Cassazione Civile: delibazione di sentenza ecclesiastica di annullamento
In particolare, lo scorso 22 agosto, la Corte ha emesso il proprio responso sulla validità di una sentenza di annullamento di matrimonio emanata dal Tribunale ecclesiastico regionale di Modena riconosciuta efficace nel territorio nazionale dalla Corte d’Appello di Bologna.
Nel caso di specie, il Tribunale ecclesiastico di Modena annullava di fronte alla Chiesa il matrimonio per esclusione del requisito dell’indissolubilità del vincolo da parte del marito, che pertanto conveniva in giudizio la consorte di fronte alla Corte d’Appello di Bologna per sentir dichiarare efficace in Italia la sentenza del Tribunale ecclesiastico. La Corte delibava la sentenza ecclesiastica l’11 novembre 2009. La moglie, non avendo avuto esito positivo la propria opposizione alla dichiarazione di efficacia in appello, ricorreva in Cassazione.
Il ricorso si fondava su due motivi, uno relativo alla violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. nonché all’omessa motivazione circa la mancata applicazione dell’abrogato art. 797 c.p.c. a favore della legge sostitutiva n. 218 del 1995 relativa al riconoscimento della sentenza straniera all’estero; l’altro, sempre in riferimento alla mancata applicazione dell’art. 797 c.p.c., si riferiva ad un esame errato della sentenza ecclesiastica da parte del giudice della delibazione con riguardo all’ordine pubblico italiano, alla tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole.
La Corte ha dichiarato il primo motivo inammissibile per estrema genericità in quanto la parte, una volta sostenuta l’ultrattività dell’art. 797 c.p.c. per le sentenze ecclesiastiche, non ha precisato “se e come la disapplicazione dell’articolo in questione avrebbe negativamente inciso sui suoi diritti processuali e sostanziali”.
A sostegno del secondo motivo, la ricorrente, innanzitutto ha fatto riferimento ad un valido orientamento della stessa Corte (Cass. n. 1343 del 2011) secondo il quale “una lunga convivenza durante il matrimonio tra i coniugi, ancorché invalido, ne impedisce l’annullamento per contrasto con l’ordine pubblico dovendosi considerare pienamente rilevante il matrimonio-rapporto, al di là del matrimonio–atto”. Argomentazione che, seppur valida, avrebbe dovuto essere sollevata per la prima volta in sede di merito.
Per quanto concerne poi l’erronea valutazione da parte del giudice a quo in relazione alla tutela della buona fede e dell’affidamento, la ricorrente sosteneva che il giudice della delibazione non avesse correttamente esaminato il materiale probatorio prodotto durante il procedimento ecclesiastico. La Corte ha difeso il buon operato del giudice d’appello riconoscendo che “il giudice italiano, dovendo esprimere una valutazione, estranea all’oggetto del giudizio canonico, di garanzia dell’affidamento negoziale incolpevole da parte del coniuge, può provvedere ad un’autonoma valutazione delle prove, secondo le regole del processo civile” (Cass. n. 2476 del 2008). L’autonomia valutativa e decisionale del giudice a quo in questo caso è comprovata proprio dal fatto che lo stesso, a seguito di un’approfondita valutazione del materiale istruttorio (e non della sola sentenza come invece sosteneva la ricorrente), ha ritenuto irrilevante l’affermazione della moglie sulla mancata conoscenza dell’esclusione dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale da parte del marito. Infatti, allo stato dei fatti (relazione del coniuge con un’altra donna prima del matrimonio; matrimonio di riparazione dovuto alla gravidanza inaspettata della ricorrente; menzione della possibilità di divorzio in varie occasioni…) la volontà del marito di sciogliere il vincolo matrimoniale avrebbe potuto essere conosciuta con l’ordinaria diligenza.
La Corte, in conclusione, dichiarando l’infondatezza del motivo addotto, “non sussistendo violazione alcuna del principio dell’affidamento incolpevole”, ha riconosciuto ancora una volta che, nel nostro ordinamento, la prova della colpevolezza nell’affidamento deve portare alla non esclusione della conoscenza di una parte (della moglie nel caso di specie) rispetto alla effettiva volontà dell’altra (marito). Per far ciò, il giudice ha il dovere di investigare i fatti che dimostrino quantomeno la conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza trascendendo le eventuali dichiarazioni sull’esclusione della stessa.
(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 22 agosto 2011, n.3009)
[Dott.ssa Valeria Borioni]
In particolare, lo scorso 22 agosto, la Corte ha emesso il proprio responso sulla validità di una sentenza di annullamento di matrimonio emanata dal Tribunale ecclesiastico regionale di Modena riconosciuta efficace nel territorio nazionale dalla Corte d’Appello di Bologna.
Nel caso di specie, il Tribunale ecclesiastico di Modena annullava di fronte alla Chiesa il matrimonio per esclusione del requisito dell’indissolubilità del vincolo da parte del marito, che pertanto conveniva in giudizio la consorte di fronte alla Corte d’Appello di Bologna per sentir dichiarare efficace in Italia la sentenza del Tribunale ecclesiastico. La Corte delibava la sentenza ecclesiastica l’11 novembre 2009. La moglie, non avendo avuto esito positivo la propria opposizione alla dichiarazione di efficacia in appello, ricorreva in Cassazione.
Il ricorso si fondava su due motivi, uno relativo alla violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. nonché all’omessa motivazione circa la mancata applicazione dell’abrogato art. 797 c.p.c. a favore della legge sostitutiva n. 218 del 1995 relativa al riconoscimento della sentenza straniera all’estero; l’altro, sempre in riferimento alla mancata applicazione dell’art. 797 c.p.c., si riferiva ad un esame errato della sentenza ecclesiastica da parte del giudice della delibazione con riguardo all’ordine pubblico italiano, alla tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole.
La Corte ha dichiarato il primo motivo inammissibile per estrema genericità in quanto la parte, una volta sostenuta l’ultrattività dell’art. 797 c.p.c. per le sentenze ecclesiastiche, non ha precisato “se e come la disapplicazione dell’articolo in questione avrebbe negativamente inciso sui suoi diritti processuali e sostanziali”.
A sostegno del secondo motivo, la ricorrente, innanzitutto ha fatto riferimento ad un valido orientamento della stessa Corte (Cass. n. 1343 del 2011) secondo il quale “una lunga convivenza durante il matrimonio tra i coniugi, ancorché invalido, ne impedisce l’annullamento per contrasto con l’ordine pubblico dovendosi considerare pienamente rilevante il matrimonio-rapporto, al di là del matrimonio–atto”. Argomentazione che, seppur valida, avrebbe dovuto essere sollevata per la prima volta in sede di merito.
Per quanto concerne poi l’erronea valutazione da parte del giudice a quo in relazione alla tutela della buona fede e dell’affidamento, la ricorrente sosteneva che il giudice della delibazione non avesse correttamente esaminato il materiale probatorio prodotto durante il procedimento ecclesiastico. La Corte ha difeso il buon operato del giudice d’appello riconoscendo che “il giudice italiano, dovendo esprimere una valutazione, estranea all’oggetto del giudizio canonico, di garanzia dell’affidamento negoziale incolpevole da parte del coniuge, può provvedere ad un’autonoma valutazione delle prove, secondo le regole del processo civile” (Cass. n. 2476 del 2008). L’autonomia valutativa e decisionale del giudice a quo in questo caso è comprovata proprio dal fatto che lo stesso, a seguito di un’approfondita valutazione del materiale istruttorio (e non della sola sentenza come invece sosteneva la ricorrente), ha ritenuto irrilevante l’affermazione della moglie sulla mancata conoscenza dell’esclusione dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale da parte del marito. Infatti, allo stato dei fatti (relazione del coniuge con un’altra donna prima del matrimonio; matrimonio di riparazione dovuto alla gravidanza inaspettata della ricorrente; menzione della possibilità di divorzio in varie occasioni…) la volontà del marito di sciogliere il vincolo matrimoniale avrebbe potuto essere conosciuta con l’ordinaria diligenza.
La Corte, in conclusione, dichiarando l’infondatezza del motivo addotto, “non sussistendo violazione alcuna del principio dell’affidamento incolpevole”, ha riconosciuto ancora una volta che, nel nostro ordinamento, la prova della colpevolezza nell’affidamento deve portare alla non esclusione della conoscenza di una parte (della moglie nel caso di specie) rispetto alla effettiva volontà dell’altra (marito). Per far ciò, il giudice ha il dovere di investigare i fatti che dimostrino quantomeno la conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza trascendendo le eventuali dichiarazioni sull’esclusione della stessa.
(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 22 agosto 2011, n.3009)
[Dott.ssa Valeria Borioni]