La sentenza della Cassazione 5444/2006 presenta due spunti di interesse, in materia di violazione dell’obbligo di consenso informato e di contenuto del ricorso per cassazione affinché sia rispettato il principio di autosufficienza del motivo di ricorso.
"La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre, ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell’esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché nel quadro dell’unitario "rapporto" in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi nello svolgimento dell’attività di esecuzione del trattamento.
La correttezza o meno del trattamento, infatti, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell’art. 32 comma secondo della Costituzione, (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge),
quanto dell’art. 13 della Costituzione, (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e
dell’art. 33 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 (che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 cod. pen.),
donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica per il caso che esse, a causa dell’esecuzione del trattamento, si presentino peggiorate. Per converso, sul piano del danno-conseguenza, venendo in considerazione il mero peggioramento della salute e dell’integrità fisica del paziente, rimane del tutto indifferente che la sua verificazione sia dovuta ad un’esecuzione del trattamento corretta o scorretta.
La Cassazione ha altresì stabilito nella medesima sentenza il seguenti importante principio in materia di contratto assicurativo e di decorrenza della polizza:
"Il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si denunci da parte dell’assicuratore per la responsabilità civile che il giudice di merito abbia violato la norma dell’art. 1917, primo comma, cod. civ., per avere ritenuto una fattispecie concreta di responsabilità civile dell’assicurato in parte sussumibile sotto la vigenza della polizza, succeduta ad altra corrente già con altro assicuratore, pur trattandosi di fatto non accaduto durante il tempo dell’assicurazione, allorquando tale fatto sia rappresentato da una condotta umana causativa del danno ed essa sia stata posta in essere anteriormente alla vigenza della polizza e nella vigenza della polizza cessata, mentre le conseguenze dannose si siano verificate in parte dopo di essa, qualora il contenuto della clausola determinativa dell’oggetto della copertura assicurativa non sia riprodotto o commentato dalla sentenza e, quindi, le relative argomentazioni non siano state esse stesse oggetto dell’enunciazione critica del motivo, deve - per essere rispettoso del principio di autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione, applicabile anche all’enunciazione del vizio di violazione di legge (Cass. n. 15910 del 2005) -
articolarsi necessariamente con la riproduzione del contenuto della clausola, in quanto, in difetto, la Corte di Cassazione non risulta messa in grado di apprezzare il denunciato errore di sussunzione, atteso che la nozione di "fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione", per la equivocità del termine "fatto", idoneo a comprendere, se riferito ad un fatto umano, sia la condotta sia gli eventi che essa abbia provocato, si presta di per sé a comprendere sia l’una che gli altri e, quindi, spetta alle parti del contratto assicurativo opportunamente precisarla in modo che abbia o non abbia quella estensione".
Massima e sentenza sul
sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 14 marzo 2006, n.5444: 1) Responsabilità extracontrattuale - Responsabilità medica - Violazione obbligo di consenso informato - Sussistenza indipendentemente dall’esecuzione corretta o meno del trattamento; 2) Ricorso per cassazione - Autosufficienza motivo - Necessità di riportare la clausola della polizza assicurativa non presente nella sentenza impugnata).
La sentenza della Cassazione 5444/2006 presenta due spunti di interesse, in materia di violazione dell’obbligo di consenso informato e di contenuto del ricorso per cassazione affinché sia rispettato il principio di autosufficienza del motivo di ricorso.
"La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre, ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell’esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché nel quadro dell’unitario "rapporto" in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi nello svolgimento dell’attività di esecuzione del trattamento.
La correttezza o meno del trattamento, infatti, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell’art. 32 comma secondo della Costituzione, (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge),
quanto dell’art. 13 della Costituzione, (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e
dell’art. 33 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 (che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 cod. pen.),
donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica per il caso che esse, a causa dell’esecuzione del trattamento, si presentino peggiorate. Per converso, sul piano del danno-conseguenza, venendo in considerazione il mero peggioramento della salute e dell’integrità fisica del paziente, rimane del tutto indifferente che la sua verificazione sia dovuta ad un’esecuzione del trattamento corretta o scorretta.
La Cassazione ha altresì stabilito nella medesima sentenza il seguenti importante principio in materia di contratto assicurativo e di decorrenza della polizza:
"Il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si denunci da parte dell’assicuratore per la responsabilità civile che il giudice di merito abbia violato la norma dell’art. 1917, primo comma, cod. civ., per avere ritenuto una fattispecie concreta di responsabilità civile dell’assicurato in parte sussumibile sotto la vigenza della polizza, succeduta ad altra corrente già con altro assicuratore, pur trattandosi di fatto non accaduto durante il tempo dell’assicurazione, allorquando tale fatto sia rappresentato da una condotta umana causativa del danno ed essa sia stata posta in essere anteriormente alla vigenza della polizza e nella vigenza della polizza cessata, mentre le conseguenze dannose si siano verificate in parte dopo di essa, qualora il contenuto della clausola determinativa dell’oggetto della copertura assicurativa non sia riprodotto o commentato dalla sentenza e, quindi, le relative argomentazioni non siano state esse stesse oggetto dell’enunciazione critica del motivo, deve - per essere rispettoso del principio di autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione, applicabile anche all’enunciazione del vizio di violazione di legge (Cass. n. 15910 del 2005) -
articolarsi necessariamente con la riproduzione del contenuto della clausola, in quanto, in difetto, la Corte di Cassazione non risulta messa in grado di apprezzare il denunciato errore di sussunzione, atteso che la nozione di "fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione", per la equivocità del termine "fatto", idoneo a comprendere, se riferito ad un fatto umano, sia la condotta sia gli eventi che essa abbia provocato, si presta di per sé a comprendere sia l’una che gli altri e, quindi, spetta alle parti del contratto assicurativo opportunamente precisarla in modo che abbia o non abbia quella estensione".
Massima e sentenza sul
sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 14 marzo 2006, n.5444: 1) Responsabilità extracontrattuale - Responsabilità medica - Violazione obbligo di consenso informato - Sussistenza indipendentemente dall’esecuzione corretta o meno del trattamento; 2) Ricorso per cassazione - Autosufficienza motivo - Necessità di riportare la clausola della polizza assicurativa non presente nella sentenza impugnata).