Cassazione Penale: la segnalazione del delitto può non essere pentimento operoso
La prima sezione penale ha affermato il principio per il quale non configura recesso attivo (pentimento operoso) dal reato di omicidio e tentato omicidio la condotta di colui che, dopo aver aggredito due persone, avverte la Questura di Roma, se tale condotta, pur avendo contribuito a salvare una delle due persone aggredite, non è stata effettuata al fine di porre rimedio alle conseguenze della propria condotta, ma in chiave di autodifesa, per allontanare i sospetti dalla propria persona.
Detto principio, secondo la Corte, è il frutto della corretta applicazione del consolidato principio di diritto della giurisprudenza di legittimità, per il quale “la desistenza si ha quando l’agente si arresta prima di avere posto in essere l’intera condotta tipica, mentre l’ipotesi del recesso attivo, detto anche pentimento operoso, ricorre quando il soggetto, avendo esaurito la condotta tipica, agisce per impedire l’evento e riesce ad impedirlo” (Cassazione sentenze n. 203/2011, 21955/2010, 39293/2008).
Il requisito della volontarietà della condotta … non va inteso come spontaneità della condotta, sicché la desistenza - e anche il recesso attivo - non è esclusa dalla valutazione degli svantaggi che deriverebbero dal proseguimento dell’azione criminosa.
In applicazione di tale principio, si è affermato, sia pure con riferimento ad altra ipotesi delittuosa, che essendo tale delitto “finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto quale prezzo della liberazione, per l’applicabilità della diminuzione di pena prevista per l’ipotesi del recesso attivo è richiesto un comportamento dell’agente o del concorrente dal quale sia derivata, anche in via mediata, la liberazione del sequestrato senza il versamento del riscatto, comportamento oggettivamente rilevante e soggettivamente volontario, anche se non spontaneo”.
Alla luce di quanto sopra, secondo la Corte, i giudici di merito hanno correttamente escluso l’applicabilità dell’istituto del recesso attivo, avendo accertato, nel caso di specie, la mancata tempestività del soccorso alle vittime nella immediatezza dell’aggressione perpetrata e il vero scopo della telefonata. La ragione opportunistica della segnalazione risulta peraltro dalla confessione resa dall’imputato, nella quale si legge che, accecato dall’ira, dopo aver colpito i due malcapitati, ha indossato un casco nero e i guanti, ha spostato la vela pubblicitaria a copertura del cadavere, simulato una rapina (prelevando il portafoglio, l’orologio e una borsa con dei documenti delle vittime), nascosto la refurtiva (gettando il tutto all’interno di un cassonetto della spazzatura) ed infine ha chiamato il 113.
(Corte di Cassazione - Sezione Prima Penale, Sentenza 20 luglio 2012, n.29708)
[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]
La prima sezione penale ha affermato il principio per il quale non configura recesso attivo (pentimento operoso) dal reato di omicidio e tentato omicidio la condotta di colui che, dopo aver aggredito due persone, avverte la Questura di Roma, se tale condotta, pur avendo contribuito a salvare una delle due persone aggredite, non è stata effettuata al fine di porre rimedio alle conseguenze della propria condotta, ma in chiave di autodifesa, per allontanare i sospetti dalla propria persona.
Detto principio, secondo la Corte, è il frutto della corretta applicazione del consolidato principio di diritto della giurisprudenza di legittimità, per il quale “la desistenza si ha quando l’agente si arresta prima di avere posto in essere l’intera condotta tipica, mentre l’ipotesi del recesso attivo, detto anche pentimento operoso, ricorre quando il soggetto, avendo esaurito la condotta tipica, agisce per impedire l’evento e riesce ad impedirlo” (Cassazione sentenze n. 203/2011, 21955/2010, 39293/2008).
Il requisito della volontarietà della condotta … non va inteso come spontaneità della condotta, sicché la desistenza - e anche il recesso attivo - non è esclusa dalla valutazione degli svantaggi che deriverebbero dal proseguimento dell’azione criminosa.
In applicazione di tale principio, si è affermato, sia pure con riferimento ad altra ipotesi delittuosa, che essendo tale delitto “finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto quale prezzo della liberazione, per l’applicabilità della diminuzione di pena prevista per l’ipotesi del recesso attivo è richiesto un comportamento dell’agente o del concorrente dal quale sia derivata, anche in via mediata, la liberazione del sequestrato senza il versamento del riscatto, comportamento oggettivamente rilevante e soggettivamente volontario, anche se non spontaneo”.
Alla luce di quanto sopra, secondo la Corte, i giudici di merito hanno correttamente escluso l’applicabilità dell’istituto del recesso attivo, avendo accertato, nel caso di specie, la mancata tempestività del soccorso alle vittime nella immediatezza dell’aggressione perpetrata e il vero scopo della telefonata. La ragione opportunistica della segnalazione risulta peraltro dalla confessione resa dall’imputato, nella quale si legge che, accecato dall’ira, dopo aver colpito i due malcapitati, ha indossato un casco nero e i guanti, ha spostato la vela pubblicitaria a copertura del cadavere, simulato una rapina (prelevando il portafoglio, l’orologio e una borsa con dei documenti delle vittime), nascosto la refurtiva (gettando il tutto all’interno di un cassonetto della spazzatura) ed infine ha chiamato il 113.
(Corte di Cassazione - Sezione Prima Penale, Sentenza 20 luglio 2012, n.29708)
[Dott.ssa Luciana Di Vito - Iusgate]