Cassazione Lavoro: controllo legittimo ex post di email del dipendente

Il Giudice di merito, pur non avendo accertato "quali siano state le concrete modalità attraverso le quali il datore di lavoro ha acquisito il testo dei messaggi di posta elettronica scambiati dal lavoratore con soggetti estranei al ristretto ambito di diffusione delle notizie delle quali egli era in possesso, poi posti alla base della contestazione disciplinare", con "incontestato accertamento di fatto, ha tuttavia affermato che il datore di lavoro ha compiuto il suo accertamento ex post, ovvero dopo l’attuazione del comportamento addossato al dipendente, quando erano emersi elementi di fatto tali da raccomandare l’avvio di un’indagine retrospettiva".

E’ questo il punto cardine della motivazione con cui la Cassazione ha cassato il ricorso del dipendente licenziato, confermando così la pronuncia di secondo grado, che a propria volta aveva confermato quella di primo.

Per la cronaca, il dipendente di un istituto bancario, poi licenziato, aveva divulgato con messaggi elettronici diretti ad estranei notizie riservate concernenti un cliente dell’istituto e aveva effettuato operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale.

Secondo la Cassazione "tale fattispecie è estranea al campo di applicazione dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori. Nel caso di specie, infatti, il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetuazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati) dagli stessi posti in essere. Il c.d. controllo difensivo, in altre parole, non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell’istituto bancario presso terzi.

In questo caso entrava in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, che era costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico. Questa forma di tutela egli poteva giuridicamente esercitare con gli strumenti derivanti dall’esercizio dei poteri derivanti dalla sua supremazia sulla struttura aziendale.

Tale situazione, ad una lettura attenta, è già esclusa dal campo di applicazione dell’articolo 4 Statuto dei lavoratori dalla giurisprudenza della Corte (che già esclude dai controlli difensivi vietati quelli aventi ad oggetto la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro, Cassazione Lavoro 15892/2007)".

La pronuncia della Cassazione conferma la legittimità di prassi da tempo instaurate in azienda e apre interessanti scenari per azioni di tutela che l’ente può porre in essere nell’ambito della disciplina 231/2001. Quanto sopra, fermo restando che sarebbe stato interessante conoscere nel dettaglio l’attività di indagine sull’infrastruttura informatica posta in essere dal datore di lavoro.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 23 febbraio 2012, n.2722)

Il Giudice di merito, pur non avendo accertato "quali siano state le concrete modalità attraverso le quali il datore di lavoro ha acquisito il testo dei messaggi di posta elettronica scambiati dal lavoratore con soggetti estranei al ristretto ambito di diffusione delle notizie delle quali egli era in possesso, poi posti alla base della contestazione disciplinare", con "incontestato accertamento di fatto, ha tuttavia affermato che il datore di lavoro ha compiuto il suo accertamento ex post, ovvero dopo l’attuazione del comportamento addossato al dipendente, quando erano emersi elementi di fatto tali da raccomandare l’avvio di un’indagine retrospettiva".

E’ questo il punto cardine della motivazione con cui la Cassazione ha cassato il ricorso del dipendente licenziato, confermando così la pronuncia di secondo grado, che a propria volta aveva confermato quella di primo.

Per la cronaca, il dipendente di un istituto bancario, poi licenziato, aveva divulgato con messaggi elettronici diretti ad estranei notizie riservate concernenti un cliente dell’istituto e aveva effettuato operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale.

Secondo la Cassazione "tale fattispecie è estranea al campo di applicazione dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori. Nel caso di specie, infatti, il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetuazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati) dagli stessi posti in essere. Il c.d. controllo difensivo, in altre parole, non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell’istituto bancario presso terzi.

In questo caso entrava in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, che era costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico. Questa forma di tutela egli poteva giuridicamente esercitare con gli strumenti derivanti dall’esercizio dei poteri derivanti dalla sua supremazia sulla struttura aziendale.

Tale situazione, ad una lettura attenta, è già esclusa dal campo di applicazione dell’articolo 4 Statuto dei lavoratori dalla giurisprudenza della Corte (che già esclude dai controlli difensivi vietati quelli aventi ad oggetto la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro, Cassazione Lavoro 15892/2007)".

La pronuncia della Cassazione conferma la legittimità di prassi da tempo instaurate in azienda e apre interessanti scenari per azioni di tutela che l’ente può porre in essere nell’ambito della disciplina 231/2001. Quanto sopra, fermo restando che sarebbe stato interessante conoscere nel dettaglio l’attività di indagine sull’infrastruttura informatica posta in essere dal datore di lavoro.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 23 febbraio 2012, n.2722)