Cassazione Penale: depenalizzazione del delitto di trasporto di rifiuti pericolosi senza il FIR
La conclusione è che il trasporto di rifiuti pericolosi senza il formulario di identificazione dei rifiuti o con formulario che riporti dati incompleti o inesatti, previsto come delitto dall’art. 258, comma quarto, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, non costituisce più reato.
La condotta all’esame della Terza Sezione, dopo una assoluzione in primo grado e una condanna in appello, riguardava il trasporto senza FIR di veicoli incidentati destinati alla demolizione.
Il capo d’imputazione: art. 258, comma 4, del cosiddetto Testo unico dell’ambiente, che puniva con una sanzione amministrativa chiunque “effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti” con l’applicazione della pena di cui all’articolo 483 del codice penale (falsità ideologica in atto pubblico commessa da privato) perché nella fattispecie i rifiuti in questione erano classificabili come pericolosi.
Il ricorrente, rappresentante legale della ditta di trasporti, si difendeva principalmente affermando che la responsabilità doveva rinvenirsi esclusivamente in capo all’autista, materialmente responsabile dell’omissione, e che si trattasse esclusivamente di responsabilità per illecito amministrativo, in quanto le vetture sono qualificate dal Testo unico come rifiuti pericolosi solo una volta che diventano “veicoli fuori uso” e tali non sono se non dopo la loro consegna ad un centro di raccolta (ex art. 3, comma 2, lett. a), del D.lgs. n. 209/2003).
La Corte si è trovata, dunque, di fronte all’ennesimo intervento del legislatore, attuato con D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, il quale ha sostituito il comma 4 dell’articolo 258 del Testo unico dell’ambiente con il seguente: “Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto”.
La legge non prevede più la responsabilità penale per chi trasporta rifiuti pericolosi in assenza del formulario di identificazione dei rifiuti.
D’altro canto, osserva la Corte, la riforma del Testo unico ha introdotto l’articolo 260-bis, relativo al Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti, il tanto discusso SISTRI.
Tale norma, al comma 7, prevede che: “Il trasportatore che omette di accompagnare il trasporto dei rifiuti con la copia cartacea della scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 euro a 9.300 euro. Si applica la pena di cui all’art. 483 del codice penale in caso di trasporto di rifiuti pericolosi. […]”. In sostanza il delitto ivi previsto è analogo a quello di cui all’art. 258, comma 4, ante riforma, tuttavia ha ad oggetto documento diverso rispetto al FIR.
La Cassazione si è trovata a dover annullare la sentenza d’appello perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ossia perché «il nuovo reato introdotto da questa disposizione […] riguarda il trasporto di rifiuti pericolosi non accompagnato dalla copia cartacea della scheda SISTRI e non quello non accompagnato dal formulario di cui all’art. 193 o con un formulario con dati incompleti o inesatti».
Nella fattispecie, peraltro, la conclusione della Corte non sarebbe stata diversa: infatti i veicoli incidentati non erano qualificabili come “rifiuti pericolosi” e di conseguenza l’illecito è di tipo amministrativo, tutt’ora previsto all’art. 258, comma 4 del Testo unico dell’ambiente.
La Corte in primo luogo osserva che non è stato dimostrato che suddetti veicoli contenessero liquidi o sostanze pericolose (vedasi allegato D alla parte quarta 16.01.06).
Ma, a prescindere da tale dimostrazione (la Corte afferma pure che poteva essere presunta la pericolosità di un rottame che è destinato a specifici centri di raccolta), bisogna ritenere corretta la difesa del ricorrente in applicazione del D.lgs. n. 209 del 2003 (con cui l’Italia recepiva la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso).
In altre parole, conclude la Corte, non possono essere considerati come rifiuti pericolosi veicoli funzionanti e ancora provvisti di targa, poiché «anche se la loro destinazione in concreto era la rottamazione, era tuttavia ancora possibile che ne venissero distolti» (vedasi anche le Sentenze Sez. Terza del 23.6.2005, n. 33789 e id. del 13.4.2010, n. 22035).
Una volta che fossero stati consegnati al centro di raccolta, come prescritto dall’art. 3, comma 2, lett. a), del D.lgs. n. 209/2003, sarebbero stati indubitabilmente qualificati come tali.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 27 luglio 2011, n. 29973)
La conclusione è che il trasporto di rifiuti pericolosi senza il formulario di identificazione dei rifiuti o con formulario che riporti dati incompleti o inesatti, previsto come delitto dall’art. 258, comma quarto, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, non costituisce più reato.
La condotta all’esame della Terza Sezione, dopo una assoluzione in primo grado e una condanna in appello, riguardava il trasporto senza FIR di veicoli incidentati destinati alla demolizione.
Il capo d’imputazione: art. 258, comma 4, del cosiddetto Testo unico dell’ambiente, che puniva con una sanzione amministrativa chiunque “effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti” con l’applicazione della pena di cui all’articolo 483 del codice penale (falsità ideologica in atto pubblico commessa da privato) perché nella fattispecie i rifiuti in questione erano classificabili come pericolosi.
Il ricorrente, rappresentante legale della ditta di trasporti, si difendeva principalmente affermando che la responsabilità doveva rinvenirsi esclusivamente in capo all’autista, materialmente responsabile dell’omissione, e che si trattasse esclusivamente di responsabilità per illecito amministrativo, in quanto le vetture sono qualificate dal Testo unico come rifiuti pericolosi solo una volta che diventano “veicoli fuori uso” e tali non sono se non dopo la loro consegna ad un centro di raccolta (ex art. 3, comma 2, lett. a), del D.lgs. n. 209/2003).
La Corte si è trovata, dunque, di fronte all’ennesimo intervento del legislatore, attuato con D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, il quale ha sostituito il comma 4 dell’articolo 258 del Testo unico dell’ambiente con il seguente: “Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto”.
La legge non prevede più la responsabilità penale per chi trasporta rifiuti pericolosi in assenza del formulario di identificazione dei rifiuti.
D’altro canto, osserva la Corte, la riforma del Testo unico ha introdotto l’articolo 260-bis, relativo al Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti, il tanto discusso SISTRI.
Tale norma, al comma 7, prevede che: “Il trasportatore che omette di accompagnare il trasporto dei rifiuti con la copia cartacea della scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 euro a 9.300 euro. Si applica la pena di cui all’art. 483 del codice penale in caso di trasporto di rifiuti pericolosi. […]”. In sostanza il delitto ivi previsto è analogo a quello di cui all’art. 258, comma 4, ante riforma, tuttavia ha ad oggetto documento diverso rispetto al FIR.
La Cassazione si è trovata a dover annullare la sentenza d’appello perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ossia perché «il nuovo reato introdotto da questa disposizione […] riguarda il trasporto di rifiuti pericolosi non accompagnato dalla copia cartacea della scheda SISTRI e non quello non accompagnato dal formulario di cui all’art. 193 o con un formulario con dati incompleti o inesatti».
Nella fattispecie, peraltro, la conclusione della Corte non sarebbe stata diversa: infatti i veicoli incidentati non erano qualificabili come “rifiuti pericolosi” e di conseguenza l’illecito è di tipo amministrativo, tutt’ora previsto all’art. 258, comma 4 del Testo unico dell’ambiente.
La Corte in primo luogo osserva che non è stato dimostrato che suddetti veicoli contenessero liquidi o sostanze pericolose (vedasi allegato D alla parte quarta 16.01.06).
Ma, a prescindere da tale dimostrazione (la Corte afferma pure che poteva essere presunta la pericolosità di un rottame che è destinato a specifici centri di raccolta), bisogna ritenere corretta la difesa del ricorrente in applicazione del D.lgs. n. 209 del 2003 (con cui l’Italia recepiva la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso).
In altre parole, conclude la Corte, non possono essere considerati come rifiuti pericolosi veicoli funzionanti e ancora provvisti di targa, poiché «anche se la loro destinazione in concreto era la rottamazione, era tuttavia ancora possibile che ne venissero distolti» (vedasi anche le Sentenze Sez. Terza del 23.6.2005, n. 33789 e id. del 13.4.2010, n. 22035).
Una volta che fossero stati consegnati al centro di raccolta, come prescritto dall’art. 3, comma 2, lett. a), del D.lgs. n. 209/2003, sarebbero stati indubitabilmente qualificati come tali.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 27 luglio 2011, n. 29973)