Mani Pulite: cosa è stata e cosa ci ha lasciato
Io stringo i pugni e mi dico
che tutto cambierà
Neffa, Cambierà
1. Mani Pulite: preambolo
Sono passati trent’anni dall’arresto di Mario Chiesa che, per convenzione comunemente accettata, segnò l’avvio della stagione giudiziaria denominata Mani Pulite.
Emergono così fin da subito due tra le più forti caratteristiche identitarie di questa esperienza: la sua genesi è fatta coincidere con l’incarcerazione di qualcuno, la sua identificazione è affidata a un’immagine di pulizia (o meglio di sanificazione).
È agevole rilevare che la loro persistenza si è spinta ben oltre gli anni di Mani Pulite: ancora ieri l’empowerment della reazione legislativa al fenomeno corruttivo veniva sintetizzato con la soave espressione Spazzacorrotti e ancora oggi le carceri italiane traboccano di detenuti, ben al di là della loro capacità di accoglienza.
Mani Pulite (o Tangentopoli, come pure è stata chiamata) è ancora tra noi in molti modi e vale la pena raccontare ciò che è stata e che eredità ci ha lasciato.
2. Mani Pulite: premessa metodologica
La ricorrenza trentennale e il mai sopito interesse verso Mani pulite hanno determinato un florilegio di pubblicazioni, convegni, dibattiti, iniziative informative di ogni sorta.
Sono ugualmente molteplici le prospettive seguite da ricercatori e studiosi, le ipotesi da cui sono partiti, le visioni ideologiche che ne hanno ispirato il lavoro.
Chi desidera approfondire ha quindi a sua disposizione un materiale recente e vastissimo che si aggiunge a quello analogo accumulatosi nel tempo.
Non pare allora che ci sia bisogno di altre analisi strutturate e ricostruzioni complete e in ogni caso non è questo lo scopo dello scritto.
Esso è stato piuttosto concepito come tentativo di messa a fuoco degli aspetti più identitari di un’esperienza giudiziaria che ha segnato profondamente il suo tempo e dei suoi effetti permanenti.
Un semplice collage di impressioni, in altri termini, cui segue una comparazione, anch’essa essenzialmente percettiva, col nostro tempo.
È perfino inutile, date queste premesse, avvertire che le considerazioni proposte, dipendendo da uno sguardo individuale, non sono e neanche ambiscono ad essere espressive di una verità indiscutibile e definitiva.
Non serve neanche ricordare che la stessa selezione di quei tratti identitari di cui si diceva è quantomai opinabile per l’ovvia ragione che risente della gerarchia valoriale di chi scrive, sicché altri sguardi e altre visioni potrebbero legittimamente proporne una differente.
Lo stesso, e per le stesse ragioni, vale per il retaggio contemporaneo di Mani Pulite.
Resta infine da chiarire un ultimo aspetto.
La riflessione qui proposta ruota pressoché per intero attorno alla specifica esperienza giudiziaria milanese.
Mani Pulite è stata tuttavia molto più di questo e da Milano si è irradiata ben presto in tutta Italia, trovando dovunque epigoni più o meno ispirati e scenari affini. Un’analisi compiuta non dovrebbe prescindere da questi mondi paralleli ma la tensione alla completezza è frustrata dall’assenza di narrazioni e dati di accettabile rappresentatività.
È pertanto inevitabile concentrarsi sul fenomeno capostipite che ha avuto talmente tanta forza da cannibalizzare l’attenzione di ogni cerchia.
3. Mani Pulite: la cornice
3.1. Gli eventi più significativi dell’inchiesta Mani Pulite [1]
Il 17 febbraio 1992 l’ingegnere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio (una casa di cura e riposo per anziani controllata dalla Regione Lombardia e dal Comune di Milano) e dirigente milanese del Partito socialista italiano (di seguito PSI), fu arrestato in flagranza del reato di concussione mentre aveva appena intascato una tangente di sette milioni di lire versatagli a sua richiesta dall’imprenditore Alberto Magni in riferimento all’appalto delle pulizie dell’istituto.
L’arresto non fu casuale. Qualche giorno prima Magni si era rivolto alla Procura di Milano, denunciando le vessazioni subite da Chiesa. La denuncia fu raccolta dal sostituto procuratore Antonio Di Pietro il quale, d’intesa con Magni, dispose che dentro la valigetta che conteneva il denaro da consegnare a Chiesa fosse collocata una videocamera.
Accortosi dell’arrivo delle forze dell’ordine, Chiesa provò a disfarsi delle banconote chiudendosi in un bagno e gettandole dentro un wc ma la sua disperata manovra non ebbe l’effetto sperato e l’arresto fu eseguito.
Il 3 marzo il segretario nazionale del PSI, on. Bettino Craxi, prese pubblicamente le distanze da Chiesa definendolo un mariuolo [2].
La cosa dovette evidentemente dispiacere a quest’ultimo che, dopo avere sopportato oltre un mese di carcere nel più rigoroso silenzio, decise di cambiare rotta e il 23 marzo, sentito dal sostituto Di Pietro e dal GIP Italo Ghitti, rese dichiarazioni accusatorie che richiesero giorni per la verbalizzazione e che propiziarono la sua ammissione agli arresti domiciliari, avvenuta il 2 aprile [3].
A distanza di pochi giorni, precisamente il 5 e il 6 aprile, si tennero le elezioni politiche nazionali [4].
Superata la scadenza elettorale, si manifestarono con la massima evidenza gli effetti della confessione di Mario Chiesa e iniziarono a delinearsi l’ambiziosità dell’inchiesta e le caratteristiche strutturali che le furono impresse dai magistrati che ne ebbero la responsabilità.
Il 22 aprile furono arrestati otto imprenditori tutti i quali ammisero di avere pagato tangenti per ottenere commesse pubbliche in Lombardia.
Nel giro di poche settimane il raggio d’azione dell’inchiesta si ampliò in modo rilevante e attinse sempre più da vicino l’ambito politico. Saverio Borrelli, capo della Procura milanese, affiancò inizialmente ad Antonio Di Petro i sostituti Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo ma collaborarono successivamente alle indagini anche il procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio, i sostituti Francesco Greco, Armando Spataro, Ilda Boccassini, Paolo Ielo, Fabio De Pascale e, per un certo periodo di tempo, anche Tiziana Parente.
Il 2 maggio Paolo Pillitteri, sindaco uscente di Milano e cognato di Craxi, ricevette un avviso di garanzia con l’accusa di avere incassato tangenti.
Il 7 maggio fu arrestato Gianstefano Frigerio, segretario regionale della DC e sindaco di Cernusco sul Naviglio.
Il 12 maggio seguirono altri avvisi per Severino Citaristi, tesoriere della DC, e Antonio Del Pennino, parlamentare del Partito Repubblicano Italiano. L’accusa nei loro confronti era di ricettazione.
Il 16 maggio l’arresto toccò a Roberto Cappellini, segretario milanese del PDS.
Il 27 maggio fu indagato Gianni Cervetti, deputato e membro del direttivo nazionale del PDS.
Il 3 luglio Bettino Craxi fece un intervento alla Camera, riconoscendo che tutti i partiti si finanziavano acquisendo risorse in forma irregolare o illecita e sostenendo che, se questo era un crimine, era criminale l’intero sistema che se ne avvaleva [5].
Il 15 ottobre Vincenzo Balzamo, deputato e segretario amministrativo del PSI, ricevette un avviso di garanzia per corruzione e finanziamento illecito. Il 26 ottobre ebbe un infarto e morì il 2 novembre.
Il 15 dicembre la campana cominciò a suonare per gli apici nazionali dei partiti. Il battistrada fu Bettino Craxi che ricevette un avviso di garanzia per la cosiddetta “madre di tutte le tangenti” cioè la cifra di 150 miliardi di lire che secondo la ricostruzione dei PM milanesi sarebbe stata pagata da Raul Gardini, patron della Ferruzzi [6]. Due mesi dopo Craxi si dimise dalla segreteria del PSI.
Il 10 febbraio 1993 fu indagato Claudio Martelli, parlamentare socialista, delfino di Craxi e ministro della Giustizia.
Il 25 febbraio l’avviso toccò a Giorgio La Malfa, segretario nazionale del PRI.
L’1° marzo fu arrestato Primo Greganti (passato alle cronache come il “compagno G”), considerato il fiduciario di PCI e PDS per il cosiddetto conto Gabbietta [7].
Il 5 marzo il Consiglio dei ministri, su proposta di Giovanni Conso, ministro della Giustizia, presentò un decreto legge che depenalizzava retroattivamente il reato di finanziamento illecito ai partiti. La diffusione della notizia provocò reazioni di sdegno nell’opinione pubblica e un comunicato dei magistrati del pool di Mani Pulite i quali presero le distanze dall’iniziativa governativa. Il Presidente della Repubblica si rifiutò di firmare il decreto che nel frattempo era stato assimilato ad un “colpo di spugna”[8].
Il 15 marzo furono notificati avvisi di garanzia ad Antonio Cariglia, già segretario del PSDI, e Renato Altissimo, segretario del PLI. Il 5 aprile toccò ad Arnaldo Forlani, segretario della DC.
Il 28 aprile, a pochi giorni di distanza dalle dimissioni di Giuliano Amato, si formò un nuovo Governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi e sostenuto dalla stessa maggioranza del precedente.
Il 29 aprile la Camera dei Deputati negò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi. Il giorno dopo capannelli di persone si formarono di fronte all’Hotel Raphael che era la sede abituale di Craxi nelle sue trasferte romane. Allorché fu visto uscire, i presenti gli scagliarono addosso delle monetine, chiedendogli se volesse anche quelle [9]. Altri avvisi di garanzia furono notificati agli ex sindaci di Milano, Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri.
L’11 maggio fu arrestato Renato Pollini, già tesoriere del PCI.
Il 23 luglio, nell’ambito dell’inchiesta sulla maxitangente Enimont, furono arrestati Carlo Sama (amministratore delegato di Montedison) e il manager Sergio Cusani. Lo stesso giorno Raul Gardini, presidente del gruppo Ferruzzi Montedison, si suicidò avendo avuto notizia dell’imminenza del suo arresto.
Il 24 agosto fu indagato il tesoriere del PDS, Marcello Stefanini.
Il 3 settembre fu arrestato Diego Curtò, presidente vicario del Tribunale di Milano, con l’accusa di corruzione connessa alla vicenda Enimont [10].
Il 7 dicembre fu arrestato il dirigente leghista Alessandro Patelli e di seguito fu indagato Umberto Bossi, segretario della Lega.
Il 18 gennaio 1994 la DC, guidata dal segretario Mino Martinazzoli, abbandonò la sua storica denominazione e si trasformò nel Partito Popolare Italiano (PPI). Una costola del partito, guidata da Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella, si separò dalla casa madre e diede vita al Centro Cristiano Democratico (CCD).
Nei giorni immediatamente successivi si costituì Alleanza Nazionale (AN) nata dalle ceneri del Movimento Sociale Italiano (MSI), e Silvio Berlusconi lanciò Forza Italia (FI).
Il 27 e 28 marzo si tennero le elezioni politiche, le prime col nuovo sistema elettorale maggioritario. Il risultato premiò la coalizione denominata Polo delle Libertà (nel Meridione prese invece il nome di Polo del Buon Governo), in cui confluirono FI, AN, CCD e Lega Nord.
Il 10 maggio entrò in carica il nuovo Governo, guidato da Silvio Berlusconi.
L’1° luglio Achille Occhetto, leader del PDS, si dimise dalla segreteria per via dell’insuccesso elettorale e gli subentrò Massimo D’Alema.
Il 13 luglio, su proposta del ministro della Giustizia Alfredo Biondi, il Governo emise un decreto legge che precludeva il ricorso alla custodia cautelare in carcere per i reati contro la pubblica amministrazione, ivi comprese la corruzione e la concussione. Per l’effetto furono immediatamente scarcerati vari esponenti politici e tra questi anche Francesco De Lorenzo, già leader del PLI e ministro della Sanità, che era stato arrestato due mesi prima per plurime imputazioni legate a condotte corruttive e che negli anni a venire si sarebbero trasformate in condanne definitive. Le reazioni pubbliche al provvedimento, rapidamente etichettato “decreto salvaladri”, furono di aperta indignazione. Alcuni ministri in carica si dissociarono e altri affermarono di non avere avuto precisa contezza del contenuto del decreto. Anche il pool dei PM milanesi espresse pubblicamente la sua ferma contrarietà [11]. Il decreto venne rapidamente ritirato.
Il 13 novembre si sciolse il PSI e al suo posto nacque il partito dei Socialisti Italiani.
Il 22 novembre, mentre partecipava ad una conferenza sulla criminalità organizzata tenuta a Napoli su iniziativa dell’ONU, il capo del Governo Silvio Berlusconi si vide notificare un invito a comparire da parte della Procura milanese [12].
Il 6 dicembre Antonio Di Pietro concluse la sua requisitoria nel processo Enimont e si dimise dalla magistratura. Sarebbe poi divenuto avvocato, leader della formazione politica Italia dei Valori, parlamentare e ministro [13].
Il 22 dicembre, in conseguenza di conflitti sempre più intensi tra FI e Lega Nord, si dimise Silvio Berlusconi. Gli subentrò Lamberto Dini.
Il 12 novembre 1996 Bettino Craxi, da tempo latitante ad Hammamet in Tunisia dove poi morì a gennaio del 2000, fu condannato in via definitiva a cinque anni e sei mesi di reclusione per la vicenda ENI SAI [14] e di seguito sarebbe stato condannato anche per le tangenti legate alla Metropolitana Milanese [15].
Il 13 giugno 1997 la Cassazione rese definitive le condanne per il caso Enimont nei confronti di Severino Citaristi, Arnaldo Forlani, Renato Altissimo, Umberto Bossi e Giorgio La Malfa. Sempre nel corso del 1997 passarono in giudicato anche le condanne di Sergio Cusani e Paolo Cirino Pomicino.