Cassazione Civile: intrascrivibilità unioni omosessuali per inidoneità (non inesistenza)

Con una articolata e complessa pronuncia di oltre cinquanta pagine, che si dimostra innovativa, la Cassazione ha ribadito che "il diritto fondamentale di contrarre matrimonio non è riconosciuto dalla nostra Costituzione a due persone dello stesso sesso". La Cassazione ha ripercorso la pronuncia della Corte Costituzionale 138/2010 in tema di unione tra persone dello stesso sesso, rilevando che: "la Corte costituzionale ha escluso che il diritto fondamentale di contrarre matrimonio sia riconosciuto dall’art. 2 della nostra Costituzione a due persone dello stesso sesso, anche se alcune delle su riportate affermazioni, considerate unitamente al richiamo di specifici precedenti, comportano - come si vedrà più oltre (cfr., infra, n. 4.2.) - rilevanti conseguenze sul piano della tutela giurisdizionale dell’unione omosessuale".

Le conclusioni a cui è giunta la Cassazione sono le seguenti:

- "I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana - non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia - a prescindere dall’intervento del legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla "vita familiare" e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di «specifiche situazioni», il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza.

- "Se nel nostro ordinamento è compresa una norma - l’art. 12 della CEDU appunto, come interpretato dalla Corte europea che ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso dei nubendi nel senso dianzi specificato (cfr., supra, n. 4.1.), ne segue che la giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale la diversità di sesso dei nubendi è, unitamente alla manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante, requisito minimo indispensabile per la stessa "esistenza" del matrimonio civile, come atto giuridicamente rilevante - non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per cosi dire "naturalistico", della stessa "esistenza" del matrimonio. Per tutte le ragioni ora dette, l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende - non più dalla loro "inesistenza" (cfr., supra, n. 2.2.2.), e neppure dalla loro "invalidità", ma - dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano".

Ripercorrendo i passaggi della sentenza della Corte Costituzionale, la Cassazione ha affermato che "La Corte ha in definitiva affermato: a) per la prima volta, che nelle «formazioni sociali» di cui all’art. 2 Cost. deve comprendersi anche «l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso», con la conseguenza che le singole persone componenti tale formazione sociale sono titolari del «diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», diritto fondamentale che, derivante immediatamente dall’art. 2, discende anche dall’art. 3, primo comma, Cost., laddove questo assicura la «pari dignità sociale» di tutti cittadini) e la loro uguaglianza davanti alla legge, «senza distinzione di sesso», e quindi vieta qualsiasi atteggiamento o comportamento omofobo e qualsiasi discriminazione fondata sull’identità o sull’orientamento omosessuale; b) che, fermo il riconoscimento e la garanzia di tale diritto "inviolabile", qualsiasi formalizzazione giuridica della unione omosessuale «necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia», con la conseguenza che, «nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette»; c) che deve essere escluso che l’aspirazione a tale riconoscimento giuridico «possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio»; d) che deve, comunque, ritenersi "riservata" a se stessa «la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze 4more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988)», potendo accadere che, «in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza».

Inoltre, "L’art. 2 della Costituzione non riconosce il diritto al matrimonio delle persone dello stesso sesso e neppure vincola il legislatore a garantire tale diritto quale forma esclusiva del riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale, vale a dire ad "equiparare" le unioni omosessuali al matrimonio; per altro verso, che il «diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», derivante invece immediatamente dall’art. 2 Cost., compo’rta che i singoli (o entrambi i) componenti della «coppia omosessuale» hanno il diritto di chiedere, «a tutela di specifiche situazioni» e «in relazione ad ipotesi particolari», un «trattamento omogeneo» a quello assicurato dalla legge alla «coppia coniugata», omogeneizzazione di trattamento giuridico che la Corte costituzionale «può garantire con il controllo di ragionevolezza»".

Quanto alla specifica questione sottoposta alla Cassazione "Dev’essere chiarito, in riferimento alla preliminare questione se l’art. 9 della Carta sia immediatamente applicabile nella specie, che la specifica fattispecie oggetto del presente giudizio - concernente la trascrivibilità, o no, nei registri dello stato civile italiano di un atto di matrimonio di cittadini italiani dello stesso sesso celebrato all’estero - è del tutto estranea alle materie attribuite alla competenza dell’Unione europea ed inoltre priva di qualsiasi legame, anche indiretto, con il diritto dell’Unione." ... "Decisivo al riguardo è il rilievo che lo stesso art. 9 della Carta, nel riconoscere il «diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia», riserva tuttavia ai singoli Stati membri dell’Unione il compito di garantirli nei rispettivi ordinamenti «secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio», in tal modo esplicitamente chiarendo che la disciplina generale concernente la garanzia di tali diritti è "materia" attribuita alla competenza di ciascuno degli stessi Stati membri."

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 4 novembre 2011 - 16 marzo 2012, n.4184)

Con una articolata e complessa pronuncia di oltre cinquanta pagine, che si dimostra innovativa, la Cassazione ha ribadito che "il diritto fondamentale di contrarre matrimonio non è riconosciuto dalla nostra Costituzione a due persone dello stesso sesso". La Cassazione ha ripercorso la pronuncia della Corte Costituzionale 138/2010 in tema di unione tra persone dello stesso sesso, rilevando che: "la Corte costituzionale ha escluso che il diritto fondamentale di contrarre matrimonio sia riconosciuto dall’art. 2 della nostra Costituzione a due persone dello stesso sesso, anche se alcune delle su riportate affermazioni, considerate unitamente al richiamo di specifici precedenti, comportano - come si vedrà più oltre (cfr., infra, n. 4.2.) - rilevanti conseguenze sul piano della tutela giurisdizionale dell’unione omosessuale".

Le conclusioni a cui è giunta la Cassazione sono le seguenti:

- "I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana - non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia - a prescindere dall’intervento del legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla "vita familiare" e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di «specifiche situazioni», il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza.

- "Se nel nostro ordinamento è compresa una norma - l’art. 12 della CEDU appunto, come interpretato dalla Corte europea che ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso dei nubendi nel senso dianzi specificato (cfr., supra, n. 4.1.), ne segue che la giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale la diversità di sesso dei nubendi è, unitamente alla manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante, requisito minimo indispensabile per la stessa "esistenza" del matrimonio civile, come atto giuridicamente rilevante - non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per cosi dire "naturalistico", della stessa "esistenza" del matrimonio. Per tutte le ragioni ora dette, l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende - non più dalla loro "inesistenza" (cfr., supra, n. 2.2.2.), e neppure dalla loro "invalidità", ma - dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano".

Ripercorrendo i passaggi della sentenza della Corte Costituzionale, la Cassazione ha affermato che "La Corte ha in definitiva affermato: a) per la prima volta, che nelle «formazioni sociali» di cui all’art. 2 Cost. deve comprendersi anche «l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso», con la conseguenza che le singole persone componenti tale formazione sociale sono titolari del «diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», diritto fondamentale che, derivante immediatamente dall’art. 2, discende anche dall’art. 3, primo comma, Cost., laddove questo assicura la «pari dignità sociale» di tutti cittadini) e la loro uguaglianza davanti alla legge, «senza distinzione di sesso», e quindi vieta qualsiasi atteggiamento o comportamento omofobo e qualsiasi discriminazione fondata sull’identità o sull’orientamento omosessuale; b) che, fermo il riconoscimento e la garanzia di tale diritto "inviolabile", qualsiasi formalizzazione giuridica della unione omosessuale «necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia», con la conseguenza che, «nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette»; c) che deve essere escluso che l’aspirazione a tale riconoscimento giuridico «possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio»; d) che deve, comunque, ritenersi "riservata" a se stessa «la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze 4more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988)», potendo accadere che, «in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza».

Inoltre, "L’art. 2 della Costituzione non riconosce il diritto al matrimonio delle persone dello stesso sesso e neppure vincola il legislatore a garantire tale diritto quale forma esclusiva del riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale, vale a dire ad "equiparare" le unioni omosessuali al matrimonio; per altro verso, che il «diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», derivante invece immediatamente dall’art. 2 Cost., compo’rta che i singoli (o entrambi i) componenti della «coppia omosessuale» hanno il diritto di chiedere, «a tutela di specifiche situazioni» e «in relazione ad ipotesi particolari», un «trattamento omogeneo» a quello assicurato dalla legge alla «coppia coniugata», omogeneizzazione di trattamento giuridico che la Corte costituzionale «può garantire con il controllo di ragionevolezza»".

Quanto alla specifica questione sottoposta alla Cassazione "Dev’essere chiarito, in riferimento alla preliminare questione se l’art. 9 della Carta sia immediatamente applicabile nella specie, che la specifica fattispecie oggetto del presente giudizio - concernente la trascrivibilità, o no, nei registri dello stato civile italiano di un atto di matrimonio di cittadini italiani dello stesso sesso celebrato all’estero - è del tutto estranea alle materie attribuite alla competenza dell’Unione europea ed inoltre priva di qualsiasi legame, anche indiretto, con il diritto dell’Unione." ... "Decisivo al riguardo è il rilievo che lo stesso art. 9 della Carta, nel riconoscere il «diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia», riserva tuttavia ai singoli Stati membri dell’Unione il compito di garantirli nei rispettivi ordinamenti «secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio», in tal modo esplicitamente chiarendo che la disciplina generale concernente la garanzia di tali diritti è "materia" attribuita alla competenza di ciascuno degli stessi Stati membri."

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 4 novembre 2011 - 16 marzo 2012, n.4184)