Cassazione Civile: limiti al disconoscimento della paternità in caso di inseminazione eterologa

In materia di esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità in un caso di filiazione eterologa, la Corte di Cassazione, confermando le sentenze di merito del Tribunale e della Corte d’appello di Torino, che dichiaravano inammissibile, per intervenuta decadenza, l’azione di disconoscimento della paternità promossa dal coniuge che aveva scoperto il ricorso all’inseminazione artificiale eterologa da parte della moglie, ha stabilito che detta domanda può essere certamente promossa dal figlio nato da inseminazione artificiale eterologa e dal padre solo nelle ipotesi in cui questi non abbia prestato, neppure implicitamente, il proprio consenso alla fecondazione.

La sentenza si segnala anche per il richiamo all’iter giurisprudenziale che ha condotto all’affermazione di detti principi. Eccone di seguito alcune fasi.

Nel 1994 il Tribunale di Cremona accoglieva la domanda di disconoscimento paterno relativa a una filiazione determinata, col consenso dell’attore, mediante inseminazione artificiale eterologa, ribadendo il principio secondo cui “il vigente ordinamento (salvo l’istituto speciale della adozione) non contempla alcun rapporto giuridico di filiazione che sia svincolato dal presupposto di un corrispondente rapporto biologico di sangue, con la conseguenza che solo la diretta derivazione genetica e non anche il semplice consenso è idonea a costituire un vero e proprio rapporto giuridico di filiazione”.

Condividendo questo orientamento, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 1995, osservava che “la disciplina dell’inseminazione artificiale eterologa va desunta dai principi della filiazione, non da quelli dell’adozione, integrando un atto procreativo in senso proprio” e che il consenso di entrambi i genitori alla pratica in oggetto non è assimilabile all’accordo diretto all’adozione. Pertanto, il marito, in condizione d’impotenza, ha la facoltà di disconoscere come proprio figlio il bambino generato dalla moglie con detto apporto esterno, ai sensi dell’articolo 235 del Codice Civile. Facoltà successivamente negata dalla Corte Costituzionale, con sentenza del 26 settembre 1998.

Arrivando ai giorni nostri, in parziale contrasto con la giurisprudenza di legittimità, alla luce dei mutamenti normativi (Legge n. 40 del 2004) e culturali del tempo, gli ermellini ritengono applicabile la disciplina di cui all’articolo 235 c.c. a filiazioni scaturite da fecondazione artificiale solo in determinate ipotesi.

Pur avendo constatato una tendenziale prevalenza del favor veritatis, anche con riferimento all’interesse della prole, la Corte riconosce come essenziale il diritto della prole alla verità biologica, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e alla affermazione di un rapporto di filiazione verifico.

Pertanto, non possono sussistere limiti all’esercizio di tale azione da parte (i) del figlio, certamente estraneo al consenso eventualmente prestato dal genitore e portatore di un interesse alla verità biologica che deve considerarsi meritevole di tutela e (ii) del coniuge solo ove non sia desumibile, anche per facta concludentia, il consenso al ricorso alla fecondazione assistita.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 11 luglio 2012, n.11644)

[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]

In materia di esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità in un caso di filiazione eterologa, la Corte di Cassazione, confermando le sentenze di merito del Tribunale e della Corte d’appello di Torino, che dichiaravano inammissibile, per intervenuta decadenza, l’azione di disconoscimento della paternità promossa dal coniuge che aveva scoperto il ricorso all’inseminazione artificiale eterologa da parte della moglie, ha stabilito che detta domanda può essere certamente promossa dal figlio nato da inseminazione artificiale eterologa e dal padre solo nelle ipotesi in cui questi non abbia prestato, neppure implicitamente, il proprio consenso alla fecondazione.

La sentenza si segnala anche per il richiamo all’iter giurisprudenziale che ha condotto all’affermazione di detti principi. Eccone di seguito alcune fasi.

Nel 1994 il Tribunale di Cremona accoglieva la domanda di disconoscimento paterno relativa a una filiazione determinata, col consenso dell’attore, mediante inseminazione artificiale eterologa, ribadendo il principio secondo cui “il vigente ordinamento (salvo l’istituto speciale della adozione) non contempla alcun rapporto giuridico di filiazione che sia svincolato dal presupposto di un corrispondente rapporto biologico di sangue, con la conseguenza che solo la diretta derivazione genetica e non anche il semplice consenso è idonea a costituire un vero e proprio rapporto giuridico di filiazione”.

Condividendo questo orientamento, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 1995, osservava che “la disciplina dell’inseminazione artificiale eterologa va desunta dai principi della filiazione, non da quelli dell’adozione, integrando un atto procreativo in senso proprio” e che il consenso di entrambi i genitori alla pratica in oggetto non è assimilabile all’accordo diretto all’adozione. Pertanto, il marito, in condizione d’impotenza, ha la facoltà di disconoscere come proprio figlio il bambino generato dalla moglie con detto apporto esterno, ai sensi dell’articolo 235 del Codice Civile. Facoltà successivamente negata dalla Corte Costituzionale, con sentenza del 26 settembre 1998.

Arrivando ai giorni nostri, in parziale contrasto con la giurisprudenza di legittimità, alla luce dei mutamenti normativi (Legge n. 40 del 2004) e culturali del tempo, gli ermellini ritengono applicabile la disciplina di cui all’articolo 235 c.c. a filiazioni scaturite da fecondazione artificiale solo in determinate ipotesi.

Pur avendo constatato una tendenziale prevalenza del favor veritatis, anche con riferimento all’interesse della prole, la Corte riconosce come essenziale il diritto della prole alla verità biologica, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e alla affermazione di un rapporto di filiazione verifico.

Pertanto, non possono sussistere limiti all’esercizio di tale azione da parte (i) del figlio, certamente estraneo al consenso eventualmente prestato dal genitore e portatore di un interesse alla verità biologica che deve considerarsi meritevole di tutela e (ii) del coniuge solo ove non sia desumibile, anche per facta concludentia, il consenso al ricorso alla fecondazione assistita.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 11 luglio 2012, n.11644)

[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]