Cassazione Penale: 231 applicabile anche all’impresa individuale

La disciplina di cui al Decreto Legislativo 231/2001 si applica anche all’impresa individuale. Lo ha stabilito la Cassazione in una importante pronuncia in merito all’applicazione della misura interdittiva della revoca per un anno dell’autorizzazione a raccolta, trasporto e conferimento di rifiuti speciali nei confronti di una impresa individuale, nell’ambito di un procedimento penale a carico di altro soggetto per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione  di reati in materia di raccolta, smaltimento e traffico illecito di rifiuti pericolosi e no, e per la violazione dell’articolo 260 del Decreto Legislativo 152/2006.

Secondo la Cassazione: "Muovendo dalla premessa che l’attività riconducibile all’impresa (al pari di quella riconducibile alla ditta individuale propriamente detta) è attività che fa capo ad una persona fisica e non ad una persona giuridica intesa quale società di persone (o di capitali), non può negarsi che l’impresa individuale (sostanzialmente divergente, anche da un punto di vista semantico, dalla c.d. "ditta individuale"), ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività: il che porta alla conclusione che, da un punto di vista prettamente tecnico, per impresa deve intendersi l’attività svolta dall’imprenditore-persona fisica per la cui definizione deve farsi rinvio agli articoli 2082 e 2083 del Codice Civile. Ancora, e più significativamente, l’interpretazione in senso formalistico dell’incipit del Decreto Legislativo 231/01 così come esposto dalla ricorrente (che, a proposito degli enti collettivi, ha evocato il termine di soggetti "metaindividuali") creerebbe il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse ad una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a forme semplici di impresa e coloro che per svolgere l’attività, ricorrono a strutture ben più complesse ed articolate. Peraltro è indubbio che la disciplina dettata dal Decreto 231/01 sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. "unipersonali", cosi come è notorio che molte imprese individuali spesso ricorrono ad una organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare della impresa per la soluzione di determinate problematiche e che può spesso involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale. Ed allora una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame dovrebbe indurre a conferire al disposto di cui al comma 2 dell’art. 1 del Decreto in parola una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma. Una loro esclusione potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali - oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento - anche in termini di irragionevolezza del sistema".

La Corte prosegue poi nelle motivazioni che hanno portato al rigetto dell’impugnazione. Nel caso specie "Confermata, allora, l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 24 comma 3 del richiamato Decreto 231/01, va affrontata l’ulteriore questione collegata alla logicità e completezza della motivazione in punto di consistenza indiziaria sia pure per i limitati ambiti di operatività che circoscrivono la competenza del giudice del riesame. Va detto in proposito che il ragionamento seguito dal Tribunale per dare ingresso alle doglianze del P.M. concretizzatosi, per l’appunto, nella applicazione della misura cautelare sollecitata dal P.M. appellante, si basa, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, su prove certe che sono state individuate in modo congruo e logico: in particolare è stato dato esatto rilievo alla circostanza oggettiva (in quanto desunta da uno screening del sistema satellitare di controllo -GPS - installato sui mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti) della presenza di un mezzo della ditta in Caltanissetta nei giorni in cui secondo i formulari FIR il mezzo si sarebbe dovuto trovare in altra località: corretta quindi la deduzione che ne ha tratto il Tribunale di una verosimile falsità dei documenti di trasporto e di una altrettanto verosimile connivenza delle società titolari delle discariche autorizzate. Del tutto logica appare poi la considerazione del Tribunale circa la prosecuzione dell’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti in modo illecito in quanto difficilmente sostenibile la tesi di una riconversione lecita delle attività di trasporto e smaltimento dei rifiuti in siti autorizzati anche in considerazione dei tempi tecnici necessari ad una ripresa lecita di tale attività. Se poi a tutto questo si aggiunge la circostanza di una presenza costante della indagata sulle aree interessate dallo smaltimento e del ruolo centrale assunto dalla stessa indagata concretizzatosi nell’impartire le necessarie istruzioni in merito alle modalità di scarico, scarico e sistemazione dei rifiuti, ben si comprende la conclusione del Tribunale in merito ad una gravità del compendio indiziario non solo riferito alla attività in sé di smaltimento dei rifiuti ma anche e soprattutto al reato associativo caratterizzato - tra gli altri - dall’elemento della stabilità temporale e della suddivisione di ruoli tra i sodali.

Ed anzi il Tribunale, proprio al fine di far risaltare la particolare struttura dell’organizzione delinquenziale ed il suo buon funzionamento ha evidenziato come i rapporti di parentera o affinità tra i sodali e la cognata ed i ruoli specifici ricoperti da tali soggetti all’interno delle varie società operanti nel settore agevolassero la funzionalità di un’associazione delinquenziale che, seppure con un organigramma modesto, era in grado di ben funzionare in quanto sostanzialmente impermeabile dall’esterno.

In sostanza: "La rilevata contraddittorietà logica in cui sarebbe incorso il Tribunale nel dare rilievo non univoco alla gravità indiziaria non sussiste, in quanto il Tribunale ha correttamente ricollegato le condotte in concreto svolte dopo l’apposizione del vincolo del sequestro all’area adoperata dalla ditta individuale dell’indagata per lo smaltimento dei rifiuti alle condotte pregresse che avevano portato al sequestro di quell’area, sostanzialmente omologandole in modo logico e coerente con i risultati delle ulteriori indagini. Lo sviluppo logico di una tale ragionamento conduce inevitabilmente a ritenere attuale e concreto anche il quadro cautelare, in quanto -in modo assolutamente esente da censure sul piano logico -proprio perché oggetto del sequestro è stata l’area e non i mezzi della ditta, era ragionevole desumere che l’attività illecita sarebbe potuta proseguire in modo illecito in siti diversi essendo comunque i mezzi dotati delle autorizzazioni al trasporto".

In conclusione: "L’assenza di riscontri in merito ai luoghi di effettivo sversamento dei rifiuti non toglie validità alla tesi di una prosecuzione dell’attività criminosa in altri luoghi per quella considerazione di fondo contenuta nell’ordinanza circa la scarsa verosimiglianza di una riconversione dell’attività in modo lecito dopo una attività illecita ripetuta nel tempo che aveva portato al sequestro dell’area. ... La concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie è quindi facilmente ricavabile da quelle specifiche modalità della condotta che valgono sia per la consistenza del quadro indiziario in termini di gravità, sia per la consistenza delle esigenze cautelari da salvaguardare con quegli accorgimenti (divieto di svolgimento dell’attività di impresa) ritenuti molto più idonei della custodia cautelare richiesta dal P.M. a scongiurare il pericolo di recidivanza".

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 20 aprile 2011, n.15657)

La disciplina di cui al Decreto Legislativo 231/2001 si applica anche all’impresa individuale. Lo ha stabilito la Cassazione in una importante pronuncia in merito all’applicazione della misura interdittiva della revoca per un anno dell’autorizzazione a raccolta, trasporto e conferimento di rifiuti speciali nei confronti di una impresa individuale, nell’ambito di un procedimento penale a carico di altro soggetto per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione  di reati in materia di raccolta, smaltimento e traffico illecito di rifiuti pericolosi e no, e per la violazione dell’articolo 260 del Decreto Legislativo 152/2006.

Secondo la Cassazione: "Muovendo dalla premessa che l’attività riconducibile all’impresa (al pari di quella riconducibile alla ditta individuale propriamente detta) è attività che fa capo ad una persona fisica e non ad una persona giuridica intesa quale società di persone (o di capitali), non può negarsi che l’impresa individuale (sostanzialmente divergente, anche da un punto di vista semantico, dalla c.d. "ditta individuale"), ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività: il che porta alla conclusione che, da un punto di vista prettamente tecnico, per impresa deve intendersi l’attività svolta dall’imprenditore-persona fisica per la cui definizione deve farsi rinvio agli articoli 2082 e 2083 del Codice Civile. Ancora, e più significativamente, l’interpretazione in senso formalistico dell’incipit del Decreto Legislativo 231/01 così come esposto dalla ricorrente (che, a proposito degli enti collettivi, ha evocato il termine di soggetti "metaindividuali") creerebbe il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse ad una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a forme semplici di impresa e coloro che per svolgere l’attività, ricorrono a strutture ben più complesse ed articolate. Peraltro è indubbio che la disciplina dettata dal Decreto 231/01 sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. "unipersonali", cosi come è notorio che molte imprese individuali spesso ricorrono ad una organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare della impresa per la soluzione di determinate problematiche e che può spesso involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale. Ed allora una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame dovrebbe indurre a conferire al disposto di cui al comma 2 dell’art. 1 del Decreto in parola una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma. Una loro esclusione potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali - oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento - anche in termini di irragionevolezza del sistema".

La Corte prosegue poi nelle motivazioni che hanno portato al rigetto dell’impugnazione. Nel caso specie "Confermata, allora, l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 24 comma 3 del richiamato Decreto 231/01, va affrontata l’ulteriore questione collegata alla logicità e completezza della motivazione in punto di consistenza indiziaria sia pure per i limitati ambiti di operatività che circoscrivono la competenza del giudice del riesame. Va detto in proposito che il ragionamento seguito dal Tribunale per dare ingresso alle doglianze del P.M. concretizzatosi, per l’appunto, nella applicazione della misura cautelare sollecitata dal P.M. appellante, si basa, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, su prove certe che sono state individuate in modo congruo e logico: in particolare è stato dato esatto rilievo alla circostanza oggettiva (in quanto desunta da uno screening del sistema satellitare di controllo -GPS - installato sui mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti) della presenza di un mezzo della ditta in Caltanissetta nei giorni in cui secondo i formulari FIR il mezzo si sarebbe dovuto trovare in altra località: corretta quindi la deduzione che ne ha tratto il Tribunale di una verosimile falsità dei documenti di trasporto e di una altrettanto verosimile connivenza delle società titolari delle discariche autorizzate. Del tutto logica appare poi la considerazione del Tribunale circa la prosecuzione dell’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti in modo illecito in quanto difficilmente sostenibile la tesi di una riconversione lecita delle attività di trasporto e smaltimento dei rifiuti in siti autorizzati anche in considerazione dei tempi tecnici necessari ad una ripresa lecita di tale attività. Se poi a tutto questo si aggiunge la circostanza di una presenza costante della indagata sulle aree interessate dallo smaltimento e del ruolo centrale assunto dalla stessa indagata concretizzatosi nell’impartire le necessarie istruzioni in merito alle modalità di scarico, scarico e sistemazione dei rifiuti, ben si comprende la conclusione del Tribunale in merito ad una gravità del compendio indiziario non solo riferito alla attività in sé di smaltimento dei rifiuti ma anche e soprattutto al reato associativo caratterizzato - tra gli altri - dall’elemento della stabilità temporale e della suddivisione di ruoli tra i sodali.

Ed anzi il Tribunale, proprio al fine di far risaltare la particolare struttura dell’organizzione delinquenziale ed il suo buon funzionamento ha evidenziato come i rapporti di parentera o affinità tra i sodali e la cognata ed i ruoli specifici ricoperti da tali soggetti all’interno delle varie società operanti nel settore agevolassero la funzionalità di un’associazione delinquenziale che, seppure con un organigramma modesto, era in grado di ben funzionare in quanto sostanzialmente impermeabile dall’esterno.

In sostanza: "La rilevata contraddittorietà logica in cui sarebbe incorso il Tribunale nel dare rilievo non univoco alla gravità indiziaria non sussiste, in quanto il Tribunale ha correttamente ricollegato le condotte in concreto svolte dopo l’apposizione del vincolo del sequestro all’area adoperata dalla ditta individuale dell’indagata per lo smaltimento dei rifiuti alle condotte pregresse che avevano portato al sequestro di quell’area, sostanzialmente omologandole in modo logico e coerente con i risultati delle ulteriori indagini. Lo sviluppo logico di una tale ragionamento conduce inevitabilmente a ritenere attuale e concreto anche il quadro cautelare, in quanto -in modo assolutamente esente da censure sul piano logico -proprio perché oggetto del sequestro è stata l’area e non i mezzi della ditta, era ragionevole desumere che l’attività illecita sarebbe potuta proseguire in modo illecito in siti diversi essendo comunque i mezzi dotati delle autorizzazioni al trasporto".

In conclusione: "L’assenza di riscontri in merito ai luoghi di effettivo sversamento dei rifiuti non toglie validità alla tesi di una prosecuzione dell’attività criminosa in altri luoghi per quella considerazione di fondo contenuta nell’ordinanza circa la scarsa verosimiglianza di una riconversione dell’attività in modo lecito dopo una attività illecita ripetuta nel tempo che aveva portato al sequestro dell’area. ... La concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie è quindi facilmente ricavabile da quelle specifiche modalità della condotta che valgono sia per la consistenza del quadro indiziario in termini di gravità, sia per la consistenza delle esigenze cautelari da salvaguardare con quegli accorgimenti (divieto di svolgimento dell’attività di impresa) ritenuti molto più idonei della custodia cautelare richiesta dal P.M. a scongiurare il pericolo di recidivanza".

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 20 aprile 2011, n.15657)