Cassazione: outsourcing, cessione di ramo d’azienda e appalto di opere e servizi
Nel caso di specie la vicenda ha tratto origine dalla richiesta di alcuni lavoratori, dipendenti di imprese appaltatrici di lavori edili all’interno di uno stabilimento petrolchimico, di vedersi riconosciuta la sussistenza di un unico ed interrotto rapporto di lavoro con le imprese appaltatrici e con le società committenti, per essersi verificata un’ipotesi di cessione d’azienda.
La Cassazione ha in primo luogo affrontato in via sistematica la definizione di outsourcing.
"È noto che il fenomeno c.d. di "outsourcing" comprende tutte le possibili tecniche mediante le quali un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze di base (c.d. core business). Ciò può fare, tra l’altro, sia appaltando a terzi l’espletamento del servizio, sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all’insindacabile valutazione dell’imprenditore, a norma dell’articolo 41 Costituzione. Sta di fatto che l’appalto di servizi e la cessione di ramo di azienda sono contratti con caratteri giuridici nettamente distinti e non confondibili.
Per cessione di ramo di azienda, agli effetti dell’articolo 2112 Codice Civile, si intende il trasferimento di un insieme di elementi produttivi, personali e materiali, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità.
L’appalto di opere e servizi o di manutenzione ordinaria degli impianti all’interno dello stabilimento, consentita dall’articolo 3 della legge 1369/60, costituisce il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio personale e con gestione a proprio rischio, il compimento all’interno di una azienda di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro (articolo 1655 Codice Civile).
Con la cessione di un ramo di azienda si ha dunque il trasferimento di un segmento dell’organizzazione produttiva dotato di autonoma e persistente funzionalità. L’utilizzazione da parte del cedente dei prodotti e dei servizi del segmento ceduto formerà oggetto di distinto contratto con il cessionario. Con l’appalto di opere e di servizi, invece, il committente non dismette un segmento produttivo, ma si avvale dei prodotti e dei servizi che gli necessitano, che gli sono forniti da altra impresa che li produce avvalendosi di una propria organizzazione imprenditoriale".
La Cassazione ha poi rigettato le tesi dei ricorrenti, con la seguente motivazione: "Nella specie non è contestato che le committenti hanno inteso stipulare con la società appaltatrice un contratto di appalto per l’esecuzione di lavoro edili e per la manutenzione edilizia all’interno dello stabilimento. I ricorrenti non deducono, neppure in ipotesi, la invalidità di tale contratto per simulazione assoluta o relativa o per frode alla legge. Né allegano l’errata utilizzazione nella contrattazione del nomen iuris di appalto in luogo di quello effettivamente voluto di cessione. Se la volontà delle parti contraenti è stata, dunque, di stipulare un contratto di appalto di servizi, e non vi è prova alcuna di un intento elusivo comune alle parti, non si vede come tale contratto possa trasformarsi in un contratto di cessione di ramo di azienda, che è una fattispecie del tutto diversa. Ne consegue che la risoluzione del contratto di appalto non può aver avuto come conseguenza la retrocessione alle società committenti di un ramo di azienda che non è stato mai ceduto".
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 2 ottobre 2006, n. 21287: Outsourcing - Cessione di ramo di azienda - Appalto di servizi).
Nel caso di specie la vicenda ha tratto origine dalla richiesta di alcuni lavoratori, dipendenti di imprese appaltatrici di lavori edili all’interno di uno stabilimento petrolchimico, di vedersi riconosciuta la sussistenza di un unico ed interrotto rapporto di lavoro con le imprese appaltatrici e con le società committenti, per essersi verificata un’ipotesi di cessione d’azienda.
La Cassazione ha in primo luogo affrontato in via sistematica la definizione di outsourcing.
"È noto che il fenomeno c.d. di "outsourcing" comprende tutte le possibili tecniche mediante le quali un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze di base (c.d. core business). Ciò può fare, tra l’altro, sia appaltando a terzi l’espletamento del servizio, sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all’insindacabile valutazione dell’imprenditore, a norma dell’articolo 41 Costituzione. Sta di fatto che l’appalto di servizi e la cessione di ramo di azienda sono contratti con caratteri giuridici nettamente distinti e non confondibili.
Per cessione di ramo di azienda, agli effetti dell’articolo 2112 Codice Civile, si intende il trasferimento di un insieme di elementi produttivi, personali e materiali, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità.
L’appalto di opere e servizi o di manutenzione ordinaria degli impianti all’interno dello stabilimento, consentita dall’articolo 3 della legge 1369/60, costituisce il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio personale e con gestione a proprio rischio, il compimento all’interno di una azienda di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro (articolo 1655 Codice Civile).
Con la cessione di un ramo di azienda si ha dunque il trasferimento di un segmento dell’organizzazione produttiva dotato di autonoma e persistente funzionalità. L’utilizzazione da parte del cedente dei prodotti e dei servizi del segmento ceduto formerà oggetto di distinto contratto con il cessionario. Con l’appalto di opere e di servizi, invece, il committente non dismette un segmento produttivo, ma si avvale dei prodotti e dei servizi che gli necessitano, che gli sono forniti da altra impresa che li produce avvalendosi di una propria organizzazione imprenditoriale".
La Cassazione ha poi rigettato le tesi dei ricorrenti, con la seguente motivazione: "Nella specie non è contestato che le committenti hanno inteso stipulare con la società appaltatrice un contratto di appalto per l’esecuzione di lavoro edili e per la manutenzione edilizia all’interno dello stabilimento. I ricorrenti non deducono, neppure in ipotesi, la invalidità di tale contratto per simulazione assoluta o relativa o per frode alla legge. Né allegano l’errata utilizzazione nella contrattazione del nomen iuris di appalto in luogo di quello effettivamente voluto di cessione. Se la volontà delle parti contraenti è stata, dunque, di stipulare un contratto di appalto di servizi, e non vi è prova alcuna di un intento elusivo comune alle parti, non si vede come tale contratto possa trasformarsi in un contratto di cessione di ramo di azienda, che è una fattispecie del tutto diversa. Ne consegue che la risoluzione del contratto di appalto non può aver avuto come conseguenza la retrocessione alle società committenti di un ramo di azienda che non è stato mai ceduto".
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 2 ottobre 2006, n. 21287: Outsourcing - Cessione di ramo di azienda - Appalto di servizi).