Cassazione civile: risarcibile il danno da omessa diagnosi medica ed il ritardo nell’intervento anche palliativo
«L’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento c.d. palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione di tale intervento, cagiona al paziente un danno alla persona per il fatto che nelle more egli non ha potuto fruire del detto intervento e, quindi, ha dovuto sopportare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell’intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso, alleviare le sue sofferenze».
«L’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, quando abbia determinato la tardiva esecuzione di un intervento chirurgico che normalmente sia da praticare per evitare che l’esito definitivo del processo morboso si verifichi anzitempo prima del suo normale decorso, e risulti per effetto del ritardo, oltre alla verificazione dell’intervento in termini più ampi, anche che sia andata in conseguenza perduta dal paziente la chance di conservare durante quel decorso una migliore qualità di vita e la chance di vivere alcune settimane o alcuni mesi di più rispetto a quelli poi vissuti, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona».
«L’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in quanto nega al paziente, oltre che di essere messo nelle condizioni per scegliere, se possibilità di scelta vi sia, "che fare" nell’ambito di quello che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto, anche di essere messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche nel che quell’essere si esprime, in vista e fino a quell’esito, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona».
In sostanza, secondo la Cassazione, "nel mese di tempo tra la diagnosi errata e quella esatta la paziente ha visto perdurare il suo stato di sofferenza fisica senza che ad esso potesse essere apportato un qualche pur minimo beneficio perché vi era stata quella diagnosi erronea, mentre se la diagnosi fosse stata esatta la sua condizione di sofferenza avrebbe potuto essere alleviata, come poi lo fu quanto la diagnosi venne fatta in modo corretto".
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 18 settembre 2008, n.23846: Responsabilità civile - Omessa diagnosi del medico-chirurgo - Ritardo di intervento anche palliativo - Risarcibilità).
«L’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento c.d. palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione di tale intervento, cagiona al paziente un danno alla persona per il fatto che nelle more egli non ha potuto fruire del detto intervento e, quindi, ha dovuto sopportare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell’intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso, alleviare le sue sofferenze».
«L’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, quando abbia determinato la tardiva esecuzione di un intervento chirurgico che normalmente sia da praticare per evitare che l’esito definitivo del processo morboso si verifichi anzitempo prima del suo normale decorso, e risulti per effetto del ritardo, oltre alla verificazione dell’intervento in termini più ampi, anche che sia andata in conseguenza perduta dal paziente la chance di conservare durante quel decorso una migliore qualità di vita e la chance di vivere alcune settimane o alcuni mesi di più rispetto a quelli poi vissuti, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona».
«L’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in quanto nega al paziente, oltre che di essere messo nelle condizioni per scegliere, se possibilità di scelta vi sia, "che fare" nell’ambito di quello che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto, anche di essere messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche nel che quell’essere si esprime, in vista e fino a quell’esito, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona».
In sostanza, secondo la Cassazione, "nel mese di tempo tra la diagnosi errata e quella esatta la paziente ha visto perdurare il suo stato di sofferenza fisica senza che ad esso potesse essere apportato un qualche pur minimo beneficio perché vi era stata quella diagnosi erronea, mentre se la diagnosi fosse stata esatta la sua condizione di sofferenza avrebbe potuto essere alleviata, come poi lo fu quanto la diagnosi venne fatta in modo corretto".
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 18 settembre 2008, n.23846: Responsabilità civile - Omessa diagnosi del medico-chirurgo - Ritardo di intervento anche palliativo - Risarcibilità).