Cassazione Penale: se pubblichi il numero di telefono altrui in chat erotica associato a nickname commetti il reato di sostituzione di persona
La Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale (sostituzione di persona), la condotta dell’imputata che aveva pubblicato il numero di cellulare della sua ex datrice di lavoro, tra i dati di una “chat line” erotica, associata al proprio nickname. Per effetto di detta condotta la vittima aveva ricevuto numerosi sms di contenuto offensivo, nonché mms con inserite immagini pornografiche.
La sentenza è particolarmente interessante nella parte motiva nella quale sono presentate le ragioni di legittimità dell’interpretazione estensiva che porta a ricondurre diverse condotte nella fattispecie di cui all’articolo 494 Codice Penale, a norma del quale: chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.
Quali limiti incontra l’interpretazione della norma? La Cassazione precisa che: “Non si dà luogo ad alcuna violazione dell’articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale (che vieta l’applicazione analogica di una norma al di fuori dell’area di operatività che le è propria), in quanto non ne risulta ampliato il contenuto effettivo della disposizione, ma si impedisce che fattispecie a essa soggette si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto di manchevoli espressioni letterali, che non potevano essere previste da Legislatore nel momento storico in cui la disposizione venne emanata”.
La Cassazione rileva che rispetto ai casi affrontati in precedenza (partecipazione ad aste on line, creazione di account di posta elettronica) “quello in esame presenta una particolarità, in quanto l’imputata non ha creato un “account” attribuendosi falsamente le generalità di un altro soggetto, ma ha inserito in una “chat” di incontri personali i dati identificativi della propria ex datrice di lavoro ad insaputa di quest’ultima”. In passato, la Cassazione ha rilevato che integra il reato di sostituzione di persona “la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (cfr. Cass. Sez. III, 15/12/2011 n. 12479, A. rv. 252227)”
“Nella prospettiva del soggetto privato vittima del reato appare incontestabile che la tutela giuridica apprestata dalla disposizione in parola abbia per oggetto, oltre alla fede pubblica, anche la protezione dell’identità dei terzi, che può essere pregiudicata non solo da possibili usurpazioni, ma anche dall’attribuzione al terzo di falsi contrassegni personali, allo scopo di arrecargli un danno”. “In tali contrassegni vanno ricompresi quelli, come i cosiddetti “nicknames” (soprannomi), utilizzati nelle comunicazioni via internet, che attribuiscono una identità sicuramente virtuale, in quanto destinata a valere nello spazio telematico del “web”, la quale, tuttavia, non per questo è priva di una dimensione concreta, non essendo revocabile in dubbio che proprio attraverso di essi possono avvenire comunicazioni in rete idonee a produrre effetti reali nella sfera giuridica altrui, cioè di coloro ai quali il “nickane” è attribuito” come accaduto per la vittima del reato nel caso di specie. In questa prospettiva, “il “nickname”, quando, come nel caso concreto, non vi siano dubbi sulla sua riconducibilità ad una persona fisica, assume lo stesso valore dello pseudonimo (in presenza di determinati presupposti, assimilato al nome agli effetti della tutela civilistica del diritto alla identità ai sensi dell’articolo 9 Codice Civile) ovvero di un nome di fantasia, la cui attribuzione, a sé o ad altri, integra pacificamente il delitto di cui all’articolo 494 Codice Penale”.
“Il “nickname” inserito dall’imputata nella “chat” in cui appaiono le lettere contenuti nel nome e nel cognome della parte lesa, “corredato inoltre del numero di telefono mobile della stessa persona offesa, non lascia alcun dubbio sulla sua natura di contrassegno identificativo di una specifica persona fisica disposta ad incontri ed a comunicazioni di tipo sessuale con i frequentatori della “chat”, che, a tal scopo, avrebbero potuto contattarla telefonicamente, come effettivamente avvenuto”.
Per la consultazione della sentenza integrale si rinvia al sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 29 aprile 2013, n. 18826)
La Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale (sostituzione di persona), la condotta dell’imputata che aveva pubblicato il numero di cellulare della sua ex datrice di lavoro, tra i dati di una “chat line” erotica, associata al proprio nickname. Per effetto di detta condotta la vittima aveva ricevuto numerosi sms di contenuto offensivo, nonché mms con inserite immagini pornografiche.
La sentenza è particolarmente interessante nella parte motiva nella quale sono presentate le ragioni di legittimità dell’interpretazione estensiva che porta a ricondurre diverse condotte nella fattispecie di cui all’articolo 494 Codice Penale, a norma del quale: chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.
Quali limiti incontra l’interpretazione della norma? La Cassazione precisa che: “Non si dà luogo ad alcuna violazione dell’articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale (che vieta l’applicazione analogica di una norma al di fuori dell’area di operatività che le è propria), in quanto non ne risulta ampliato il contenuto effettivo della disposizione, ma si impedisce che fattispecie a essa soggette si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto di manchevoli espressioni letterali, che non potevano essere previste da Legislatore nel momento storico in cui la disposizione venne emanata”.
La Cassazione rileva che rispetto ai casi affrontati in precedenza (partecipazione ad aste on line, creazione di account di posta elettronica) “quello in esame presenta una particolarità, in quanto l’imputata non ha creato un “account” attribuendosi falsamente le generalità di un altro soggetto, ma ha inserito in una “chat” di incontri personali i dati identificativi della propria ex datrice di lavoro ad insaputa di quest’ultima”. In passato, la Cassazione ha rilevato che integra il reato di sostituzione di persona “la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (cfr. Cass. Sez. III, 15/12/2011 n. 12479, A. rv. 252227)”
“Nella prospettiva del soggetto privato vittima del reato appare incontestabile che la tutela giuridica apprestata dalla disposizione in parola abbia per oggetto, oltre alla fede pubblica, anche la protezione dell’identità dei terzi, che può essere pregiudicata non solo da possibili usurpazioni, ma anche dall’attribuzione al terzo di falsi contrassegni personali, allo scopo di arrecargli un danno”. “In tali contrassegni vanno ricompresi quelli, come i cosiddetti “nicknames” (soprannomi), utilizzati nelle comunicazioni via internet, che attribuiscono una identità sicuramente virtuale, in quanto destinata a valere nello spazio telematico del “web”, la quale, tuttavia, non per questo è priva di una dimensione concreta, non essendo revocabile in dubbio che proprio attraverso di essi possono avvenire comunicazioni in rete idonee a produrre effetti reali nella sfera giuridica altrui, cioè di coloro ai quali il “nickane” è attribuito” come accaduto per la vittima del reato nel caso di specie. In questa prospettiva, “il “nickname”, quando, come nel caso concreto, non vi siano dubbi sulla sua riconducibilità ad una persona fisica, assume lo stesso valore dello pseudonimo (in presenza di determinati presupposti, assimilato al nome agli effetti della tutela civilistica del diritto alla identità ai sensi dell’articolo 9 Codice Civile) ovvero di un nome di fantasia, la cui attribuzione, a sé o ad altri, integra pacificamente il delitto di cui all’articolo 494 Codice Penale”.
“Il “nickname” inserito dall’imputata nella “chat” in cui appaiono le lettere contenuti nel nome e nel cognome della parte lesa, “corredato inoltre del numero di telefono mobile della stessa persona offesa, non lascia alcun dubbio sulla sua natura di contrassegno identificativo di una specifica persona fisica disposta ad incontri ed a comunicazioni di tipo sessuale con i frequentatori della “chat”, che, a tal scopo, avrebbero potuto contattarla telefonicamente, come effettivamente avvenuto”.
Per la consultazione della sentenza integrale si rinvia al sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 29 aprile 2013, n. 18826)