Cassazione Civile: diritto di regresso della banca per violazioni dei propri dipendenti

La Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine alla responsabilità dei dipendenti di un istituto di credito, confermando il decreto di condanna emesso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, su segnalazione della Consob, nei confronti dell’istituto, per violazione dell’articolo 21, comma 1, lettere e) e a), del Decreto Legislativo n. 58/1998 (ovvero dei doveri di agire con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e dell’integrità del mercato) in relazione alla condotta dei propri dipendenti (2), nei confronti dei quali l’istituto ha poi agito in regresso ai sensi dell’articolo 195, comma 9, del d.lgs. n. 58/1998. La pronuncia è stata emessa al termine del ricorso promosso dai dipendenti avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, con la quale era stato confermato il decreto sanzionatorio del Ministero.

Di seguito ricostruiamo brevemente il caso in fatto e in diritto.

I due dipendenti, uno capo del negozio finanziario della banca e l’altro dipendente part time dell’ufficio titoli, moglie del primo, sono stati condannati (indirettamente) per violazione del dovere di diligenza e del mancato rispetto dell’obbligo di separazione patrimoniale. In particolare, il primo aveva fornito alla clientela, in sede di negoziazione dei titoli, valorizzazioni elaborate personalmente e manualmente su carta intestata della banca e non in linea con le quotazioni di mercato, senza rappresentare ai clienti i rischi reali delle operazioni. Successivamente, per mezzo della moglie/dipendente, i finanziamenti ottenuti dai clienti venivano versati su conti non riconducibili a quelli dei titolari del deposito conto titoli, effettuando altresì trasferimenti di titoli (ben cinque) sul conto intestato ad un proprio parente (uno zio), che successivamente aveva presentato reclamo alla banca.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto in capo ai ricorrenti la legittimazione ad agire e il diritto di regresso della banca nei loro confronti, respingendo così l’unico motivo di ricorso presentato dalla Consob. In particolare, la Corte ribadisce il principio per il quale “in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’obbligatorietà dell’azione di regresso prevista nei confronti del responsabile della violazione, comporta … che, anche qualora l’ingiunzione di pagamento sia emessa soltanto nei confronti della persona giuridica, alla persona fisica autrice della violazione deve essere riconosciuta un’autonoma legittimazione ad opponendum”.

Passando poi all’esame del ricorso proposto dai dipendenti, la Corte ne respinge tutti e sei i motivi, confermando il provvedimento sanzionatorio del Ministero. In particolare, la Corte non ravvede violazione del diritto di difesa per la mancata visione di tutti gli atti e i provvedimenti quando “il diritto di difesa appare circoscritto alla … confutazione dei fatti indicati nell’atto di ingiunzione ovvero alla deduzione di altri fatti in grado di paralizzarne la validità ed efficacia. L’omessa indicazione nel provvedimento di atti o fatti diversi non si riverbera pertanto sul diritto della parte di difendersi”. Pertanto, ad avviso della Corte, tale eventuale omissione non costituisce causa di invalidità dell’atto, in quanto rimanda al giudizio di merito, e non viola il diritto di difesa.

La Corte di Cassazione respinge anche gli altri motivi del ricorso (presunte violazioni di legge, carenze di motivazione, contraddittorietà della decisione della Corte d’Appello) e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata ed il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

(Corte di Cassazione - Seconda Sezione, Sentenza 16 maggio 2011, n. 10748)

[Dott.ssa Luciana Di Vito, Studio Legale LGA]

La Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine alla responsabilità dei dipendenti di un istituto di credito, confermando il decreto di condanna emesso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, su segnalazione della Consob, nei confronti dell’istituto, per violazione dell’articolo 21, comma 1, lettere e) e a), del Decreto Legislativo n. 58/1998 (ovvero dei doveri di agire con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e dell’integrità del mercato) in relazione alla condotta dei propri dipendenti (2), nei confronti dei quali l’istituto ha poi agito in regresso ai sensi dell’articolo 195, comma 9, del d.lgs. n. 58/1998. La pronuncia è stata emessa al termine del ricorso promosso dai dipendenti avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, con la quale era stato confermato il decreto sanzionatorio del Ministero.

Di seguito ricostruiamo brevemente il caso in fatto e in diritto.

I due dipendenti, uno capo del negozio finanziario della banca e l’altro dipendente part time dell’ufficio titoli, moglie del primo, sono stati condannati (indirettamente) per violazione del dovere di diligenza e del mancato rispetto dell’obbligo di separazione patrimoniale. In particolare, il primo aveva fornito alla clientela, in sede di negoziazione dei titoli, valorizzazioni elaborate personalmente e manualmente su carta intestata della banca e non in linea con le quotazioni di mercato, senza rappresentare ai clienti i rischi reali delle operazioni. Successivamente, per mezzo della moglie/dipendente, i finanziamenti ottenuti dai clienti venivano versati su conti non riconducibili a quelli dei titolari del deposito conto titoli, effettuando altresì trasferimenti di titoli (ben cinque) sul conto intestato ad un proprio parente (uno zio), che successivamente aveva presentato reclamo alla banca.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto in capo ai ricorrenti la legittimazione ad agire e il diritto di regresso della banca nei loro confronti, respingendo così l’unico motivo di ricorso presentato dalla Consob. In particolare, la Corte ribadisce il principio per il quale “in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’obbligatorietà dell’azione di regresso prevista nei confronti del responsabile della violazione, comporta … che, anche qualora l’ingiunzione di pagamento sia emessa soltanto nei confronti della persona giuridica, alla persona fisica autrice della violazione deve essere riconosciuta un’autonoma legittimazione ad opponendum”.

Passando poi all’esame del ricorso proposto dai dipendenti, la Corte ne respinge tutti e sei i motivi, confermando il provvedimento sanzionatorio del Ministero. In particolare, la Corte non ravvede violazione del diritto di difesa per la mancata visione di tutti gli atti e i provvedimenti quando “il diritto di difesa appare circoscritto alla … confutazione dei fatti indicati nell’atto di ingiunzione ovvero alla deduzione di altri fatti in grado di paralizzarne la validità ed efficacia. L’omessa indicazione nel provvedimento di atti o fatti diversi non si riverbera pertanto sul diritto della parte di difendersi”. Pertanto, ad avviso della Corte, tale eventuale omissione non costituisce causa di invalidità dell’atto, in quanto rimanda al giudizio di merito, e non viola il diritto di difesa.

La Corte di Cassazione respinge anche gli altri motivi del ricorso (presunte violazioni di legge, carenze di motivazione, contraddittorietà della decisione della Corte d’Appello) e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata ed il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

(Corte di Cassazione - Seconda Sezione, Sentenza 16 maggio 2011, n. 10748)

[Dott.ssa Luciana Di Vito, Studio Legale LGA]