato il CSM e che sono a tutt’oggi agli onori della cronaca – l’idea di innescare segnalazioni endo-giudiziarie pare lodevole.

 

3. Sistema o assetti preventivi, quale preferenza.

Non è da sottacere come tra gli strumenti utilizzabili per Amministrazioni e Privati vi sia, altresì, la possibilità di avvalersi della certificazione ISO, 37001:2016, istituita in seno all’International Organization for Standardization (Organizzazione internazionale per la normazione) quale strumento di prevenzione del tutto speculare a quello in parola, limitatamente alla prevenzione dei soli reati corruttivi.

Detta certificazione nasce dalla volontà per le società di far sì che tutte le azioni siano conformi alla normativa di riferimento e consolidate all’interno dell’azienda e sottoposte al potere di controllo di un Ente certificato indipendente, anche per ovvie ragioni di competitività sul Mercato.

I pregi e i vantaggi di tale approccio operativo fanno, dell’ISO 37001:2016, uno strumento supplementare ma assolutamente non sostitutivo dell’assetto “231”: il plus è quello di avere un buon monitor di passaggi da seguire in ordine alla cd. mappatura del rischio e se ne raccomanda l’approfondimento in ottica penal-preventiva.

Tuttavia, l’ottenimento della certificazione ISO 37001/16 non pone, mai, l’azienda a completo riparo da eventuali contestazioni da parte dell’autorità di vigilanza, in quanto l’efficacia attuazione della certificazione in parola avrà l’effetto di ridurre la probabilità in percentuale della realizzazione del reato nell’ambito dell’organizzazione stessa che potrà dichiarare la propria compliance rispetto alla prevenzione dell’evento.

Ebbene, occorre aver chiaro, al riguardo, che tale specifica metodica organizzativa non si riduce ad un’attività di audit indipendente sull’adempimento dei parametri previsti dalla ISO ma comunque non dotata di quell’effetto scriminante, proprio solo dell’adeguato assetto organizzativo gestionale di cui al d.lgs. 231/01.

Non a caso, la citata nuova riforma codicistica dell’art. 2086 c.c. sintetizza quanto già presente all’art. 30, comma 4, del D.lgs. 81/2008 e cioè:

1) presuppone a monte la previsione di specifici protocolli di controllo sulla gestione dei soggetti delegati;

2) presenza di canali informativi;

3) affidamento della sorveglianza sull’attuazione e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità dei suddetti strumenti di controllo ad una struttura dedicata interna all’Ente, che sembra ragionevole far coincidere – pure in materia specialistica – con l’OdV ex art. 6 d.lgs. n. 231/2001.

 

4. Conclusioni

La “collaborazione” tra valvole del sistema, si traduce in un obbligo di segnalazione, ordinario e generale. Certamente questo, come osservato dall’Avvocato del Comune non deve superare i limiti imposti dalla legge: colui che segnala non ha alcun dovere di svolgere indagini, magari violando le chiavi di accesso ai sistemi informatici dei colleghi, per poi tentare di ripararsi dietro l’ombrello dell’art. 54 bis. La giurisprudenza, sul punto, ha tenuto la propria posizione, ed ha evidenziato come “la normativa citata si limiti a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti imposti dalla legge” (così Cass. Pen., sez. V, 21/05/2018, n. 35792).

Ritornando al tema, non a caso, l’art. 41 del D.Lgs. 97/2016, ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 1 della L. 190/2012, prevedendo che sia le pubbliche amministrazioni, che gli “altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013” sono destinatari delle indicazioni contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione, seppur con un regime differenziato: mentre le Amministrazioni Pubbliche sono tenute ad adottare un vero e proprio Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC); le società in controllo pubblico, gli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché enti pubblici economici e ordini professionali, devono adottare “misure integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.

A livello nazionale la L. 190/2012 identifica il Piano Nazionale Anticorruzione come principale strumento di prevenzione volto a fornire una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici pubblici al rischio di corruzione e ad indicare gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo. Se rivolto alle pubbliche amministrazioni esso costituisce un atto di indirizzo al fine dell’attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e della individuazione dei principali rischi di reato; mentre se rivolto agli altri soggetti indicati dall’art. 2-bis, d.lgs. 33/2013, introdotto dal d.lgs. 97/2016, tende all’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, individuando i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi.

Affianco alla previsione di una pianificazione generale e nazionale, il Legislatore ha previsto una pianificazione locale, da attuarsi mediante il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, divenuto, per effetto del d.lgs. 97/2016, il Piano Triennale Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (cd. PTPCT).

Elemento centrale nella redazione del PTPCT è l’individuazione da parte delle singole amministrazioni delle ccdd. aree di rischio, individuando preventivamente le loro caratteristiche, le azioni e gli strumenti per prevenire il rischio, stabilendo le priorità dell’intervento.

Il perseguimento di tale obiettivo passa attraverso la fase dell’analisi del contesto (che ha lo scopo di ottenere le informazioni necessarie a comprendere come il rischio corruttivo possa verificarsi all’interno dell’amministrazione attraverso la valutazione dell’ambiente in cui esso opera); l’individuazione delle aree di rischio; la mappatura dei processi; la ponderazione del rischio; la trattazione del rischio sulla base delle priorità emerse in sede di valutazione degli eventi rischiosi.

Ora, più che mai, sarà necessario l’esame del dato statistico-storico da “segnalazione interna” al fine di comprendere se i canali attivati sono idonei o si rende necessaria la loro implementazione.