Cassazione Civile: il (non) risarcimento del danno non patrimoniale dei prossimi congiunti

Con la sentenza n.4253 la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da lesione del rapporto parentale per la morte di un congiunto.

Nel caso di specie, la Corte ha avuto modo di affermare che il rapporto (reciproco) nonni-nipoti deve essere ancorato alla convivenza per essere giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo la possibilità di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà con il familiare defunto.

Il principio di cui sopra è stato affermato sulla base di un risalente orientamento giurisprudenziale in materia, che collega la risarcibilità del danno, oltre che all’esistenza del rapporto di parentela, alla perdita di un effettivo sostegno morale, ritenendo che tale perdita venga in rilievo solo in presenza di una posizione qualificata. Non rinvenendo un vero e proprio diritto (del nonno) ad essere assistito, anche moralmente (dal nipote), la Corte ha ritenuto pertanto necessaria la convivenza quale presupposto “che rilevi la perdita di un valido e concreto sostegno morale” in caso di morte del nipote o del nonno (Cassazione civile, sentenza 23 giugno 1993, n.6938 e sentenza 11 maggio 2007, n.10823).

A favore di una posizione qualificata giuridicamente militano i seguenti elementi:

(i) la configurazione della famiglia come nucleare;

(ii) la posizione dei nonni nell’ordinamento giuridico;

(iii) il bilanciamento che il dato esterno e oggettivo della convivenza consente, tra l’esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari e la necessità, costituzionalmente imposta dall’articolo 2 Costituzione, di dare rilievo all’esplicarsi dei diritti della personalità nelle formazioni sociali e, quindi, nella famiglia dei conviventi, come proiezione sociale e dinamica della personalità dell’individuo”;

(iv) le disposizioni civilistiche che riguardano i nonni, che non fondano un rapporto diretto, giuridicamente rilevante, tra nonni e nipoti, ma piuttosto individuano un rapporto mediato dai genitori-figli o di supplenza dei figli (articoli 148, 336 348 e 155 del Codice Civile).

Detti elementi spingono la Corte a ritenere che “il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo al risarcimento del danno non patrimoniale … quando colpisce soggetti legati da un vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare. Mentre, affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) è necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico. Solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (articolo 2 Costituzione)”.

Diversamente da quanto sopra, l’orientamento giurisprudenziale più recente (Cassazione, sentenza del 15 luglio 2005, n.15019), non accolto nel caso di specie, non differenzia la posizione dei nipoti rispetto agli stretti congiunti ed individua il fondamento del danno non patrimoniale per tutti i superstiti nella lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, costituendo la perdita dell’unità familiare, perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale. Per detto orientamento, è “sufficiente, sul piano probatorio, l’emersione di normali rapporti che, specie in assenza di coabitazione, lasciano intendere come sia rimasto intatto, e si sia rafforzato nel tempo il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti”: l’assenza di coabitazione non esclude di per sé il permanere di vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto.

Fermo quanto sopra, dall’analisi di un altro motivo di ricorso, la Corte si esprime su una questione mai affrontata prima, relativa alla possibilità o meno che prestazioni aggiuntive erogate spontaneamente dal nonno ai nipoti possano essere risarcite, in quanto integranti danno patrimoniale conseguente alla morte del congiunto per atto illecito. Sul punto, discostandosi dall’indirizzo giurisprudenziale consolidato, per il quale la certezza o il rilevante grado di probabilità di provvidenze economiche durevoli e costanti nel tempo può fondarsi su obblighi non giuridici, ma socialmente molto forti, la Corte ha affermato che oggi solo la convivenza consente di affermare la certezza o probabilità delle prestazioni economiche durevoli.

Fuori dalla convivenza, restano solo l’assoluta imprevedibilità di erogazioni che, configurandosi come atti di liberalità, possono legittimamente cessare in ogni momento. Con la conseguenza che, in mancanza di convivenza o di altro obbligo giuridico, non essendo ipotizzabile con elevato grado di certezza un beneficio durevole nel tempo, non può sussistere perdita che si risolva in un danno patrimoniale”.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 16 marzo 2012, n.4253)

[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]

Con la sentenza n.4253 la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da lesione del rapporto parentale per la morte di un congiunto.

Nel caso di specie, la Corte ha avuto modo di affermare che il rapporto (reciproco) nonni-nipoti deve essere ancorato alla convivenza per essere giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo la possibilità di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà con il familiare defunto.

Il principio di cui sopra è stato affermato sulla base di un risalente orientamento giurisprudenziale in materia, che collega la risarcibilità del danno, oltre che all’esistenza del rapporto di parentela, alla perdita di un effettivo sostegno morale, ritenendo che tale perdita venga in rilievo solo in presenza di una posizione qualificata. Non rinvenendo un vero e proprio diritto (del nonno) ad essere assistito, anche moralmente (dal nipote), la Corte ha ritenuto pertanto necessaria la convivenza quale presupposto “che rilevi la perdita di un valido e concreto sostegno morale” in caso di morte del nipote o del nonno (Cassazione civile, sentenza 23 giugno 1993, n.6938 e sentenza 11 maggio 2007, n.10823).

A favore di una posizione qualificata giuridicamente militano i seguenti elementi:

(i) la configurazione della famiglia come nucleare;

(ii) la posizione dei nonni nell’ordinamento giuridico;

(iii) il bilanciamento che il dato esterno e oggettivo della convivenza consente, tra l’esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari e la necessità, costituzionalmente imposta dall’articolo 2 Costituzione, di dare rilievo all’esplicarsi dei diritti della personalità nelle formazioni sociali e, quindi, nella famiglia dei conviventi, come proiezione sociale e dinamica della personalità dell’individuo”;

(iv) le disposizioni civilistiche che riguardano i nonni, che non fondano un rapporto diretto, giuridicamente rilevante, tra nonni e nipoti, ma piuttosto individuano un rapporto mediato dai genitori-figli o di supplenza dei figli (articoli 148, 336 348 e 155 del Codice Civile).

Detti elementi spingono la Corte a ritenere che “il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo al risarcimento del danno non patrimoniale … quando colpisce soggetti legati da un vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare. Mentre, affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) è necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico. Solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (articolo 2 Costituzione)”.

Diversamente da quanto sopra, l’orientamento giurisprudenziale più recente (Cassazione, sentenza del 15 luglio 2005, n.15019), non accolto nel caso di specie, non differenzia la posizione dei nipoti rispetto agli stretti congiunti ed individua il fondamento del danno non patrimoniale per tutti i superstiti nella lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, costituendo la perdita dell’unità familiare, perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale. Per detto orientamento, è “sufficiente, sul piano probatorio, l’emersione di normali rapporti che, specie in assenza di coabitazione, lasciano intendere come sia rimasto intatto, e si sia rafforzato nel tempo il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti”: l’assenza di coabitazione non esclude di per sé il permanere di vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto.

Fermo quanto sopra, dall’analisi di un altro motivo di ricorso, la Corte si esprime su una questione mai affrontata prima, relativa alla possibilità o meno che prestazioni aggiuntive erogate spontaneamente dal nonno ai nipoti possano essere risarcite, in quanto integranti danno patrimoniale conseguente alla morte del congiunto per atto illecito. Sul punto, discostandosi dall’indirizzo giurisprudenziale consolidato, per il quale la certezza o il rilevante grado di probabilità di provvidenze economiche durevoli e costanti nel tempo può fondarsi su obblighi non giuridici, ma socialmente molto forti, la Corte ha affermato che oggi solo la convivenza consente di affermare la certezza o probabilità delle prestazioni economiche durevoli.

Fuori dalla convivenza, restano solo l’assoluta imprevedibilità di erogazioni che, configurandosi come atti di liberalità, possono legittimamente cessare in ogni momento. Con la conseguenza che, in mancanza di convivenza o di altro obbligo giuridico, non essendo ipotizzabile con elevato grado di certezza un beneficio durevole nel tempo, non può sussistere perdita che si risolva in un danno patrimoniale”.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 16 marzo 2012, n.4253)

[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]