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Azioni di risarcimento dei danni contro le banche negoziatrici di bonds argentini: possono agire anche gli investitori che hanno aderito all’offerta pubblica di scambio o hanno alienato i titoli

Nota a Tribunale di Torre Annunziata - Sezione Seconda Civile, Sentenza 22 novembre 2006, n.1320
Il Tribunale di Torre Annunziata, in conformità all’orientamento della recente giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sentenza del 29 settembre 2005) che appare ormai accolto anche dalla maggioritaria giurisprudenza di merito, ha statuito che la violazione dei doveri di diligenza e correttezza imposti agli intermediari finanziari dall’art. 21 D.Lgs. n. 58/98 (TUIF) e dagli artt. 26 e ss. Reg. Consob n. 11522/98, determina un grave inadempimento contrattuale cui consegue la risoluzione del contratto e l’obbligo per l’intermediario di risarcire il danno patrimoniale subito dall’investitore.

A tanto il Tribunale è pervenuto sull’assunto che la mancata compilazione della scheda per l’individuazione del profilo dell’investitore, nel caso di specie rimasta “in bianco”, cioè priva anche della dichiarazione di rifiuto di fornire informazioni da parte dell’investitore, concreta una violazione di norma di legge, segnatamente degli artt. 21 TUIF e 28, comma 1, lett. a), Reg. Consob cit., e comporta – ciò che è più grave – l’impossibilità per la banca, che tali informazioni non ha dunque ricevuto, di valutare e segnalare l’inadeguatezza dell’investimento, con conseguente violazione dell’art. 29 Reg. Consob.

In poche parole, il Tribunale ha giustamente ritenuto che la banca, non disponendo delle informazioni sulla situazione e competenza finanziaria del cliente e sulla sua propensione al rischio, non è stata in grado di effettuare l’obbligatoria valutazione di adeguatezza dell’investimento.

La carenza documentale è stata ritenuta sufficiente dai giudici campani per la definizione del giudizio, mentre le richieste istruttorie delle parti sono state rigettate poiché considerate irrilevanti.

Infatti, la sentenza ha definito “inconferenti” le prove chieste dalla banca per dimostrare che fossero stati gli investitori a volere il tipo di investimento, così come “generiche” quelle dirette a dimostrare che gli investitori avessero manifestato interesse per titoli societari o ad alto rendimento.

In buona sostanza, le prove precostituite documentali offerte dalle parti e non contestate né disconosciute appaiono prevalere su quelle orali costituende, che vengono puntualmente rigettate. E’ ormai evidente che il giudizio di responsabilità degli intermediari finanziari va compiuto esaminando pressoché esclusivamente la documentazione contrattuale formatasi nel rapporto, con implicita valutazione di diffidenza verso prove orali ricavabili dall’escussione dei dipendenti dell’intermediario.

Fin qui nulla di nuovo rispetto alle altre recenti decisioni, quasi tutte ormai orientate nel senso di individuare la violazione degli obblighi di legge sulla base della sola documentazione contrattuale sottoscritta (e non sottoscritta) dall’investitore.

Ciò che invece costituisce un quid novi rispetto alle decisioni in materia è la circostanza che, nel caso di specie, gli investitori avevano aderito all’offerta pubblica di scambio lanciata dallo stato emittente e permutato le obbligazioni argentine acquistate con obbligazioni nuove, recanti diverso tasso cedolare e diversa scadenza.

In base a ciò, la banca convenuta aveva eccepito la cessazione della materia del contendere e l’estinzione dell’obbligazione per intervenuta novazione.

Il Tribunale correttamente ha rigettato l’eccezione sull’assunto che l’adesione all’offerta pubblica di scambio non è indice di alcuna volontà di rinunziare agli eventuali diritti vantati nei confronti di chi viene ritenuto responsabile di quell’acquisto e della conseguente perdita finanziaria.

Ed infatti l’adesione all’offerta non comporta quiescenza nei confronti della banca negoziatrice, non potendosi ritenere accettazione, neanche tacita, dell’operato della banca convenuta, la quale in tale operazione non è intervenuta come parte, bensì meramente come intermediaria. L’adesione all’offerta, così come l’alienazione delle obbligazioni acquistate, non può conseguentemente avere effetti estintivi sull’obbligazione assunta dalla banca nella vendita delle obbligazioni argentine.

Né può addursi che lo scambio abbia avuto un effetto novativo estinguendo l’originario rapporto con la banca negoziatrice. Non ricorrono, infatti, i presupposti della novazione oggettiva ex art. 1230 c.c., in quanto le parti non hanno sostituito all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso, né risulta in modo non equivoco la volontà di estinguere l’obbligazione precedente.

Conseguentemente, non può ritenersi cessato l’interesse ad agire dell’investitore, interesse che persiste a causa della grave perdita patrimoniale subita con lo scambio (od alienazione) dei titoli.

E proprio quella perdita, risultante dalla differenza tra somma originariamente investita e quella corrispondente al valore nominale dei nuovi titoli scambiati (oppure, in caso di alienazione, quella ricavata dalla vendita), corrisponde all’effettiva perdita economica subita.

La statuizione, dunque, apre le porte ad una numerosa serie di azioni da parte di quegli investitori che, per bisogno di liquidità o per timore, avevano preferito rivedere a prezzo vile i titoli argentini o scambiarli con quelli di nuova emissione con sensibile abbattimento del capitale.

Il Tribunale di Torre Annunziata, in conformità all’orientamento della recente giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sentenza del 29 settembre 2005) che appare ormai accolto anche dalla maggioritaria giurisprudenza di merito, ha statuito che la violazione dei doveri di diligenza e correttezza imposti agli intermediari finanziari dall’art. 21 D.Lgs. n. 58/98 (TUIF) e dagli artt. 26 e ss. Reg. Consob n. 11522/98, determina un grave inadempimento contrattuale cui consegue la risoluzione del contratto e l’obbligo per l’intermediario di risarcire il danno patrimoniale subito dall’investitore.

A tanto il Tribunale è pervenuto sull’assunto che la mancata compilazione della scheda per l’individuazione del profilo dell’investitore, nel caso di specie rimasta “in bianco”, cioè priva anche della dichiarazione di rifiuto di fornire informazioni da parte dell’investitore, concreta una violazione di norma di legge, segnatamente degli artt. 21 TUIF e 28, comma 1, lett. a), Reg. Consob cit., e comporta – ciò che è più grave – l’impossibilità per la banca, che tali informazioni non ha dunque ricevuto, di valutare e segnalare l’inadeguatezza dell’investimento, con conseguente violazione dell’art. 29 Reg. Consob.

In poche parole, il Tribunale ha giustamente ritenuto che la banca, non disponendo delle informazioni sulla situazione e competenza finanziaria del cliente e sulla sua propensione al rischio, non è stata in grado di effettuare l’obbligatoria valutazione di adeguatezza dell’investimento.

La carenza documentale è stata ritenuta sufficiente dai giudici campani per la definizione del giudizio, mentre le richieste istruttorie delle parti sono state rigettate poiché considerate irrilevanti.

Infatti, la sentenza ha definito “inconferenti” le prove chieste dalla banca per dimostrare che fossero stati gli investitori a volere il tipo di investimento, così come “generiche” quelle dirette a dimostrare che gli investitori avessero manifestato interesse per titoli societari o ad alto rendimento.

In buona sostanza, le prove precostituite documentali offerte dalle parti e non contestate né disconosciute appaiono prevalere su quelle orali costituende, che vengono puntualmente rigettate. E’ ormai evidente che il giudizio di responsabilità degli intermediari finanziari va compiuto esaminando pressoché esclusivamente la documentazione contrattuale formatasi nel rapporto, con implicita valutazione di diffidenza verso prove orali ricavabili dall’escussione dei dipendenti dell’intermediario.

Fin qui nulla di nuovo rispetto alle altre recenti decisioni, quasi tutte ormai orientate nel senso di individuare la violazione degli obblighi di legge sulla base della sola documentazione contrattuale sottoscritta (e non sottoscritta) dall’investitore.

Ciò che invece costituisce un quid novi rispetto alle decisioni in materia è la circostanza che, nel caso di specie, gli investitori avevano aderito all’offerta pubblica di scambio lanciata dallo stato emittente e permutato le obbligazioni argentine acquistate con obbligazioni nuove, recanti diverso tasso cedolare e diversa scadenza.

In base a ciò, la banca convenuta aveva eccepito la cessazione della materia del contendere e l’estinzione dell’obbligazione per intervenuta novazione.

Il Tribunale correttamente ha rigettato l’eccezione sull’assunto che l’adesione all’offerta pubblica di scambio non è indice di alcuna volontà di rinunziare agli eventuali diritti vantati nei confronti di chi viene ritenuto responsabile di quell’acquisto e della conseguente perdita finanziaria.

Ed infatti l’adesione all’offerta non comporta quiescenza nei confronti della banca negoziatrice, non potendosi ritenere accettazione, neanche tacita, dell’operato della banca convenuta, la quale in tale operazione non è intervenuta come parte, bensì meramente come intermediaria. L’adesione all’offerta, così come l’alienazione delle obbligazioni acquistate, non può conseguentemente avere effetti estintivi sull’obbligazione assunta dalla banca nella vendita delle obbligazioni argentine.

Né può addursi che lo scambio abbia avuto un effetto novativo estinguendo l’originario rapporto con la banca negoziatrice. Non ricorrono, infatti, i presupposti della novazione oggettiva ex art. 1230 c.c., in quanto le parti non hanno sostituito all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso, né risulta in modo non equivoco la volontà di estinguere l’obbligazione precedente.

Conseguentemente, non può ritenersi cessato l’interesse ad agire dell’investitore, interesse che persiste a causa della grave perdita patrimoniale subita con lo scambio (od alienazione) dei titoli.

E proprio quella perdita, risultante dalla differenza tra somma originariamente investita e quella corrispondente al valore nominale dei nuovi titoli scambiati (oppure, in caso di alienazione, quella ricavata dalla vendita), corrisponde all’effettiva perdita economica subita.

La statuizione, dunque, apre le porte ad una numerosa serie di azioni da parte di quegli investitori che, per bisogno di liquidità o per timore, avevano preferito rivedere a prezzo vile i titoli argentini o scambiarli con quelli di nuova emissione con sensibile abbattimento del capitale.