Brevi cenni al patto di famiglia
Indice:
1. Premessa: l’importanza di una consapevole predisposizione del passaggio intergenerazionale di ricchezza e della crisi del negozio testamentario
2. La scarsa applicazione del patto di famiglia: possibili motivazioni
3. Analisi strutturale del patto di famiglia:
a. Struttura e natura giuridica
b. Soggetti
c. Oggetto
d. Scioglimento
4. Patto di famiglia e trust: differenze strutturali e gestionali
1. Premessa: l’importanza di una consapevole predisposizione del passaggio intergenerazionale di ricchezza e della crisi del negozio testamentario
Le aziende familiari, realtà pervasiva della nostra economia, sono costituite per lo più da piccole imprese e microimprese caratterizzate dal ruolo dominante della persona fisica dell’imprenditore-proprietario.
Quest’ultimo – che concentra nelle sue mani l’attività di gestione, controllo e coordinamento – sovrappone il ruolo di manager a quello di imprenditore. In qualità di imprenditore, e quindi di principale attore del processo di transizione aziendale, pur consapevole della necessità di affrontare il passaggio intergenerazionale dell’attività, tende a non considerare la tematica successoria come un vero e proprio processo di pianificazione strategica rischiando, quindi, la riduzione delle probabilità di successo del trasferimento da una generazione all’altra.
Inoltre, il nostro codice civile in origine prevedeva il testamento quale unico negozio per trasmettere ricchezza (seppur mortis causa). Detto istituto non appare più idoneo al passaggio generazionale inter vivos e le ragioni sono molteplici. Tra le altre,
perché il diritto successorio è indifferente alle peculiarità oggettive o soggettive del caso;
perché manca il controllo delle sopravvenienze: dal momento della redazione del testamento a quello dell’apertura della successione possono presentarsi alcuni eventi non previsti dal testatore al confezionamento della scheda (l’esempio tipico è la nascita di un figlio o la crisi dell’impresa);
perché i successori, al momento dell’apertura del testamento, potrebbero essere minori o, comunque, non in grado di gestire l’impresa (manca, pertanto, una figura gestoria c.d. intermedia);
e, infine, perché si instaura la comunione ereditaria che pietrifica qualsiasi iniziativa economica utile alla flessibilità aziendale.
2. La scarsa applicazione del patto di famiglia: possibili motivazioni
Nel quadro generale anzidetto, la Legge n. 55/2006 introduce l’istituto del patto di famiglia che consente all’imprenditore di disporre inter vivos dell’impresa e, contestualmente, di garantire ai legittimari la soddisfazione della propria quota di riserva. Tuttavia, nonostante l’auspicata attesa, tale negozio ha avuto scarsa applicazione per limitazioni strutturali e funzionali che lo contraddistinguono.
Ed invero, dal punto di vista funzionale, pur consentendo l’assegnazione diretta di azienda o di partecipazioni sociali, non è contemplata la figura gestoria; l’imprenditore, inoltre, deve immediatamente spogliarsi dell’azienda o delle partecipazioni.
Dal punto di vista strutturale, poi, non vi è segregazione patrimoniale; la partecipazione di tutti i legittimari è richiesta a pena di validità (permane, quindi, il problema della liquidazione dei sopravvenuti) e il legittimario che ha ricevuto l’azienda deve liquidare tutti gli altri.
3. Analisi strutturale del patto di famiglia
a. Struttura e natura giuridica
L’istituto del patto di famiglia, che introduce gli artt. 768 bis e s.s. Codice Civile, viene collocato a chiusura della disciplina ereditaria nel libro secondo del codice civile. È evidente il collegamento con l’articolo 458 Codice Civile che impone il divieto dei patti successori: a questi, infatti, viene introdotta l’eccezione della sua applicazione.
Dall’analisi della definizione emerge che detto negozio abbia effetti reali inter vivos poiché disciplina il passaggio di diritti dell’azienda e delle partecipazioni sociali.
Se apparentemente è un contratto bilaterale le cui parti principali sono l’imprenditore e uno o più discendenti, letto in combinato disposto con l’articolo 768 quater Codice Civile emerge la sua struttura plurilaterale con la necessaria partecipazione di tutti i legittimari e del coniuge. Quanto alla natura giuridica del contratto, se per alcuni si tratta di donazione modale (l’imprenditore trasferisce il bene al discendente con l’apposizione del modus di liquidazione), altri credono abbia natura divisoria ai sensi dell’articolo 768 quater. Le due posizioni rilevano ai fini della necessaria presenza o meno di testimoni all’atto pubblico.
b. Soggetti
Il testo dell’articolo 768 bis Codice Civile indica quali parti contrattuali l’imprenditore e i discendenti: particolari problematiche rilevano sia per l’uno che per l’altro aspetto.
Ed invero, quanto alla nozione di imprenditore, la lettera della legge e la natura di norma eccezionale depongono a favore di una interpretazione strettamente letterale del soggetto “imprenditore” richiamando, così, la definizione tecnica offerta dall’articolo 2082 Codice Civile. Tuttavia, detta interpretazione restrittiva è esclusa nei lavori preparatori e, soprattutto, contraria alla ratio della riforma che mira a consentire il passaggio intergenerazionale nel più ampio ventaglio possibile di ipotesi. Per questo, la dottrina maggioritaria preferisce il termine “titolare dell’azienda” a “imprenditore” consentendo, quindi, anche al padre che ha dato in gestione al figlio la sua impresa (e che ha perduto, quindi, la qualifica di imprenditore) di poter beneficiare del patto di famiglia.
Quanto poi al termine “uno o più discendenti”, tutti i soggetti che in linea retta discendono dall’imprenditore e che rientrano nella categoria dei legittimari devono partecipare al patto. L’articolo 768 quater Codice Civile, infatti, opera una fictio iuris poiché equipara il momento in cui è siglato il patto di famiglia alla morte dell’imprenditore cristallizzando, quindi, la valutazione dei legittimari esistenti che necessariamente devono presenziare alla stipula contrattuale. L’articolo 768 sexies Codice Civile, poi, contempla l’ipotesi in cui siano sopravvenuti nuovi soggetti legittimari: questi ultimi avranno diritto a una liquidazione postuma.
c. Oggetto
La successione dell’azienda o delle partecipazioni societarie viene assicurata compatibilmente con la disciplina sull’impresa familiare e con le varie tipologie di società.
Quanto alla prima, prevista dall’articolo 230 bis Codice Civile e intesa quale norma di chiusura che accorda tutela residuale a tutti i soggetti legati da vincolo familiare che prestano la propria opera senza che questo rapporto rivesta forma giuridica, ci si chiede se il collaboratore familiare goda del diritto di prelazione anche per il caso in cui il titolare dell’azienda decida di trasferirla. Se per alcuni la ratio della riforma non consente ipotesi di prelazione a tutela del maggior spazio decisionale dell’imprenditore, altri ritengono che detto diritto continui a essere garantito. Per la dottrina maggioritaria, quindi, la soluzione migliore è quella di far partecipare i collaboratori familiari alla stipula del patto: in quell’occasione consentiranno l’operazione e rinunceranno al loro diritto di prelazione.
Quanto poi alle differenti tipologie societarie, nelle società di persone il trasferimento delle partecipazioni dovrà essere accordato mediante consenso di tutti i soci. Nelle società di capitali, invece, salvo particolari eccezioni statutarie, le partecipazioni saranno liberamente trasferibili.
Tuttavia, il vero problema riguarda il lemma “partecipazioni societarie”. Ci si chiede, infatti, se qualsiasi trasferimento di partecipazioni societarie possa godere del favore (anche fiscale) riservato al patto di famiglia. Il problema è a livello costituzionale: ove si intendesse la norma in senso meramente letterale consentendo il trasferimento di una qualsiasi partecipazione, si introdurrebbe un regime di favore che provocherebbe una irragionevole disparità di trattamento con altri beni non produttivi. Perciò, è da preferire la riduzione della portata semantica del lemma “partecipazioni societarie” al solo pacchetto di quote che assicuri un diritto di controllo sull’impresa.
d. Scioglimento
L’articolo 768 sexies Codice Civile disciplina quali ipotesi di scioglimento del patto di famiglia il contratto e il recesso.
Se il rimedio contrattuale non comporta particolari dubbi, lo stesso non può dirsi per l’ipotesi di recesso.
Ed invero, se la ratio dell’istituto è volta ad assicurare la massima stabilità al trasferimento dell’azienda e delle partecipazioni, il recesso ne minerebbe la fermezza. Inoltre, parrebbe derogare l’assunto dell’articolo 1373 Codice Civile (che stabilisce il suo accoglimento negoziale solo in contratti di durata o a esecuzione istantanea ma differita e, ovviamente, prima dell’estinzione degli effetti). In questo caso, invece, sembrerebbe possibile il recesso anche dopo la consumazione del contratto.
4. Patto di famiglia e trust: differenze strutturali e gestionali
Posta la parziale inidoneità del patto di famiglia alla successione dell’impresa, si prospetta l’utilizzo del trust.
Storicamente nacque per eludere i divieti imposti dagli statuti di Mortmain che vietavano alla Chiesa di essere destinataria di attribuzioni liberali: i beni, quindi, venivano trasferiti al soggetto intermedio (trustee o fiduciario) con l’obbligo di gestirli in favore degli ordini religiosi. Successivamente, si utilizzò per temperare la rigidità delle regole feudali che consentivano il trasferimento del feudo al solo primogenito maschio. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il trustee rifiutasse di attribuire i benefici al beneficiario, quest’ultimo non riceveva tutela alcuna. Non trovando giustizia, detti beneficiari iniziarono a rivolgersi all’organo regio del King’s Council.
A partire dal 1900, si affacciò anche nel sistema di civil law ponendo problemi di compatibilità. Parte di questi problemi sono stati risolti dalla Convenzione dell’Aja dell’anno 1985 – ratificata in Italia nel 1989 – che all’articolo 2 lo classifica come “insieme di rapporti giuridici istituiti da una persona “disponente” con atto tra vivi o mortis causa qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”. Dall’articolo in commento risulta la tanto auspicata #segregazionepatrimoniale (ossia, i beni del trust costituiscono massa distinta e non entrano a far parte del patrimonio del trustee).
Per concludere, se il patto di famiglia e il trust godono delle medesime condizioni economiche, sono giuridicamente diversi sul piano strutturale e gestionale.
Dal punto di vista strutturale, infatti, il patto di famiglia è contratto plurilaterale; il trust, invece, è negozio unilaterale a contenuto programmatico che non si espone a tutti i limiti del patto di famiglia (ad esempio il beneficiary può non rientrare nella categoria dei discendenti) tuttavia, laddove integri una liberalità a favore del beneficiario, si espone a problemi di azione di riduzione. Sul piano gestionale, invece, il trust permette la gestione del bene azienda e consente la segregazione patrimoniale.
Ad ogni modo, l’applicazione di entrambi rimane scarna nel nostro ordinamento.