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231: la cancellazione della società non estingue la responsabilità

Escluso esonero da responsabilità dell’ente per i reati commessi nel suo interesse o vantaggio attraverso la cancellazione dal registro delle imprese
la cancellazione della società
la cancellazione della società

231: la cancellazione della società non estingue la responsabilità

 


Con la sentenza n. 9006 del 17 marzo 2022 la Corte di Cassazione ha stabilito che la cancellazione della società dal registro delle imprese non vale ad estinguere la responsabilità della stessa per l’illecito amministrativo dipendente da reato commesso nel suo interesse o vantaggio.


231 e La vicenda processuale

Nel caso in esame, per quanto di interesse in questa sede, una società svolgente attività in campo edile era stata ritenuta responsabile dell’illecito dipendente da uno dei reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti (nella specie, articolo 590 c.p. con conseguente responsabilità della società ai sensi dell’articolo 27-septies del Decreto Legislativo n. 231/2001) per l’infortunio occorso ad uno dei suoi dipendenti e condannata al pagamento della sanzione pecuniaria come quantificata dal giudice di prime cure. Nelle more dell’impugnazione in appello era stata disposta la cancellazione della società dal registro delle imprese, con conseguente estinzione della stessa.

Cionondimeno, il giudice del gravame aveva confermato la sentenza appellata anche nella parte relativa alla responsabilità dell’ente e alla condanna al pagamento della sanzione pecuniaria inflitta in primo grado, imputando però la stessa in capo ai legali rappresentati della società in virtù della sopravvenuta estinzione dell’ente.

Con ricorso in Cassazione proposto nell’interesse della società si lamentava l’errore in cui era incorso il giudice dell’appello per aver trasferito la responsabilità debitoria per la sanzione applicato all’ente in capo alle persone fisiche.

A sostegno del gravame, i ricorrenti citavano un precedente con cui la stessa Corte di Cassazione aveva affermato il principio di diritto secondo il quale “in tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato” (sentenza n. 41082 del 7 ottobre 2019, richiamata anche in sentenza n. 25492 del 5 luglio 2021).


La cancellazione della società: il precedente giurisprudenziale richiamato nel ricorso in Cassazione

Nella sentenza oggetto di richiamo da parte dei ricorrenti i giudici di legittimità avevano ritenuto che, in virtù del disposto dell’articolo 35 del Decreto Legislativo n. 231/2001 che estende all’ente le disposizioni relative all’imputato, nel caso in cui si verifichi un’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nel caso di specie, a seguito di chiusura della procedura fallimentare) “si verte in un caso assimilabile a quello della morte dell’imputato, dato che si è verificato un evento che inibisce la progressione del processo ad iniziativa pubblica previsto per l’accertamento della responsabilità da reato di ente ormai estinto, ovvero di una persona giuridica non più esistente”.

A sostegno di ciò, i giudici di Cassazione avevano evidenziato come nel corpus del Decreto 231 era possibile rinvenire solo una regolamentazione delle vicende inerenti alla trasformazione, alla fusione o alla scissione dell’ente, ma non la sua estinzione, con la conseguenza di dover applicare nel caso di estinzione a seguito di cancellazione della società dal registro delle imprese le regole del processo penale, in ossequio al disposto del già citato articolo 35 del Decreto n. 231/2001.

In virtù della diversa natura del debito pecuniario, la Cassazione aveva ritenuto non estendibile nel processo a carico dell’ente il principio espresso dalla giurisprudenza civile secondo cui “la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti “pendente societate”, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente”.

Tale principio di diritto è ricavato dai giudici di legittimità sulla base della considerazione che, mentre il trasferimento dei rapporti obbligatori in capo ai soci riconosciuto dalla giurisprudenza civile è correlato alla necessità di tutelare l’interesse dei soggetti privati che vantano ancora pretese nei confronti dell’ente, “la natura pubblica del processo a carico della società previsto dal d.lgs n. 231 del 2001 è invece incompatibile con l’estinzione non fraudolenta dell’ente, ovvero con la cancellazione dal registro dalle imprese che consegue fisiologicamente alla chiusura della procedura fallimentare: tale evento produce infatti l’estinzione della persona giuridica accusata e, dunque, impedisce la prosecuzione del processo, salvo che tale cancellazione piuttosto che fisiologica sia invece fraudolenta, caso che imporrà la valutazione della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione patologica”.


La decisione della Cassazione sulla cancellazione

Nella decisione qui in commetto la Cassazione dichiara espressamente di dissentire dal proprio precedente orientamento.

Innanzitutto, i giudici di legittimità evidenziano come dall’adesione alla soluzione patrocinata dal precedente giurisprudenziale richiamato dai ricorrenti deriverebbe la considerazione di ritenere possibile per la società un esonero da responsabilità per i reati commessi nel suo interesse o vantaggio attraverso una mera cancellazione dal registro delle imprese, senza peraltro considerare le non irrilevanti difficoltà pratiche nell’accertamento delle cancellazioni “patologiche”.

Ma a non convincere il Collegio giudicante è l’assimilazione, operata dal precedente richiamato, dell’estinzione dell’ente alla morte della persona fisica.

La Corte di Cassazione osserva come la Sezione II del Capo II del Decreto Legislativo n. 231/2001 disciplini in maniera articolata le vicende trasformative dell’ente, prevedendo che:

(i) in caso di trasformazione resta ferma la responsabilità per gli illeciti commessi anteriormente alla data in cui la trasformazione ha avuto effetto (articolo 28);

(ii) in caso di fusione, l’ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione (articolo 29);

(iii) in caso di scissione parziale, resta ferma la responsabilità dell’ente scisso per i reati commessi anteriormente alla data in cui la scissione ha avuto effetto e gli enti beneficiari della scissione, sia totale che parziale, sono solidalmente obbligati al pagamento delle sanzioni pecuniarie dovute dall’ente scisso per i reati commessi anteriormente alla data dalla quale la scissione ha avuto effetto (articolo 30);

(iv) in caso di cessione d’azienda, il cessionario è solidalmente obbligato, salvo il beneficio della preventiva escussione dell’ente cedente e nei limiti del valore dell’azienda, al pagamento della sanzione pecuniaria (articolo 33). Inoltre, a norma dell’articolo 42 del Decreto 231, nel caso di trasformazione, di fusione o di scissione dell’ente originariamente responsabile, il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti dalle vicende modificative o beneficiari della scissione, che partecipano al processo nello stato in cui si trova.

A parer del Supremo Consesso, “il silenzio invece serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica” e ciò per una serie di considerazioni:

  1. in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile;
  1. quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente, come nel caso dell’amnistia di cui all’articolo 8 e nelle ipotesi previste dall’articolo 67 di adozione di sentenza di non doversi procedere, ossia quando il reato da cui dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto e quando a prescriversi è la stessa sanzione dell’ente;
  1. è pacifico il principio di diritto più volte affermato dalla Cassazione, anche a Sezioni Unite, secondo cui “in tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001” e, se ciò vale in caso di fallimento, non si comprende la ratio di un diverso trattamento in caso di cancellazione della società;
  1. il precedente giurisprudenziale richiamato omette di rilevare che il rinvio operato dall’articolo 35 del Decreto 231 alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato ma solo “in quanto compatibili.

Alla luce del ragionamento i cui punti essenziali sono stati qui riportati, la Cassazione ritiene che lo scioglimento della società, se fa venir meno l’obbligo di esercitare l’impresa in comune, non determina l’estinzione dei rapporti sorti nell’esercizio dell’impresa anteriormente allo scioglimento, che passano direttamente in capo ai soci. Inoltre, si aggiunge, l’estinzione della società, se certamente pone un problema di soddisfacimento delle posizioni creditorie, “non pone un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell’ente stesso”.

In conclusione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto affermando il seguente principio di diritto: “La cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’articolo 25-septies, comma 3, del d lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’articolo 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato”.