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Atomica iraniana per la minaccia islamica

Borghese anno XLIII N. 52/1, 31 DICEMBRE 1992
Il Borghese
Il Borghese

di Salz Yusti

A Roma, nell'ultima settimana di novembre si è svolto un incontra tra alcuni rappresentanti delle tre grandi religioni monoteistel'ebraica, la cristiana, l'islamica. Non è andata liscia. L'imam Shaykh Muhammad Nagib Billami, capo della comunità islamica della Toscana, ha tuonato «contro le false ideologie sull'lslam propagate dal Concilio Vaticano secondo». Ha strepitato l’imam Billami: «I fedeli delle dottrine giudeo-cristiane non conoscono nulla del Corano». Qualche giorno dopo, a Milano, il vice imam della regione lombarda Abdallah Hatif Hussein Hasan, meglio conosciuto col nome di Abu Jaffar, è stato prelevato da un paio di carabinieri, educati ma decisi, accompagnato all'aeroporto di Linate e rispedito ad Amman con una seria ingiunzione: non farsi più vedere in circolazione in Italia.

Un provvedimento preso dagli organi di sicurezza perché il vice imam era stato colpito dalle leggi interessanti «i crimini contro lo Stato e la collaborazione con gruppi terroristici».

Trattandosi di un personaggio che era anche l'Emiro della comunità musulmana della Lombardia, l'espulsione di Abu Jaffar non è irrilevante. Da notare: nello scorso agosto anche Omar Tariq, un giordano palestinese presidente dell'Unione degli studenti musulmani in Italia, venne espulso per le stesse ragioni che hanno portato all'estradizione del vice imam Abu Jaffar. Ornar Ta-riq aveva le funzioni di «predicatore del venerdì» nella Moschea milanese. Nei suoi confronti le autorità italiane hanno fatto, in minimissima parte e per ragioni di elementare controllo, quello che i Governi dell'Algeria, dell'Egitto, della Tunisia, della Giordania, della Siria e così via elencando fanno, con necessaria durezza, contro quanti, imam e uomini di religione, trasformando le moschee in incubatrici del radicalismo e dell'estremismo islamico, o addirittura in depositi di armi.

Quanto è avvenuto in Italia è certo trascurabile, in fondo, rispetto al quadro generale di quel che avviene nel mondo islamico, dove l'Islam radicale compie guasti rovinosi preparando un avvenire tragico tanto per i «fratelli arabi» quanto per le società ed i Paesi che nulla hanno a che fare con l'Islam. Ricordava qualche tempo fa Jean Daniel, già direttore del Nouvel Observateur, scrittore e politico sempre molto vicino alla causa algerina ed alle rivendicazioni dei Paesi ex coloniali, che una delegazione del clero iraniano (dire clero in relazione agli uomini di religione islamica è inesatto) è stata ricevuta da rappresentati del mondo arabo presso le Nazioni Unite. «I membri della delegazione hanno dichiarato che venivano a portare la Grande Notizia: era giunta l'ora prevista dai vari testi sacri, l'ora della mobilitazione di tutti i musulmani in difesa della religione assediata».

La Guerra Santa, prevede «lo scontro ancor più tragico dei musulmani tra loro, dei seguaci di un Islam tollerante contrapposti a quelli di un islamismo che può a volte essere fanatico», come ha avvertito Jean Daniel: «E una guerra civile fratricida e interna alla religione musulmana, quella che si combatte in Algeria e in Tunisia come in Palestina e in Egitto. E, in una parola, la guerra tra la tradizione e la modernità, tra chi vuole islamizzare la modernità e chi vuole modernizzare l'Islam».

Dopo aver spiegato perché egli ritiene che l'intensità della repressione contro gli estremisti in Algeria non faccia che alimentare l'integralismo violento, Jean Daniel conclude: «In ogni caso è ormai chiaro che due spettri si aggirano oggi per l’Occidente e per il mondo: da un lato il ritorno ai tribalismi nazionalisti, dall'altro la virulenza islamista che, come un tempo il comunismo, da allusione di rispondere ai bisogni dei diseredati in Africa e nel cuore delle comunità nere americane». Certo, il fondamentalismo islamica è anche alimentato dalla povertà. Là dove il Governo è lontano, come nell'Alto Egitto per esempio, o nel Sudan, nelle zone del profondo interno dell'Algeria, nelle Repubbliche di maggioranza musulmana dell'ex Unione Sovietica, gli attivisti islamici hanno facile gioco nel sostituirlo. Trascurare però i fermenti dell'Islam, l'espandersi del fondamentalismo e dell'islamismo radicale sarebbe un errore mortale per l'Europa. Per tutto l'Occidente, ma per l'Europa in modo più decisivo.

 

Islam: incomprensibile per l'Occidente

E del tutto impossibile cercare di analizzare e capire l'Islam applicando concetti europei. Meno ancora sapersi muovere concettualmente e conoscere, sia pure relativamente, il mondo islamico arabo dall'altro.

Sapere qualcosa delle società musulmane del Maghreb, del Maghrek o della penisola Arabica e del Medio Oriente, non significa conoscere, anche in via relativa, l'Islam del Pakistan, dell'Afghanistan, dell'Asia, dell'Indonesia, della Cina.

Ma ovunque, per i radicali e gli integralisti, l'uomo islamico non ha niente a che vedere con l'uomo dei Diritti dell'Uomo. Tra sciiti e sunniti, rimanendo all'islamismo arabo e del Medio Oriente, al di là delle diversità e dei dissensi (nelle interpretazioni della dottrina, nell'azione politica aperta o clandestina, nei concetti dell'inquadramento della società civile) non esiste divergenza nel campo della lotta contro gli infedeli.

Tremendamente difficile per l'opinione pubblica occidentale, e anche per i Governi ed i responsabili politici dell'Occidente, capire che i concetti di pace, armistizio, tregua, per l’Islam radicale hanno un contenuto del tutto particolare. Per i radicali e gli integralisti dell'Islam il diritto internazionale non ha alcun significato, perché è sempre il diritto islamico che prevale. La Jihad, la Guerra Santa, è permanente, consiste nell’azione armata (guerra guerreggiata dichiarata o meno, attacchi, colpi di mano, azioni di lotta, terrorismo, eccetera) per l'espansione dell'Islam. La Jihad per l'integralismo è addirittura un obbligo in base alla dottrina, alla tradizione, alla legge.

Tentare di spiegare o semplicemente far credere tutto questo alle opinioni pubbliche dell'Occidente, agli Europei, ai cattolici o ai protestanti o agnostici, è fatica sprecata. Ed è comprensibile. Infatti nulla ad un europeo, ad un occidentale, può sembrare più assurdo della teoria del pensiero-azione del radicalismo islamico secondo la quale, agli inizi del 1993, «la conversione degli infedeli è obbligatoria in alternativa alla morte e alla schiavitù perché il fine supremo è la costituzione di una sola comunità organizzata sotto un'unica autorità, l'Islam della umma islàmiyya» (B. Etienne, «L'IsIamisme Radicai», Hachette, Paris 1987). La caratteristica della Jihad, la Guerra Santa, consiste nella sua obbligatorietà in termini assoluti. Irrevocabile «per gli abitanti più vicini al territorio nemico».

Per un radicale o integralista islamico, è assolutamente impensabile che il Trattato di pace esistente tra Egitto ed Israele, per esempio, possa essere valido; al contrario, è automaticamente illegittimo il Governo che lo ha firmato.

 

Teheran: atomica domani

Per l'integralismo islamico la pace con le Nazioni non musulmane può essere solamente provvisoria, nessun vero trattato può essere concluso. Sono ammesse unicamente tregue precarie, che non soltanto possono ma devono essere denunciate ed annullate unilateralmente quando sia utile all'Islam. Ciò è tanto più grave in quanto il settarismo ed il fanatismo degli integralisti e radicali oggi si sono incarnati nell’ayatollah Ruollah Komeini, in Iran.

Sostenuti da Teheran, gli hezbollah in Libano, gli adepti dell’Hamas nella striscia di Gaza e nei territori della Cisgiordania, i Fratelli Musulmani in Egitto, i Gam'iyyat al-islami in Marocco, gli aderenti dell'al-Ittigah al-islami in Tunisia, i mugahidin in Siria, la setta degli al-Salafiyyn in Algeria (potremmo continuare l'elenco a lungo) mantengono l'integralismo ed il radicalismo islamico al calar bianco.

Ora se, l'Europa e l'Occidente capiscono poco o nulla dell'Islam, è però vero che sanno quanto basta in fatto di minacele e mortale pericolosità relativamente alle armi atomiche e nucleari. L'erede di Khomeini, secondo l'allarme lanciato in un recente rapporto dei Servizi d'informazione dei Paesi d'Europa e della CIA, il presidente iraniano Rafsanjani, sarà domani un nuovo e molto più bellicoso Saddam. L'Iran sta compiendo passi da gigante nei suoi programmi nucleari. Entro il 2000, vale a dire tra una manciata di anni, Teheran potrà giungere a costruire le sue prime armi atomiche.

Se Reagan e Bush non realizzarono a pieno quale macchina bellica stava montando, pezzo dopo pezzo, Saddam Hussein, è sperabile che Bill Clinton e gli Europei non trascurino la macchina di guerra che l'Iran, la Repubblica islamica degli eredi di Khomeini, sta costruendo. Il nuovo Presidente americano, ha scritto Elaine Sciolino sul New York Times (il Corriere della Sera del 1° dicembre ha riprodotto l'articolo) potrebbe trovarsi a dover affrontare, con l'Iran, un problema analogo a quello affrontato da Bush con l'Irak.

Teheran investe ogni anno, da anni, miliardi di dollari in armamenti. Il dissolvimento dell'URSS ha favorito i governanti iraniani, che hanno acquistato e continuano ad acquistare non soltanto armamenti sofisticati (velivoli da combattimento, carri, sistemi d'arma, missili), ma mezzi e tecnologia per il programma atomico-nucleare.

Robert Gates, il direttore della CIA, si è chiaramente espresso: «Se mi chiedete se l'Iran sia oggi un problema, la risposta è: probabilmente no. Ma fra tre, quattro o cinque anni potrebbe essere un problema, ed anche estremamente serio». Forse (e malauguratamente) perché gli Occidentali si rendano bene conto di quel che significa l'integralismo ed il radicalismo islamico, sarà necessario attendere che i predicatori della Jihad, della Guerra Santa, dispongano di un'arma nucleare.