Cassazione Civile: determinazione dell’onorario dell’avvocato con convenzione
La contestazione del professionista colpisce in particolare una clausola, contenuta nella convenzione regolante i rapporti tra il Comune di Benevento e i propri legali di fiducia, secondo la quale, per il Comune, il professionista avrebbe rinunciato alla facoltà di determinare il proprio onorario. La clausola stabiliva che «per tutta l’opera prestata […] i compensi di avvocato le saranno liquidati dall’Amministrazione, con intesa che non si discenderà al di sotto dei minimi tariffari, mentre i diritti di procuratore le saranno corrisposti a norma di tariffa; il tutto, naturalmente, oltre le spese giustificate, come per legge».
La clausola, sempre secondo il Comune, avrebbe affidato esclusivamente all’amministrazione la competenza di determinare l’onorario del legale, con l’unico limite dei minimi tariffari. Nel caso specifico, non avendo il Comune provveduto a determinarlo, l’onorario è stato automaticamente liquidato nella misura del minimo tariffario.
Con il primo motivo di ricorso l’avvocato ha affermato l’illegittità della clausola in discussione, ritenendola vessatoria (istituto disciplinato dall’art. 1341 del Codice civile). La sentenza impugnata avrebbe sbagliato, ha affermato il professionista, a non dichiarare inefficace la clausola, perché trattandosi di “condizione generale di contratto” che limita “la facoltà di opporre eccezioni” non sarebbe vincolante per il contraente che non l’abbia specificamente approvata per iscritto.
La censura è stata respinta dalla Cassazione, secondo cui “l’elencazione contenuta nell’art. 1341, secondo comma, cod. civ. ha carattere tassativo, di talché è ammessa l’interpretazione estensiva ma non quella analogica”. In altre parole, richiamando una precedente decisione (Cass., Sez. II, 7 febbraio 2003, n. 1833), la Cassazione ha considerato come non vessatoria la clausola contestata perché essa non limita “la facoltà di opporre eccezioni”, bensì definisce l’oggetto del contratto “individuando il corrispettivo della prestazione con riferimento all’entità e alle modalità di liquidazione del compenso professionale” (e, come tale, non è inclusa nell’elenco dell’art. 1341).
In seconda battuta, l’avvocato ha lamentato la non adeguatezza del compenso determinato dall’Amminstrazione, rispetto all’opera svolta (l’avvocato aveva difeso con successo il Comune in una causa da 8 miliardi di Lire) e al decoro professionale.
La censura si fonda sull’art. 2233 del Codice civile, che disciplina la determinazione del compenso per le prestazioni d’opera intellettuale, ancorandolo principalmente all’accordo delle parti, e, in carenza del quale, alle tariffe, agli usi, e, infine, alla determinazione del giudice, ma sempre parametrandolo ai due criteri invocati dall’avvocato.
Anche su questo punto la Suprema Corte smentisce il professionista: «L’autonomia negoziale delle parti, nella determinazione del compenso, non incontra altro limite che quello del rispetto del minimo fissato dalle tariffe inderogabili, sicché, ove non insorga questione sull’osservanza di tali limiti, deve escludersi la possibilità, per il giudice, di ricorrere a una liquidazione del compenso stesso in misura diversa da quella pattuita, a norma dell’articolo 2233 del Codice civile, a prescindere da ogni indagine sulla congruità del quantum convenuto rispetto all’importanza dell’opera e al decoro della professione».
Infine, anche l’ultimo motivo di ricorso viene rigettato: la Corte ribadisce, come da precedente Sez. III del 12 ottobre 1998, n. 10081, che la quantificazione dell’onorario non può essere calcolata sulla somma del valore delle domande proposte dai diversi attori nello stesso processo (in caso di litisconsorzio facoltativo art. 103 del Codice di procedura civile).
(Corte di Cassazione - Seconda Sezione Civile, Sentenza 28 aprile 2011, n. 9488)
[Dott.ssa Ilaria Martinelli]
La contestazione del professionista colpisce in particolare una clausola, contenuta nella convenzione regolante i rapporti tra il Comune di Benevento e i propri legali di fiducia, secondo la quale, per il Comune, il professionista avrebbe rinunciato alla facoltà di determinare il proprio onorario. La clausola stabiliva che «per tutta l’opera prestata […] i compensi di avvocato le saranno liquidati dall’Amministrazione, con intesa che non si discenderà al di sotto dei minimi tariffari, mentre i diritti di procuratore le saranno corrisposti a norma di tariffa; il tutto, naturalmente, oltre le spese giustificate, come per legge».
La clausola, sempre secondo il Comune, avrebbe affidato esclusivamente all’amministrazione la competenza di determinare l’onorario del legale, con l’unico limite dei minimi tariffari. Nel caso specifico, non avendo il Comune provveduto a determinarlo, l’onorario è stato automaticamente liquidato nella misura del minimo tariffario.
Con il primo motivo di ricorso l’avvocato ha affermato l’illegittità della clausola in discussione, ritenendola vessatoria (istituto disciplinato dall’art. 1341 del Codice civile). La sentenza impugnata avrebbe sbagliato, ha affermato il professionista, a non dichiarare inefficace la clausola, perché trattandosi di “condizione generale di contratto” che limita “la facoltà di opporre eccezioni” non sarebbe vincolante per il contraente che non l’abbia specificamente approvata per iscritto.
La censura è stata respinta dalla Cassazione, secondo cui “l’elencazione contenuta nell’art. 1341, secondo comma, cod. civ. ha carattere tassativo, di talché è ammessa l’interpretazione estensiva ma non quella analogica”. In altre parole, richiamando una precedente decisione (Cass., Sez. II, 7 febbraio 2003, n. 1833), la Cassazione ha considerato come non vessatoria la clausola contestata perché essa non limita “la facoltà di opporre eccezioni”, bensì definisce l’oggetto del contratto “individuando il corrispettivo della prestazione con riferimento all’entità e alle modalità di liquidazione del compenso professionale” (e, come tale, non è inclusa nell’elenco dell’art. 1341).
In seconda battuta, l’avvocato ha lamentato la non adeguatezza del compenso determinato dall’Amminstrazione, rispetto all’opera svolta (l’avvocato aveva difeso con successo il Comune in una causa da 8 miliardi di Lire) e al decoro professionale.
La censura si fonda sull’art. 2233 del Codice civile, che disciplina la determinazione del compenso per le prestazioni d’opera intellettuale, ancorandolo principalmente all’accordo delle parti, e, in carenza del quale, alle tariffe, agli usi, e, infine, alla determinazione del giudice, ma sempre parametrandolo ai due criteri invocati dall’avvocato.
Anche su questo punto la Suprema Corte smentisce il professionista: «L’autonomia negoziale delle parti, nella determinazione del compenso, non incontra altro limite che quello del rispetto del minimo fissato dalle tariffe inderogabili, sicché, ove non insorga questione sull’osservanza di tali limiti, deve escludersi la possibilità, per il giudice, di ricorrere a una liquidazione del compenso stesso in misura diversa da quella pattuita, a norma dell’articolo 2233 del Codice civile, a prescindere da ogni indagine sulla congruità del quantum convenuto rispetto all’importanza dell’opera e al decoro della professione».
Infine, anche l’ultimo motivo di ricorso viene rigettato: la Corte ribadisce, come da precedente Sez. III del 12 ottobre 1998, n. 10081, che la quantificazione dell’onorario non può essere calcolata sulla somma del valore delle domande proposte dai diversi attori nello stesso processo (in caso di litisconsorzio facoltativo art. 103 del Codice di procedura civile).
(Corte di Cassazione - Seconda Sezione Civile, Sentenza 28 aprile 2011, n. 9488)
[Dott.ssa Ilaria Martinelli]