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Assetto e portata della normativa nazionale in materia di OGM secondo la Cassazione

Nota a Corte di Cassazione – Sezione Terza Civile, Sentenza 22 marzo 2012, n.11148

Nell’Unione Europea le competenze in materia di Organismi Geneticamente Modificati, in particolare anche per quanto concerne le sementi, sono distribuite in maniera tale che gli aspetti ambientali e sanitari, compresa la valutazione di rischio ambientale, è attribuita a livello europeo, mentre agli stati membri residua una competenza in materia di aspetti economici relativi alla commistione di colture transgeniche e non transgeniche.

Ciò comporta che un seme geneticamente modificato, una volta autorizzato all’immissione in commercio dalla Commissione Europea ed iscritto al relativo Catalogo, può essere usato in tutti paesi membri, fermo restando la possibilità di esperire, in casi eccezionali, la cosiddetta “clausola di salvaguardia” che consente ad uno stato membro di sospendere e limitare temporaneamente l’uso di un OGM, qualora ritenga che possa esserci un rischio per la salute umana o ambientale, sulla base di nuove conoscenze scientifiche.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 11148 depositata il 22 marzo 2012, riguardava il MON 810, un seme di mais geneticamente modificato, regolarmente autorizzato in ambito europeo da molti anni (per maggior informazioni: http://www.gmo-compass.org/eng/home/).

Tuttavia, il caso de quo, al di là delle peraltro residuali argomentazioni in materia di fumus commissi delicti, ha permesso al supremo Giudice di ribadire l’assetto e la portata della normativa nazionale in materia di OGM, mettendo peraltro involontariamente in sottesa evidenza, i ritardi di natura amministrativa nelle competenze regionali in materia.

La normativa nazionale in materia di sementi OGM deve preoccuparsi di identificare ed adottare misure opportune per limitare gli effetti economici connessi alla potenzialità diffusiva degli OGM, individuando ogni misura preventiva in grado di evitare commistione tra le diverse culture (transgenica, convenzionale, biologica).

Tale competenza legislativa, che vede peraltro un ruolo primario delle regioni, non deve e non può rappresentare un ostacolo o un rallentamento per l’espletamento del procedimento amministrativo, previsto dall’articolo 1, comma 2, del D Lgs 212/2001, in coerenza con l’articolo 2 del Decreto Legge 279/2004 (Legge di conversione n. 5/2005), teso a rendere esecutiva nello stato italiano la circolazione di un OGM già regolarmente valutato ed autorizzato a livello dalla Commissione Europea. La delibazione concessa allo stato italiano è pertanto finalizzata a perseguire la finalità che la cultura transgenica, autorizzata a livello europeo, venga introdotta senza pregiudizio per le attività agricole preesistenti.

Il procedimento stabilito all’articolo 1, comma 2, del D Lgs 212/2001 (“La messa in coltura dei prodotti sementieri di cui al presente comma è soggetta ad autorizzazione con provvedimento del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e del Ministro della sanità, emanato previo parere della Commissione di cui al comma 3, nel quale sono stabilite misure idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate non entrino in contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali e non arrechino danno biologico all’ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agro-ecologiche, ambientali e pedoclimatiche.”) non si configura come “regola tecnica” e come tale non necessita di essere notificato alla Commissione in quanto rappresenta norma di recepimento del cosiddetto “principio di coesistenza”, introdotto dalla legislazione comunitaria, proprio al fine di salvaguardare, attraverso specifiche misure locali, la agricoltura tradizionale e mettere i consumatori nelle condizioni di poter effettuare scelte in maniera oculata.

Nell’Unione Europea le competenze in materia di Organismi Geneticamente Modificati, in particolare anche per quanto concerne le sementi, sono distribuite in maniera tale che gli aspetti ambientali e sanitari, compresa la valutazione di rischio ambientale, è attribuita a livello europeo, mentre agli stati membri residua una competenza in materia di aspetti economici relativi alla commistione di colture transgeniche e non transgeniche.

Ciò comporta che un seme geneticamente modificato, una volta autorizzato all’immissione in commercio dalla Commissione Europea ed iscritto al relativo Catalogo, può essere usato in tutti paesi membri, fermo restando la possibilità di esperire, in casi eccezionali, la cosiddetta “clausola di salvaguardia” che consente ad uno stato membro di sospendere e limitare temporaneamente l’uso di un OGM, qualora ritenga che possa esserci un rischio per la salute umana o ambientale, sulla base di nuove conoscenze scientifiche.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 11148 depositata il 22 marzo 2012, riguardava il MON 810, un seme di mais geneticamente modificato, regolarmente autorizzato in ambito europeo da molti anni (per maggior informazioni: http://www.gmo-compass.org/eng/home/).

Tuttavia, il caso de quo, al di là delle peraltro residuali argomentazioni in materia di fumus commissi delicti, ha permesso al supremo Giudice di ribadire l’assetto e la portata della normativa nazionale in materia di OGM, mettendo peraltro involontariamente in sottesa evidenza, i ritardi di natura amministrativa nelle competenze regionali in materia.

La normativa nazionale in materia di sementi OGM deve preoccuparsi di identificare ed adottare misure opportune per limitare gli effetti economici connessi alla potenzialità diffusiva degli OGM, individuando ogni misura preventiva in grado di evitare commistione tra le diverse culture (transgenica, convenzionale, biologica).

Tale competenza legislativa, che vede peraltro un ruolo primario delle regioni, non deve e non può rappresentare un ostacolo o un rallentamento per l’espletamento del procedimento amministrativo, previsto dall’articolo 1, comma 2, del D Lgs 212/2001, in coerenza con l’articolo 2 del Decreto Legge 279/2004 (Legge di conversione n. 5/2005), teso a rendere esecutiva nello stato italiano la circolazione di un OGM già regolarmente valutato ed autorizzato a livello dalla Commissione Europea. La delibazione concessa allo stato italiano è pertanto finalizzata a perseguire la finalità che la cultura transgenica, autorizzata a livello europeo, venga introdotta senza pregiudizio per le attività agricole preesistenti.

Il procedimento stabilito all’articolo 1, comma 2, del D Lgs 212/2001 (“La messa in coltura dei prodotti sementieri di cui al presente comma è soggetta ad autorizzazione con provvedimento del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e del Ministro della sanità, emanato previo parere della Commissione di cui al comma 3, nel quale sono stabilite misure idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate non entrino in contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali e non arrechino danno biologico all’ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agro-ecologiche, ambientali e pedoclimatiche.”) non si configura come “regola tecnica” e come tale non necessita di essere notificato alla Commissione in quanto rappresenta norma di recepimento del cosiddetto “principio di coesistenza”, introdotto dalla legislazione comunitaria, proprio al fine di salvaguardare, attraverso specifiche misure locali, la agricoltura tradizionale e mettere i consumatori nelle condizioni di poter effettuare scelte in maniera oculata.