Revenge porn e gender inequality nel tessuto culturale italiano

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Abstract:

La disuguaglianza di genere impone una riflessione su un tema tanto delicato quanto attuale: se la delicatezza riguarda il concetto di "violenza domestica" (il cui ossimoro risiede nell'accostamento della parola violenza alla dimensione spazi di sicurezza), l'attualità risiede nell'aumento di richieste d'aiuto ricevute dai centri antiviolenza durante il periodo di Covid-19. La comprensione del reato di revenge porn impone un'osservazio ne tridimensionale del modus vivendi della nostra società.

Gender inequality is such a delicate yet current topic that it forces us to reflect upon it. The word violence is juxtaposed with a noun, typically connected to the concept of security in the phrase "domestic violence" in the spatial dimension, where current refers to the recent increase for help in the anti -violence centres during the Covid-19 period. In order to understad revenge porn crime, is required a three-dimensional analysis of our society.

 

 

Indice:

1. Premessa

2. L’analisi antropologica della società

3. L’atteggiamento dell’unione europea

4. La disuguaglianza di genere nel tessuto culturale italiano

a) La sentenza Talpis e l’Osman test

b) Il codice rosso e il Revenge porn

 

1. Premessa

La dimensione della disuguaglianza di genere impone una riflessione su un tema tanto delicato quanto attuale.

Se la delicatezza riguarda il concetto di violenza domestica, il cui ossimoro è nell’accostamento della parola violenza alla dimensione spaziale tipicamente collegata al concetto di sicurezza, l’attualità emerge con riferimento all’aumento di richieste di aiuto ricevute dai centri antiviolenza nel periodo di Covid-19.

Tuttavia, il forte legame tra cultura, linguaggio e diritto dimostra come l’omicidio, l’aggressione fisica, lo stupro e le minacce siano solo la punta visibile di una ben radicata cultura sessista: per un’ottima comprensione del problema, quindi, sarà necessario utilizzare diverse discipline scientifiche tra le quali l’antropologia, la filosofia, e, solo infine, la branca del diritto.

Infatti, per esaminare correttamente i rimedi attuati dallo Stato italiano a tutela della disuguaglianza di genere, dapprima occorrerà comprendere il modus vivendi della società in cui viviamo, verificare poi come si comporta l’Europa sul punto e, solo infine, analizzare i rimedi italiani.

 

2. L’analisi antropologica della società

Charles Taylor, in Multiculturalismo, lotte per il riconoscimento, osserva come i concetti cardine della politica contemporanea siano il bisogno e la domanda di riconoscimento. Se il bisogno è una delle forze motrici dei movimenti politici nazionalistici, la domanda di riconoscimento emerge nella difesa di gruppi minoritari o “subalterni” e in alcune forme di femminismo.

Per Habermas, però, la nostra identità è plasmata dal riconoscimento (o dal mancato riconoscimento) di altre persone: per questo, un individuo o un gruppo subisce un danno se le persone o la società che lo circondano gli rimandano, come uno specchio, l’immagine di sé che lo limita, lo sminuisce o lo umilia. Il compito della società, quindi, è quello di liberarsi dall’identità imposta dall’esterno. Per farlo, si notino due cambiamenti storici avvenuti nella nostra società.

Il primo è il crollo delle gerarchie sociali che costituivano la base dell’onore (nell’accezione di “preferences” di Montesquieu). Alla nozione di onore si contrappone quella moderna di dignità, unica compatibile con la società democratica.

La seconda modifica riguarda l’autenticità, concetto che nasce dallo spostamento dell’accento morale alla voce interiore per giudicare il giusto e l’ingiusto. Tuttavia, pur se la fonte del concetto di originalità risiede in noi stessi, è fondamentale il carattere dialogico per svilupparla.

Lo Stato, quindi, da un lato dovrà attuare la politica dell’universalismo, dall’altro, però, la nascita della nozione di identità ha dato origine a una politica della differenza. Così, questi due modi di fare politica (basati entrambi sulla nozione di eguale rispetto) entrano in conflitto: l’uno tratta gli esseri umani in modo cieco alle differenze, l’altro impone di riconoscere il particolare e di fare distinzioni. La critica che la prima modalità fa alla seconda è che viola il principio di non discriminazione, la critica opposta è che si nega l’identità facendo rientrare a forza gli esseri umani in uno stampo omogeneo che non ricalca fedelmente la loro immagine.

 

3. L’atteggiamento dell’unione europea

Il tema della discriminazione rileva anche nella sharing economy, soprattutto nel modello peer to peer.

Infatti, a seguito di un articolo di The Guardian del 2016 che denunciava come gli utenti afroamericani di Airbnb fossero spesso discriminati rispetto a utenti di altre etnie, la piattaforma ha previsto nei termini di utilizzo una sezione dedicata alle politiche di non discriminazione, in cui, da un lato, vengono enunciati i principi di inclusione e, dall’altro, vengono delineate alcune categorie di soggetti più o meno protetti.

La dottrina, al riguardo, ha però sottolineato l’irragionevolezza di questa suddivisione soprattutto in riferimento alla diversa protezione della “categoria genere” (parzialmente protetta) e della “categoria identità di genere” (assolutamente protetta). 

Una possibile soluzione è stata fondata nell’articolo 3 della direttiva 113 del 2004, che stabilisce che il divieto di discriminazione opera quando la manifestazione di volontà contrattuale è destinata al pubblico e quando questa è estranea all’ambito della vita privata e familiare. Pertanto, è giustificato porre dei limiti nei confronti di soggetti con cui ci si relaziona solo quando la condivisione sia effettiva. Diversamente, se l’host opera sulla piattaforma esclusivamente a scopo di profitto (mettendo a disposizione dei locali in cui non vive abitualmente), nessuna discriminazione dovrebbe essere ammessa perché Airbnb, da fenomeno di sharing economy, diventerebbe un normale contratto di locazione.

Il concetto di discriminazione giustificata (come nel caso appena esposto di Airbnb) consente un breve cenno all’evoluzione del divieto di discriminazione nel diritto contrattuale europeo: da regola di dettaglio è diventato principio generale; da fondamento mercatista, sta diventando un fondamento assiologico.

 

4. La disuguaglianza di genere nel tessuto culturale italiano

Passando ora al livello italiano, il problema della disuguaglianza di genere verrà osservato a partire dal punto di vista culturale: la maschilizzazione di termini e concetti è presente anche all’interno dei nostri codici, tra tutti si ricordi la diligenza del “buon padre di famiglia” o la perizia “dell’uomo medio”. La donna, considerata soggetto debole e vulnerabile, ricalca il c.d.“complesso di Penelope”, ossia la sedimentazione dell’adagio del femminile che, nel nostro tessuto culturale, tutto deve accogliere facendo e disfacendo la tela delle lacerazioni prodotte nella storia sin dalla tradizione patriarcale, si unisce allo studio della globalizzazione (in cui il mercato diventa misura delle relazioni umane) che non altera solo l’economia, ma anche i sentimenti.

È in questo contesto che l’ordinamento italiano recepisce il concetto di “violenza di genere” con Legge n. 212 del 15 dicembre 2015 (ratificando la Convenzione di Lanzarote del Consiglio di Europa del 25 ottobre 2007).

Inoltre, rispetto agli stimoli sovranazionali, il legislatore italiano è stato piuttosto tardivo nel dare attuazione ad alcune Convenzioni come, per esempio, quella di Istanbul del 2011. In punto di diritto, si osservi come la Corte di Strasburgo abbia stigmatizzato il comportamento dello Stato Italiano.

a) La sentenza Talpis e l’Osman test

In particolare, la sentenza “Talpis c. Italia” ha condannato il nostro Stato perché, non agendo celermente, ha di fatto permesso una situazione di vulnerabilità, mancata protezione e impunità: la sottovalutazione colpevole della gravità dell’episodio costituirebbe, quindi, un’approvazione dei comportamenti medesimi.

La Prima Sezione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, con sentenza del 02/03/2017 n. 41237, ha infatti accordato un indennizzo a favore di una cittadina moldava residente in Italia, vittima di ripetute violenze domestiche a opera del coniuge, per inadempimento dello Stato italiano del dovere di protezione a fronte delle querele (anche se poi rivisitate dalla querelante a favore del marito) e delle richieste di aiuto della donna nonché del periodo trascorso tra le prime avvisaglie del pericolo e l’azione.

La medesima Corte, già con sentenza del 28/10/1998, si era pronunciata sul caso Osman contro Regno Unito in cui un insegnante, attratto da un alunno, lo aveva aggredito e ne aveva ucciso il padre.

La sentenza Osman sancisce una formula precisa per stabilire la responsabilità dello Stato che ne risponde quando: “le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere l’esistenza di un rischio reale e immediato alla vita di un individuo determinato e le autorità non hanno fatto quello che potevano fare e quello che si può ragionevolmente aspettarsi da loro per eliminare tale rischio”.

Nel caso Talpis, la Corte applica il c.d. “Test Osman” a una fattispecie che è da un lato contrassegnata da una significativa diluizione temporale degli episodi di violenza domestica (dal giugno del 2012 al novembre del 2013) e dall’altro sminuita, in relazione ai sintomi della gravità, dalla vittima stessa.

Il problema della prevedibilità del rischio è stato risolto con il passaggio dal “criterio della prognosi della immediatezza del rischio” a quello di “prevedibilità di un pericolo strutturale” e, quindi, immanente.

L’Italia, consapevole della necessità di protezione anticipata e rafforzata a tutela delle donne, ha promulgato la L. del 19/07/2019 n. 69 c.d. Codice Rosso.

b) Il codice rosso e il revenge porn

Il codice rosso, volto alla “Tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, è stato introdotto in Italia con legge n. 69/2019 del 19.07.2019. Tra le novità più significative, l’articolo 10 introduce il reato di revengeporn che punisce la diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti e sanziona con reclusione e multa la condotta di colui che, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza l’espresso consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati. La ratio è punire la diffusione di materiale pornografico destinato a rimanere privato e la collocazione del reato all’interno dei “delitti contro la libertà morale” suggerisce che il bene giuridico tutelato sia, in primis, la libertà di autodeterminazione dell’individuo. Tuttavia, si tratta di fattispecie plurioffensiva poiché tutela anche il decoro, la reputazione, e l’“onore sessuale” della singola persona.

Inoltre, la mancanza di parità tra donne e uomini si riscontra in forme e misure diverse e in vari contesti: in famiglia, sul lavoro e, più in generale, nella società.

Anche il cinema non fa eccezione: l’Acadey of Motion Picture Arts and Sciences (l’associazione che assegna gli Oscar) ha annunciato che, a partire dal 2024, i candidati dovranno rispettare alcuni requisiti di inclusione tra i quali l’attenzione per la trama, per la scelta dei personaggi e degli attori che, in misura del 30%, dovranno provenire da gruppi considerati “deboli” (donne, gruppo razziale o etnico, LGBTQ+ et altri). Per concludere, tutti devono avere le stesse opportunità e il diritto di accedere alle stesse posizioni nel lavoro, in politica e in ogni altro contesto sociale, Oscar incluso.

Piano culturale:

Jurgen Habermas e Charles Taylor, "Multiculturalismo, lotte per il riconoscimento";

articolo del The Guardian del 2016 sull a discriminazione degli utenti Afroamericani;

 

Piano giuridico:

art. 3 della direttiva Europea n. l 13 d el 2004;

Legge n. 212 del 15/12/2015 (che ratifica la Convenzione di Lanzarote); Convenzione di Instanbul;

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, sentenza n. 41237 del 02/03/2017;

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, se ntenza del 28/10/1998 (Osman/UK); Revenge porn: art. l O del Codi ce Rosso (legge n. 69/2019 del 19/07/2019).