Cassazione Penale: riparazione per ingiusta detenzione dell’imprenditore
In linea generale la Corte ha ricordato che la prima sentenza di annullamento "non ha imposto al giudice del merito di attribuire all’interessato una congrua somma di denaro per ogni componente del danno da lui dedotta, trattandosi pur sempre di un indennizzo di natura equitativa e non d’integrale risarcimento del danno secondo le regole civilistiche, ma ha solo precisato che dalla motivazione non risultava se il giudice del merito avesse o no tenuto conto delle componenti del danno lamentate dall’istante e se le avesse liquidate considerando le comprese nella somma attribuita all’istante (al predetto si è riconosciuta una somma di poco superiore a quella derivante dal mero calcolo aritmetico). Quindi il provvedimento è stato annullato per difetto di motivazione. Inoltre questa corte ha richiamato l’attenzione del giudice del merito sulla circostanza che il danno indennizzabile è quello derivante dalla custodia cautelare e non dalla processo".
Tuttavia, secondo la Cassazione "la motivazione della Corte distrettuale è lacunosa per quanto concerne la valutazione della documentazione prodotta dall’istante a sostegno del danno patrimoniale e in parte per quanto riguarda quella indicata a sostegno del danno psichico. Sul primo aspetto la Corte si è limitata ad affermare che non poteva ritenersi provato che la privazione della libertà personale avesse potuto seriamente determinare una diminuzione dei profitti ed un aumento delle perdite, senza indicare le ragioni per le quali tale prova non poteva considerarsi raggiunta. Si tratta di un’affermazione meramente assertiva che va approfondita valutando l’eventuale insorgenza di obbligazioni risarcitorie a carico del detenuto, la mancata conclusione di contratti ecc., durante il periodo delle detenzione. Con riferimento alle ripercussioni psichiche si osserva che queste sono già comprese nella determinazione dell’indennizzo in base al calcolo aritmetico allorché sono contenute in limiti normali, posto che la privazione della libertà causa sempre disagi psichici o stati ansiosi. Vanno invece indennizzate allorché danno luogo ad un danno alla salute ossia ad una lesione psichica permanente".
(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 20 aprile 2011, n.15665)
In linea generale la Corte ha ricordato che la prima sentenza di annullamento "non ha imposto al giudice del merito di attribuire all’interessato una congrua somma di denaro per ogni componente del danno da lui dedotta, trattandosi pur sempre di un indennizzo di natura equitativa e non d’integrale risarcimento del danno secondo le regole civilistiche, ma ha solo precisato che dalla motivazione non risultava se il giudice del merito avesse o no tenuto conto delle componenti del danno lamentate dall’istante e se le avesse liquidate considerando le comprese nella somma attribuita all’istante (al predetto si è riconosciuta una somma di poco superiore a quella derivante dal mero calcolo aritmetico). Quindi il provvedimento è stato annullato per difetto di motivazione. Inoltre questa corte ha richiamato l’attenzione del giudice del merito sulla circostanza che il danno indennizzabile è quello derivante dalla custodia cautelare e non dalla processo".
Tuttavia, secondo la Cassazione "la motivazione della Corte distrettuale è lacunosa per quanto concerne la valutazione della documentazione prodotta dall’istante a sostegno del danno patrimoniale e in parte per quanto riguarda quella indicata a sostegno del danno psichico. Sul primo aspetto la Corte si è limitata ad affermare che non poteva ritenersi provato che la privazione della libertà personale avesse potuto seriamente determinare una diminuzione dei profitti ed un aumento delle perdite, senza indicare le ragioni per le quali tale prova non poteva considerarsi raggiunta. Si tratta di un’affermazione meramente assertiva che va approfondita valutando l’eventuale insorgenza di obbligazioni risarcitorie a carico del detenuto, la mancata conclusione di contratti ecc., durante il periodo delle detenzione. Con riferimento alle ripercussioni psichiche si osserva che queste sono già comprese nella determinazione dell’indennizzo in base al calcolo aritmetico allorché sono contenute in limiti normali, posto che la privazione della libertà causa sempre disagi psichici o stati ansiosi. Vanno invece indennizzate allorché danno luogo ad un danno alla salute ossia ad una lesione psichica permanente".
(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 20 aprile 2011, n.15665)