Accesso e Privacy: affinità e contemperamento di interessi

La tutela del diritto d’accesso e del diritto alla privacy caratterizza in senso democratico avanzato il rapporto tra pubblici poteri e cittadino, ispirandolo a regole di trasparenza, imparzialità e partecipazione. In un’epoca contrassegnata dalla pervasività, oltre che dalla complessità, dei meccanismi di raccolta e diffusione delle informazioni (anche strettamente personali), l’informazione, ovverossia il dato, inteso quale rappresentazione materiale di un determinato fatto, è condizione di esercizio del potere e, il cittadino è tanto più tutelato. quanto più può conoscere il fondamento dell’esercizio del potere. Il diritto di accesso e il diritto alla privacy si collocano proprio sul versante della conoscibilità, e quindi del controllo del flusso di dati e informazioni.

La legge è molto chiara nel definire il diritto di accesso quale connotato indispensabile della società democratica: infatti viene ribadito che l’accesso risponde a finalità di interesse pubblico, costituisce principio generale dell’attività ammistrativa, preordinato a assicurarne la partecipazione, l’imparzialità e la trasparenza; e attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, comma 2 lettera m, della Costituzione (art.22 comma 2 L.241/90, cosi come modificato dall’art.15 L.15/2005). Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si era espressa in termini non dissimili, allorchè con la pronuncia n.5 del 1997 aveva affermato che “il diritto di conoscibilità degli atti e documenti amministrativi, inquadrati nel contesto più generale delle disposizioni contenute nella legge n. 241 - le quali delineano modalità dell’azione e dell’organizzazione amministrative (motivazione, certezza dei tempi e responsabile del procedimento, predeterminazione dei criteri per ausili economici) istituti (diritto di accesso, moduli di amministrazione per accordi, partecipazione procedimentale) preordinati alla configurazione di un nuovo modello di organizzazione amministrativa e di rapporti di questa con il cittadino - mira ad assicurare la circolazione delle informazioni tra Pubbliche amministrazioni e, soprattutto, tra Amministrazione e cittadino”.

Ma anche il diritto alla privacy risponde pienamente all’esigenza della piena trasparenza e della conoscibilità dell’operato della pubblica amministrazione. Infatti, in primis la tutela della privacy è condizione di sviluppo della personalità dell’individuo (art.2 e 3 Cost), che cosi assurge in senso proprio allo status di cittadino, nella pretesa normativamente fondata che suoi dati personali non possono essere trattati a fini discriminatori o comunque posseduti e trattati in modo non trasparente e/ o illecito. Tale accezione forte del diritto alla privacy ha come evidente corollario che la tutela della sfera privata del singolo non richiede soltanto la tutela del the right to be let alone (diritto del singolo di essere lasciato solo, per usare un’espressione cara alla cultura anglosassone), ma implica un contenuto attivo, implica la possibilità di sapere per l’individuo di sapere chi, e attraverso quali modalità gestisce le informazioni e i dati personali a lui riferiti.

Conseguenza evidente di tale connotazione del diritto alla privacy, è il diritto di accedere a sistemi spesso informatizzati di raccolta e gestione dei dati personali. La previsione normativa è quanto mai precisa al riguardo. Secondo l’art. 15, co. 4, “non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono”. In questo inciso viene evocato il principio di autodeterminazione, in quanto, come ha specificato il Garante della privacy, “il diritto di uscita è il mezzo che permette di riprendere pienamente il controllo della sfera privata, esercitando un potere di controllo sul flusso dei nostri dati, interrompendolo quando necessario e riattivandolo quando ci sembra opportuno" (Si veda relazione del Garante della privacy presentata al Parlamento sull’attività svolta nel 2004). Si comprende quindi come privacy e accesso sono istituti che delineano un rapporto trasparente e garantista tra pubblici poteri e cittadini, caratterizzato da trasparenza e imparzialità, e il diritto di accesso ai “propri” dati si presenta, qualora provenga dallo stesso soggetto titolare del diritto alla riservatezza, come una delle condizioni di tutela e salvaguardia effettive e non formali del diritto alla privacy:

Il rapporto tra diritto di accesso e privacy diventa problematico allorquando si tratta del diritto di accesso a dati riguardanti terzi, questi ultimi definiti dall’art.4 lett. i Codice della Privacy (D.lgs 196/2003) “interessati”.

Attualmente l’assetto di tale rapporto è cosi definito, e si può operare la seguente classificazione sulla base di quanto dispongono la L.241/90 e il D.lgs 196/2003. Innanzitutto i dati personali, rectius il documenti contenenti i dati personali sono suscettibili di accesso, allorchè si tratta di conoscere e curare i propri interessi giuridici (art.24 comma 7 prima parte, L.241/90). Per quanto concerne i documenti contenenti dati sensibili e giudiziari e i dati ipersensibili (questi ultimi sono i dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, art.60 D.lgs196/2003) è opportuno citare per esteso l’art.24 comma 7 della L.241/90, seconda parte cosi come modificato dalla L.15/2005: "Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale". Sulla base di tale disposto si ritiene che l’accesso a documenti contenenti dati sensibili e giudiziari è consentito, (previa la sussistenza della necessita di conoscere e e curare i propri interessi giuridici) nei limiti in cui esso è strettamente indispensabile, mentre per quanto riguarda i dati ipersensibili, vale a dire i dati idonei a rilevare lo stato di salute o la vita sessuale l’art.24 comma 7 richiamando l’art.60 codice della privacy, prevede l’accesso solo nel caso in cui il rango della situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso sia almeno pari ai diritti dell’interessato alla tutela della privacy (l’art.60 del Codice: "Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile". Tale diversità di disciplina parrebbe essere giustificata dal fatto che i dati ipersensibili fanno riferimento a categorie di informazioni attinenti alla sfera intima dell’individuo e come tali capaci di incidere direttamente sullo sviluppo e sul libero esplicarsi della sua personalità. D’altronde, sul trattamento, comunicazione o diffusione di tali dati è ragionevolmente possibile che si instaurino pericolosi fenomeni di discriminazione. Come emerge in tutta chiarezza, in relazione ai dati in parola, si pone un collegamento diretto con principi fondamentali costituzionalmente garantiti, quali il libero esplicarsi della personalità dell’individuo (art. 2) ed il principio di uguaglianza (art. 3, co. 1). Pertanto, la tutela dei dati ipersensibili assurge a strumento in grado di garantire la piena e libera esplicazione della personalità dell’individuo, nonché di rendere effettiva l’uguaglianza, rimuovendo sul piano sostanziale gli ostacoli che possono di fatto impedire il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, co.2). Tuttavia, se è giusto affermare che i dati sulla salute e sulla vita sessuale dell’individuo sono meritevoli della massima tutela, non sembra che i dati sensibili e giudiziari siano lontani dalla sfera intima dell’individuo, per cui anche per i dati in questione, è lecito circondare il diritto di accesso di particolati garanzie. Il Codice della Privacy definisce all’art 4 i dati sensibili e giudiziari: per dati sensibili si intendono “i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”. Per dati giudiziari si intendono, i“dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale”. Se consideriamo i dati sensibili (anche prescindendo dai dati sulla vita sessuale e la salute dell’individuo) ci accorgiamo che si tratta di dati che hanno una forte capacità rappresentativa dell’individuo, del suo orientamento di pensiero, della sua vita. Non è un caso che il legislatore accomuna in un’unica lettera e in un’unica definizione tutti i dati sensibili. Nella prospettiva di maggiori garanzie per l’interessato (persona fisica a cui i dati si riferiscono, art.4 lett.i codice della privacy)

anche citare la lettera dell’art.24 comma 7 che non preclude altre possibili interpretazioni riguardo all’accesso ai dati sensibili e giudiziari.

E accanto all’interpretazione poc’anzi accennata, che considera i documenti contenenti dati sensibili e giudiziari accessibili (semplicemente) nei limiti in cui sia strettamente indispensabile, se ne può avanzare, sempre sulla base del tenore letterale dell’art.24 comma 7, un’altra forse più rispettosa di un corretto bilanciamento tra diritto alla privacy e diritto d’accesso. Tale seconda interpretazione è incline a ritenere che anche nel caso di dati sensibili e giudiziari, non è sufficiente l’osservanza della regola della responsabilità dovendo l’interprete anche in questo caso operare una valutazione comparativa in concreto tra esigenze contrapposte, e quindi operare un bilanciamento di interessi, non solo quando l’istanza di accesso vada a confliggere con dati “supersensibili”, ma anche con dati “soltanto” sensibili e giudiziari; pertanto, anche questi ultimi possono essere oggetto del diritto di accesso solo se l’istanza sottenda una situazione giuridica di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, che consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile (si veda, Antonio Ferrucci, “Diritto di accesso e riservatezza: osservazioni sulle modifiche alla l. 241/90, in www.giustamm.it).

Se la privacy non è più autoesclusione dalla società, ma è condizione necessaria per vivere liberamente e senza condizionamenti la propria personalità, alle prescrizioni dell’art. 2 e 3 della nostra Carta costituzionale, diventa difficile non tutelare tutti i dati sensibili secondo il disposto dell’art.60 D.lgs.196/2003. Il rischio di vanificare il diritto di accesso, e sacrificarlo impropriamente sull’altare delle ragioni della riservatezza, è scongiurato dall’opera dell’interprete chiamato ad operare in concreto una disamina particolarmente approfondita e un bilanciamento notevolmente accorto delle situazioni giuridiche in conflitto.

Un’ultima notazione appare importante. Queste brevi note hanno riguardato il diritto di accesso -e quindi il diritto all’informazione, non generale, ma strutturato e delimitato- nell’ambito dei rapporti tra privati e pubblica amministrazioni, alla stregua dell’art.23 L.241/90, che definisce l’ambito di applicazione del diritto di accesso esercitabile nei confronti delle “amministrazioni, aziende autonome e speciali, degli enti pubblici, dei gestori dei pubblici servizi e delle Autorità di garanzia e vigilanza”. Tuttavia, e sul punto torneremo in un prossimo contributo, l’informazione, intesa come dato rappresentativo della realtà, conservato e/o comunicato da un soggetto ad un altro, è sempre più elemento giuridicamente molto rilevante nell’ambito della contrattazione tra privati. Negli ultimi tempi, non è venuto più in considerazione soltanto la problematica del rapporto tra dovere di informazione gravante su una parte e onere di auto informazione gravante sull’altra parte del rapporto contrattuale. Sempre più infatti la legislazione ha posto obblighi di informazione in capo a soggetti privati (si pensi ai prospetti informativi in merito all’offerta di valori mobiliari), che pongono in termini aggiornati la questione dell’informazione, dell’omissione di tale informazione e, quindi, della conseguente responsabilità civile. In questo senso, si comprende come la tutela del contraente debole necessariamente è segnata dalla tutela del suo diritto all’informazione, anche prescindendo dal suo onere di auto informazione.

Anche a prescindere da obblighi di informazione specificamente previsti da norme di legge, l’obbligo di correttezza e buona fede sancito dall’art.1175 c.c. permette di ritenere scorretti, e quindi fonte di responsabilità, i comportamenti omissivi di informazioni rilevanti.

La tutela del diritto d’accesso e del diritto alla privacy caratterizza in senso democratico avanzato il rapporto tra pubblici poteri e cittadino, ispirandolo a regole di trasparenza, imparzialità e partecipazione. In un’epoca contrassegnata dalla pervasività, oltre che dalla complessità, dei meccanismi di raccolta e diffusione delle informazioni (anche strettamente personali), l’informazione, ovverossia il dato, inteso quale rappresentazione materiale di un determinato fatto, è condizione di esercizio del potere e, il cittadino è tanto più tutelato. quanto più può conoscere il fondamento dell’esercizio del potere. Il diritto di accesso e il diritto alla privacy si collocano proprio sul versante della conoscibilità, e quindi del controllo del flusso di dati e informazioni.

La legge è molto chiara nel definire il diritto di accesso quale connotato indispensabile della società democratica: infatti viene ribadito che l’accesso risponde a finalità di interesse pubblico, costituisce principio generale dell’attività ammistrativa, preordinato a assicurarne la partecipazione, l’imparzialità e la trasparenza; e attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, comma 2 lettera m, della Costituzione (art.22 comma 2 L.241/90, cosi come modificato dall’art.15 L.15/2005). Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si era espressa in termini non dissimili, allorchè con la pronuncia n.5 del 1997 aveva affermato che “il diritto di conoscibilità degli atti e documenti amministrativi, inquadrati nel contesto più generale delle disposizioni contenute nella legge n. 241 - le quali delineano modalità dell’azione e dell’organizzazione amministrative (motivazione, certezza dei tempi e responsabile del procedimento, predeterminazione dei criteri per ausili economici) istituti (diritto di accesso, moduli di amministrazione per accordi, partecipazione procedimentale) preordinati alla configurazione di un nuovo modello di organizzazione amministrativa e di rapporti di questa con il cittadino - mira ad assicurare la circolazione delle informazioni tra Pubbliche amministrazioni e, soprattutto, tra Amministrazione e cittadino”.

Ma anche il diritto alla privacy risponde pienamente all’esigenza della piena trasparenza e della conoscibilità dell’operato della pubblica amministrazione. Infatti, in primis la tutela della privacy è condizione di sviluppo della personalità dell’individuo (art.2 e 3 Cost), che cosi assurge in senso proprio allo status di cittadino, nella pretesa normativamente fondata che suoi dati personali non possono essere trattati a fini discriminatori o comunque posseduti e trattati in modo non trasparente e/ o illecito. Tale accezione forte del diritto alla privacy ha come evidente corollario che la tutela della sfera privata del singolo non richiede soltanto la tutela del the right to be let alone (diritto del singolo di essere lasciato solo, per usare un’espressione cara alla cultura anglosassone), ma implica un contenuto attivo, implica la possibilità di sapere per l’individuo di sapere chi, e attraverso quali modalità gestisce le informazioni e i dati personali a lui riferiti.

Conseguenza evidente di tale connotazione del diritto alla privacy, è il diritto di accedere a sistemi spesso informatizzati di raccolta e gestione dei dati personali. La previsione normativa è quanto mai precisa al riguardo. Secondo l’art. 15, co. 4, “non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono”. In questo inciso viene evocato il principio di autodeterminazione, in quanto, come ha specificato il Garante della privacy, “il diritto di uscita è il mezzo che permette di riprendere pienamente il controllo della sfera privata, esercitando un potere di controllo sul flusso dei nostri dati, interrompendolo quando necessario e riattivandolo quando ci sembra opportuno" (Si veda relazione del Garante della privacy presentata al Parlamento sull’attività svolta nel 2004). Si comprende quindi come privacy e accesso sono istituti che delineano un rapporto trasparente e garantista tra pubblici poteri e cittadini, caratterizzato da trasparenza e imparzialità, e il diritto di accesso ai “propri” dati si presenta, qualora provenga dallo stesso soggetto titolare del diritto alla riservatezza, come una delle condizioni di tutela e salvaguardia effettive e non formali del diritto alla privacy:

Il rapporto tra diritto di accesso e privacy diventa problematico allorquando si tratta del diritto di accesso a dati riguardanti terzi, questi ultimi definiti dall’art.4 lett. i Codice della Privacy (D.lgs 196/2003) “interessati”.

Attualmente l’assetto di tale rapporto è cosi definito, e si può operare la seguente classificazione sulla base di quanto dispongono la L.241/90 e il D.lgs 196/2003. Innanzitutto i dati personali, rectius il documenti contenenti i dati personali sono suscettibili di accesso, allorchè si tratta di conoscere e curare i propri interessi giuridici (art.24 comma 7 prima parte, L.241/90). Per quanto concerne i documenti contenenti dati sensibili e giudiziari e i dati ipersensibili (questi ultimi sono i dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, art.60 D.lgs196/2003) è opportuno citare per esteso l’art.24 comma 7 della L.241/90, seconda parte cosi come modificato dalla L.15/2005: "Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale". Sulla base di tale disposto si ritiene che l’accesso a documenti contenenti dati sensibili e giudiziari è consentito, (previa la sussistenza della necessita di conoscere e e curare i propri interessi giuridici) nei limiti in cui esso è strettamente indispensabile, mentre per quanto riguarda i dati ipersensibili, vale a dire i dati idonei a rilevare lo stato di salute o la vita sessuale l’art.24 comma 7 richiamando l’art.60 codice della privacy, prevede l’accesso solo nel caso in cui il rango della situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso sia almeno pari ai diritti dell’interessato alla tutela della privacy (l’art.60 del Codice: "Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile". Tale diversità di disciplina parrebbe essere giustificata dal fatto che i dati ipersensibili fanno riferimento a categorie di informazioni attinenti alla sfera intima dell’individuo e come tali capaci di incidere direttamente sullo sviluppo e sul libero esplicarsi della sua personalità. D’altronde, sul trattamento, comunicazione o diffusione di tali dati è ragionevolmente possibile che si instaurino pericolosi fenomeni di discriminazione. Come emerge in tutta chiarezza, in relazione ai dati in parola, si pone un collegamento diretto con principi fondamentali costituzionalmente garantiti, quali il libero esplicarsi della personalità dell’individuo (art. 2) ed il principio di uguaglianza (art. 3, co. 1). Pertanto, la tutela dei dati ipersensibili assurge a strumento in grado di garantire la piena e libera esplicazione della personalità dell’individuo, nonché di rendere effettiva l’uguaglianza, rimuovendo sul piano sostanziale gli ostacoli che possono di fatto impedire il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, co.2). Tuttavia, se è giusto affermare che i dati sulla salute e sulla vita sessuale dell’individuo sono meritevoli della massima tutela, non sembra che i dati sensibili e giudiziari siano lontani dalla sfera intima dell’individuo, per cui anche per i dati in questione, è lecito circondare il diritto di accesso di particolati garanzie. Il Codice della Privacy definisce all’art 4 i dati sensibili e giudiziari: per dati sensibili si intendono “i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”. Per dati giudiziari si intendono, i“dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale”. Se consideriamo i dati sensibili (anche prescindendo dai dati sulla vita sessuale e la salute dell’individuo) ci accorgiamo che si tratta di dati che hanno una forte capacità rappresentativa dell’individuo, del suo orientamento di pensiero, della sua vita. Non è un caso che il legislatore accomuna in un’unica lettera e in un’unica definizione tutti i dati sensibili. Nella prospettiva di maggiori garanzie per l’interessato (persona fisica a cui i dati si riferiscono, art.4 lett.i codice della privacy)

anche citare la lettera dell’art.24 comma 7 che non preclude altre possibili interpretazioni riguardo all’accesso ai dati sensibili e giudiziari.

E accanto all’interpretazione poc’anzi accennata, che considera i documenti contenenti dati sensibili e giudiziari accessibili (semplicemente) nei limiti in cui sia strettamente indispensabile, se ne può avanzare, sempre sulla base del tenore letterale dell’art.24 comma 7, un’altra forse più rispettosa di un corretto bilanciamento tra diritto alla privacy e diritto d’accesso. Tale seconda interpretazione è incline a ritenere che anche nel caso di dati sensibili e giudiziari, non è sufficiente l’osservanza della regola della responsabilità dovendo l’interprete anche in questo caso operare una valutazione comparativa in concreto tra esigenze contrapposte, e quindi operare un bilanciamento di interessi, non solo quando l’istanza di accesso vada a confliggere con dati “supersensibili”, ma anche con dati “soltanto” sensibili e giudiziari; pertanto, anche questi ultimi possono essere oggetto del diritto di accesso solo se l’istanza sottenda una situazione giuridica di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, che consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile (si veda, Antonio Ferrucci, “Diritto di accesso e riservatezza: osservazioni sulle modifiche alla l. 241/90, in www.giustamm.it).

Se la privacy non è più autoesclusione dalla società, ma è condizione necessaria per vivere liberamente e senza condizionamenti la propria personalità, alle prescrizioni dell’art. 2 e 3 della nostra Carta costituzionale, diventa difficile non tutelare tutti i dati sensibili secondo il disposto dell’art.60 D.lgs.196/2003. Il rischio di vanificare il diritto di accesso, e sacrificarlo impropriamente sull’altare delle ragioni della riservatezza, è scongiurato dall’opera dell’interprete chiamato ad operare in concreto una disamina particolarmente approfondita e un bilanciamento notevolmente accorto delle situazioni giuridiche in conflitto.

Un’ultima notazione appare importante. Queste brevi note hanno riguardato il diritto di accesso -e quindi il diritto all’informazione, non generale, ma strutturato e delimitato- nell’ambito dei rapporti tra privati e pubblica amministrazioni, alla stregua dell’art.23 L.241/90, che definisce l’ambito di applicazione del diritto di accesso esercitabile nei confronti delle “amministrazioni, aziende autonome e speciali, degli enti pubblici, dei gestori dei pubblici servizi e delle Autorità di garanzia e vigilanza”. Tuttavia, e sul punto torneremo in un prossimo contributo, l’informazione, intesa come dato rappresentativo della realtà, conservato e/o comunicato da un soggetto ad un altro, è sempre più elemento giuridicamente molto rilevante nell’ambito della contrattazione tra privati. Negli ultimi tempi, non è venuto più in considerazione soltanto la problematica del rapporto tra dovere di informazione gravante su una parte e onere di auto informazione gravante sull’altra parte del rapporto contrattuale. Sempre più infatti la legislazione ha posto obblighi di informazione in capo a soggetti privati (si pensi ai prospetti informativi in merito all’offerta di valori mobiliari), che pongono in termini aggiornati la questione dell’informazione, dell’omissione di tale informazione e, quindi, della conseguente responsabilità civile. In questo senso, si comprende come la tutela del contraente debole necessariamente è segnata dalla tutela del suo diritto all’informazione, anche prescindendo dal suo onere di auto informazione.

Anche a prescindere da obblighi di informazione specificamente previsti da norme di legge, l’obbligo di correttezza e buona fede sancito dall’art.1175 c.c. permette di ritenere scorretti, e quindi fonte di responsabilità, i comportamenti omissivi di informazioni rilevanti.