Cassazione Civile: indennizzo per durata eccessiva dei processi

Le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere assimilate a quelle portate dalla disciplina comunitaria e pertanto non possono prevalere sulla diversa disciplina nazionale italiana. È questa la soluzione della Suprema Corte adottata con riferimento al contrasto tra la giurisprudenza della Corte Europea di Diritti dell’Uomo che ammette il risarcimento per ogni anno di durata eccessiva del processo e quella nazionale che invece ammette l’indennizzo solo per per ogni anno eccedente il termine ragionevole di durata.

La Cassazione ha affermato che ai fini dell’indennizzo del danno per durata eccessiva dei processi, come previsto dalla Legge 89/2001 “non deve aversi riguardo, ad ogni anno di durata del processo presupposto, ma soltanto al periodo eccedente il termine ragionevole di durata (cfr. per tutte cass. n. 21597 del 2005), essendo il giudice nazionale tenuto, nella ipotesi in esame, ad applicare la legge dello Stato, e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, letto a) della legge n. 89/01, non potendo darsi alla giurisprudenza della CEDU, in questione, diretta applicazione nell’ordinamento giuridico italiano con il disapplicare la norma nazionale su indicata (come invece sarebbe possibile per la normativa comunitaria), avendo la Corte Costituzionale chiarito, con le citate sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione EDU non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa, infatti, è configurabile come un trattato internazionale multilaterale, da cui derivano "obblighi" per gli Stati contraenti (e quindi anche quello dei giudici nazionali di uniformarsi ai parametri CEDU, esclusi i casi, come quello di specie, in cui siano tenuti a rispettare una norma nazionale, della cui legittimità costituzionale non si possa dubitare), ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omesso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri”.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 3 gennaio 2008: Giusto processo - Criteri di liquidazione dell’equa riparazione del danno - Rapporti tra giurisprudenza della CEDU e norme nazionali).

Le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere assimilate a quelle portate dalla disciplina comunitaria e pertanto non possono prevalere sulla diversa disciplina nazionale italiana. È questa la soluzione della Suprema Corte adottata con riferimento al contrasto tra la giurisprudenza della Corte Europea di Diritti dell’Uomo che ammette il risarcimento per ogni anno di durata eccessiva del processo e quella nazionale che invece ammette l’indennizzo solo per per ogni anno eccedente il termine ragionevole di durata.

La Cassazione ha affermato che ai fini dell’indennizzo del danno per durata eccessiva dei processi, come previsto dalla Legge 89/2001 “non deve aversi riguardo, ad ogni anno di durata del processo presupposto, ma soltanto al periodo eccedente il termine ragionevole di durata (cfr. per tutte cass. n. 21597 del 2005), essendo il giudice nazionale tenuto, nella ipotesi in esame, ad applicare la legge dello Stato, e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, letto a) della legge n. 89/01, non potendo darsi alla giurisprudenza della CEDU, in questione, diretta applicazione nell’ordinamento giuridico italiano con il disapplicare la norma nazionale su indicata (come invece sarebbe possibile per la normativa comunitaria), avendo la Corte Costituzionale chiarito, con le citate sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione EDU non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa, infatti, è configurabile come un trattato internazionale multilaterale, da cui derivano "obblighi" per gli Stati contraenti (e quindi anche quello dei giudici nazionali di uniformarsi ai parametri CEDU, esclusi i casi, come quello di specie, in cui siano tenuti a rispettare una norma nazionale, della cui legittimità costituzionale non si possa dubitare), ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omesso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri”.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 3 gennaio 2008: Giusto processo - Criteri di liquidazione dell’equa riparazione del danno - Rapporti tra giurisprudenza della CEDU e norme nazionali).