Cassazione Civile: danno risarcibile ai sensi della Legge Pinto

Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi della cd. Legge Pinto può essere domandato dagli eredi sia jure proprio sia jure successionis ed è conseguenza normale, sebbene non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

La Corte d’Appello di Roma aveva respinto la domanda di indennizzo avanzata, ai sensi della legge n. 89/2001 (cd. Legge Pinto), dagli eredi di chi era stato parte di un procedimento, instaurato nel lontano 1995, volto ad ottenere il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme dovute per l’invalidità. La Corte aveva motivato tale rigetto sostenendo che gli aventi causa del de cuius avevano fatto valere un diritto proprio e non altrui, posto che l’avente diritto non aveva azionato tale pretesa e che pertanto il diritto non poteva considerarsi facente parte dell’asse ereditario, ed affermando inoltre che gli istanti non avevano assolto l’onere probatorio sulla sussistenza del danno extrapatrimoniale. Infine i giudici di seconde cure osservavano come il modesto valore della causa di cui si contestava l’irragionevole durata inducesse a ritenere insussistente qualsiasi reale pregiudizio nel caso de quo.

La Corte di Cassazione, facendo seguito al ricorso per impugnazione del suddetto decreto di rigetto, sostiene che il diritto all’equa riparazione del danno derivante dalla non ragionevole durata del procedimento e verificatosi prima dell’entrata in vigore della legge n. 89/2001 deve essere riconosciuto anche in favore degli eredi della parte che abbia promosso il giudizio di cui si lamenta l’eccessiva durata e ciò in virtù di quanto disposto dall’art. 6 della CEDU, di immediata rilevanza nell’ordinamento interno e di cui l’art. 2 della legge Pinto costituisce diretta applicazione. L’unico limite è quello che la domanda di riparazione non sia già stata proposta alla Corte di Strasburgo e dalla stessa dichiarata ricevibile.

Alla luce di ciò, si prospettano due modalità di conseguimento dell’indennità in oggetto: jure successionis, per quanto concerne l’indennizzo spettante al de cuius per l’eccessiva lunghezza del processo e quindi maturato fino a quando esso sia stato parte del giudizio; jure proprio, per quanto attiene alla protrazione del processo successivamente al momento in cui gli eredi abbiano assunto lo status di parte processuale mediante costituzione nel giudizio.

L’indennizzo acquisito jure successionis andrà diviso pro quota, alla luce degli ordinari principi regolanti la successione mortis causa, mentre l’indennizzo spettante jure proprio, se dovuto, spetterà per intero a ciascuno di essi (rectius, a chi è divenuto parte processuale).

Quanto alla prova del danno subito, è ormai orientamento consolidato quello per cui il danno non patrimoniale è conseguenza normale - sebbene non automatica - della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto esso va ritenuto sussistente, senza nessuno specifico onere probatorio sul punto, qualora sia accertata l’effettiva irragionevolezza della durata processuale, pur essendo sempre possibile per l’intimato dimostrare il contrario, ossia che nel caso concreto nessun danno si è verificato per l’istante (cfr. Cass., SS. UU., nn. 1338 e 1339 del 2004). Peraltro la modestia della pretesa azionata non può essere da sé sola sufficiente ad escludere il danno e ciò poiché, quanto alla liquidazione del pregiudizio, il giudice di merito deve valutare l’an ed il quantum in base alle molteplici circostanze concrete del caso, non ultime il comportamento processuale dei giudici e dell’istante, la condizione socio-economica di quest’ultimo, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso, l’entità della “posta in gioco”.

Infine, il fatto che la Corte di Strasburgo abbia elaborato dei principi formali in tema di liquidazione del danno da irragionevole durata del processo non può essere considerato limitativo dell’autonomia del giudice nazionale, il quale potrà derogare a detti principi sulla base di una ragionevole motivazione rapportata alla fattispecie in esame (nel caso de quo i ricorrenti avevano infatti chiesto la corresponsione di un bonus di € 2.000, fondando siffatta richiesta - smentita però dalla Cassazione - su ampli stralci di una sentenza della Corte europea proprio in materia previdenziale e nella quale si liquidava detto importo).

Per tutti i motivi di cui sopra, gli ermellini cassano il decreto di rigetto impugnato rinviando alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

(Corte di Cassazione, Sentenza 17 ottobre 2008, n.25412).

[Dott. Federico Repetti]

Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi della cd. Legge Pinto può essere domandato dagli eredi sia jure proprio sia jure successionis ed è conseguenza normale, sebbene non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

La Corte d’Appello di Roma aveva respinto la domanda di indennizzo avanzata, ai sensi della legge n. 89/2001 (cd. Legge Pinto), dagli eredi di chi era stato parte di un procedimento, instaurato nel lontano 1995, volto ad ottenere il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme dovute per l’invalidità. La Corte aveva motivato tale rigetto sostenendo che gli aventi causa del de cuius avevano fatto valere un diritto proprio e non altrui, posto che l’avente diritto non aveva azionato tale pretesa e che pertanto il diritto non poteva considerarsi facente parte dell’asse ereditario, ed affermando inoltre che gli istanti non avevano assolto l’onere probatorio sulla sussistenza del danno extrapatrimoniale. Infine i giudici di seconde cure osservavano come il modesto valore della causa di cui si contestava l’irragionevole durata inducesse a ritenere insussistente qualsiasi reale pregiudizio nel caso de quo.

La Corte di Cassazione, facendo seguito al ricorso per impugnazione del suddetto decreto di rigetto, sostiene che il diritto all’equa riparazione del danno derivante dalla non ragionevole durata del procedimento e verificatosi prima dell’entrata in vigore della legge n. 89/2001 deve essere riconosciuto anche in favore degli eredi della parte che abbia promosso il giudizio di cui si lamenta l’eccessiva durata e ciò in virtù di quanto disposto dall’art. 6 della CEDU, di immediata rilevanza nell’ordinamento interno e di cui l’art. 2 della legge Pinto costituisce diretta applicazione. L’unico limite è quello che la domanda di riparazione non sia già stata proposta alla Corte di Strasburgo e dalla stessa dichiarata ricevibile.

Alla luce di ciò, si prospettano due modalità di conseguimento dell’indennità in oggetto: jure successionis, per quanto concerne l’indennizzo spettante al de cuius per l’eccessiva lunghezza del processo e quindi maturato fino a quando esso sia stato parte del giudizio; jure proprio, per quanto attiene alla protrazione del processo successivamente al momento in cui gli eredi abbiano assunto lo status di parte processuale mediante costituzione nel giudizio.

L’indennizzo acquisito jure successionis andrà diviso pro quota, alla luce degli ordinari principi regolanti la successione mortis causa, mentre l’indennizzo spettante jure proprio, se dovuto, spetterà per intero a ciascuno di essi (rectius, a chi è divenuto parte processuale).

Quanto alla prova del danno subito, è ormai orientamento consolidato quello per cui il danno non patrimoniale è conseguenza normale - sebbene non automatica - della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e pertanto esso va ritenuto sussistente, senza nessuno specifico onere probatorio sul punto, qualora sia accertata l’effettiva irragionevolezza della durata processuale, pur essendo sempre possibile per l’intimato dimostrare il contrario, ossia che nel caso concreto nessun danno si è verificato per l’istante (cfr. Cass., SS. UU., nn. 1338 e 1339 del 2004). Peraltro la modestia della pretesa azionata non può essere da sé sola sufficiente ad escludere il danno e ciò poiché, quanto alla liquidazione del pregiudizio, il giudice di merito deve valutare l’an ed il quantum in base alle molteplici circostanze concrete del caso, non ultime il comportamento processuale dei giudici e dell’istante, la condizione socio-economica di quest’ultimo, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso, l’entità della “posta in gioco”.

Infine, il fatto che la Corte di Strasburgo abbia elaborato dei principi formali in tema di liquidazione del danno da irragionevole durata del processo non può essere considerato limitativo dell’autonomia del giudice nazionale, il quale potrà derogare a detti principi sulla base di una ragionevole motivazione rapportata alla fattispecie in esame (nel caso de quo i ricorrenti avevano infatti chiesto la corresponsione di un bonus di € 2.000, fondando siffatta richiesta - smentita però dalla Cassazione - su ampli stralci di una sentenza della Corte europea proprio in materia previdenziale e nella quale si liquidava detto importo).

Per tutti i motivi di cui sopra, gli ermellini cassano il decreto di rigetto impugnato rinviando alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

(Corte di Cassazione, Sentenza 17 ottobre 2008, n.25412).

[Dott. Federico Repetti]