Cassazione Penale: custodia cautelare in cercere da valutare nello stupro di gruppo

La Cassazione ha affermato che la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, prevista dall’articolo 275, comma terzo, Codice Procedura Penale anche per il delitto di violenza sessuale di gruppo (articolo 609-octies Codice Penale), dev’essere interpretata alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 21 luglio 2010, n. 265 che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma processuale in relazione alle fattispecie di cui agli articoli 609-bis e 609-quater.

Il giudice ha pertanto l’obbligo di valutare, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine a tale delitto, se siano stati acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Leggiamo i passaggi salienti della pronuncia.

"Dalla lettura della citata sentenza della Corte Costituzionale emerga l’esistenza di principi interpretativi direttamente applicabili all’art.275, terzo comma, c.p.p. nella parte in cui disciplina il regime cautelare applicabile a persone raggiunte da gravi indizi del reato ex art.609-octies c.p.

Nel corso della motivazione della sentenza n.265 del 2010 la Corte Costituzionale ha ricostruito la filosofia che anima la disciplina delle misure cautelari personali affermando (paragrafo 4) che quel regime è improntato al criterio del "minore sacrificio necessario", assicurato mediante la previsione di una "pluralità graduata" di misure e mediante l’applicazione nel caso concreto di meccanismi: "individualizzati" di selezione del trattamento cautelare. Ha, poi, rilevato (paragrafo 7) che una simile filosofia non tollera né automatismi né presunzioni e prevede che sia il giudice ad apprezzare e motivare i presupposti e le condizioni per l’applicazione della singola misura in relazione alla situazione concreta. Ha, conseguentemente, considerato (paragrafo 7) che la disciplina introdotta con il citato decreto legge n.11 del 2009, e successiva legge di conversione, si pone come un "vero e proprio regime cautelare speciale di natura eccezionale" dal momento che introduce due presunzioni, una relativa in ordine alle esigenze cautelari e una assoluta in ordine alla scelta della misura, che impedisce al giudice di adottare misure meno gravose della custodia in carcere.

La motivazione prosegue affrontando (ancora nel paragrafo 7) le ragioni per cui la Consulta e la Corte di Strasburgo hanno ritenuto che per i delitti legati alla criminalità organizzata e mafiosa tale eccezionale regime sia compatibile coi principi costituzionali in relazione alla speciale gravità e pericolosità degli illeciti, per giungere alla conclusione (paragrafi 9 e lO) che la novella del 2009 ì compie un "salto di qualità" non compatibile col sistema costituzionale allorché estende la presunzione assoluta circa la misura da applicare anche a reati, come quelli sessuali, che non si prestano a generalizzazioni, che risultano ampiamente eterogenei tra loro, che non presentano nella norma legami qualificati tra l’indagato e un ambiente delinquenziale pericoloso.

Osserva, ancora, la Corte Costituzionale (paragrafi 10 e 11 ) che la irragionevolezza della soluzione normativa può essere agevolmente apprezzata ove si considerino la circostanza che i reati di violenza sessuale comprendano "condotte nettamente differenti quanto a modalità lesive del bene protetto" e la circostanza che solitamente si tratta di delitti meramente individuali che possono essere affrontati in concreto anche con misure diverse dalla custodia in carcere. Infine la ragionevolezza del regime introdotto nel 2009 non può essere fondata sull’esigenze di risposta all’allarme sociale per il moltiplicarsi di delitti a sfondo sessuale, esigenza che "non può essere peraltro annoverata tra le finalità della custodia preventiva e non può essere considerata una sua funzione".

Sulla base di tali e altre considerazioni, la sentenza giunge ad affermare l’esistenza del contrasto tra la disciplina cautelare citata e gli artt.3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

Sulle presunzioni legali in tema di custodia cautelare si legga l’articolo dell’Avv. Alfredo De Francesco.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 1 febbraio 2012, n.4377)

La Cassazione ha affermato che la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, prevista dall’articolo 275, comma terzo, Codice Procedura Penale anche per il delitto di violenza sessuale di gruppo (articolo 609-octies Codice Penale), dev’essere interpretata alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 21 luglio 2010, n. 265 che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma processuale in relazione alle fattispecie di cui agli articoli 609-bis e 609-quater.

Il giudice ha pertanto l’obbligo di valutare, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine a tale delitto, se siano stati acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Leggiamo i passaggi salienti della pronuncia.

"Dalla lettura della citata sentenza della Corte Costituzionale emerga l’esistenza di principi interpretativi direttamente applicabili all’art.275, terzo comma, c.p.p. nella parte in cui disciplina il regime cautelare applicabile a persone raggiunte da gravi indizi del reato ex art.609-octies c.p.

Nel corso della motivazione della sentenza n.265 del 2010 la Corte Costituzionale ha ricostruito la filosofia che anima la disciplina delle misure cautelari personali affermando (paragrafo 4) che quel regime è improntato al criterio del "minore sacrificio necessario", assicurato mediante la previsione di una "pluralità graduata" di misure e mediante l’applicazione nel caso concreto di meccanismi: "individualizzati" di selezione del trattamento cautelare. Ha, poi, rilevato (paragrafo 7) che una simile filosofia non tollera né automatismi né presunzioni e prevede che sia il giudice ad apprezzare e motivare i presupposti e le condizioni per l’applicazione della singola misura in relazione alla situazione concreta. Ha, conseguentemente, considerato (paragrafo 7) che la disciplina introdotta con il citato decreto legge n.11 del 2009, e successiva legge di conversione, si pone come un "vero e proprio regime cautelare speciale di natura eccezionale" dal momento che introduce due presunzioni, una relativa in ordine alle esigenze cautelari e una assoluta in ordine alla scelta della misura, che impedisce al giudice di adottare misure meno gravose della custodia in carcere.

La motivazione prosegue affrontando (ancora nel paragrafo 7) le ragioni per cui la Consulta e la Corte di Strasburgo hanno ritenuto che per i delitti legati alla criminalità organizzata e mafiosa tale eccezionale regime sia compatibile coi principi costituzionali in relazione alla speciale gravità e pericolosità degli illeciti, per giungere alla conclusione (paragrafi 9 e lO) che la novella del 2009 ì compie un "salto di qualità" non compatibile col sistema costituzionale allorché estende la presunzione assoluta circa la misura da applicare anche a reati, come quelli sessuali, che non si prestano a generalizzazioni, che risultano ampiamente eterogenei tra loro, che non presentano nella norma legami qualificati tra l’indagato e un ambiente delinquenziale pericoloso.

Osserva, ancora, la Corte Costituzionale (paragrafi 10 e 11 ) che la irragionevolezza della soluzione normativa può essere agevolmente apprezzata ove si considerino la circostanza che i reati di violenza sessuale comprendano "condotte nettamente differenti quanto a modalità lesive del bene protetto" e la circostanza che solitamente si tratta di delitti meramente individuali che possono essere affrontati in concreto anche con misure diverse dalla custodia in carcere. Infine la ragionevolezza del regime introdotto nel 2009 non può essere fondata sull’esigenze di risposta all’allarme sociale per il moltiplicarsi di delitti a sfondo sessuale, esigenza che "non può essere peraltro annoverata tra le finalità della custodia preventiva e non può essere considerata una sua funzione".

Sulla base di tali e altre considerazioni, la sentenza giunge ad affermare l’esistenza del contrasto tra la disciplina cautelare citata e gli artt.3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

Sulle presunzioni legali in tema di custodia cautelare si legga l’articolo dell’Avv. Alfredo De Francesco.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 1 febbraio 2012, n.4377)