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I valori OMI sono dati presuntivi inidonei a certificare e rettificare il valore di un immobile

Corte di Cassazione, ordinanza 23 maggio 2019, n. 13992
Valori OMI
Valori OMI

Abstract:

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 23 maggio 2019 n. 13992, ha statuito l’illegittimità dell’avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare) con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica il valore di immobili ceduti. Tali indici, infatti, non sono ritenuti, di per sé, idonei e sufficienti a certificare il valore dell’immobile, che può variare in funzione di molteplici parametri.

 

Indice:

1. Premessa

2. Le stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare

3. Corte di Cassazione, ordinanza 23 maggio 2019, n. 13992

4. Conclusioni

 

1. Premessa

La Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza del 23 maggio 2019 n. 13992, ha evidenziato che, l'accertamento di un maggior reddito e la liquidazione di una maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale derivante dalla cessione di beni immobili, non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell'atto di compravendita e il valore normale del bene risultante dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.

In sostanza, la rettifica del prezzo di vendita di un immobile non può essere motivata basandosi solo ed esclusivamente sulle stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare.

 

2. Le stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare

Al fine di individuare le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione con la pronuncia in esame, occorre preliminarmente chiarire che le stime OMI sono nient’altro che le quotazioni immobiliari che l’Agenzia delle Entrate, attraverso il suo Osservatorio del Mercato Immobiliare, pubblica con cadenza semestrale. L’Osservatorio del Mercato Immobiliare, di fatto, è una banca dati, che mette a disposizione le quotazioni immobiliari di tutto il territorio nazionale. Più specificamente, l’Osservatorio rileva ed elabora dati sul valore di vendita degli immobili, ma anche dei terreni, sul mercato degli affitti e sui tassi di rendita, per tutti i comuni del territorio nazionale, per diverse tipologie edilizie nell’ambito delle destinazioni residenziali, commerciali, terziarie e produttive.

In sostanza, le quotazioni OMI esprimono un intervallo di valori, tra un minimo e un massimo, per unità di superficie, riferite ad unità immobiliari “ordinarie” e tipicizzate, classificate in una determinata tipologia edilizia e situate in un ambito territoriale omogeneo.

Ebbene, tali stime molto spesso vengono utilizzate dall’Agenzia delle Entrate per compiere accertamenti sul valore degli immobili e dei terreni e sulle conseguenti imposte da corrispondere. Per tale ragione, sempre più di frequente, i giudici di legittimità si stanno pronunciando in merito alla liceità degli accertamenti con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica i corrispettivi delle transazioni immobiliari. Di fatto, dall’esame di tali pronunce, è possibile ritenere che, sulla base di un orientamento consolidato, la rettifica del prezzo di vendita di un immobile non può essere certamente motivata avendo come unico parametro di riferimento le stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare.

 

3. Corte di Cassazione, ordinanza 23 maggio 2019, n. 13992

A fronte di quanto rilevato, occorre adesso delineare i contorni della pronuncia in esame, con cui i giudici di legittimità hanno chiarito che le quotazioni OMI, in mancanza di altri elementi probatori, rappresentano meri indizi, inidonei, da soli, a rettificare il valore di un immobile, poiché costituiscono semplici osservazioni statistiche che conducono, al più, “a indicazioni di valori di larga massima”.

Più specificamente, nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso degli avvisi di liquidazione nei confronti di una società, con cui rettificava il valore di vendita di alcune unità immobiliari rispetto al prezzo dichiarato (perché, stando a quanto affermato dal Fisco, vi era una discrepanza significativa rispetto ai valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare) e liquidava maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali.

Nei due gradi di giudizio, la CTP e la CTR di Roma confermavano la tesi della società contribuente, sostenendo che la discrepanza con i valori Omi fosse prova insufficiente per presumere un maggiore prezzo di vendita e che, dunque, l'Ufficio aveva fondato le rettifiche su elementi del tutto generici e insufficienti ai fini della rettifica.

L'Agenzia delle Entrate ricorreva, dunque, per la cassazione della sentenza, svolgendo un unico motivo con cui denunciava la violazione e falsa applicazione del DPR  n. 131/1986, articolo 51, Legge n. 88/2009, articolo 24, nonché della Legge n. 296/2006, articolo 1, comma 307, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, atteso che la CTR, a suo dire, avrebbe errato nel non ritenere più utilizzabile ai fini della rettifica, dopo l'entrata in vigore della Legge n. 88/2009, l'accertamento induttivo basato sui valori OMI. In sostanza, la ricorrente sosteneva che la legge comunitaria, entrata in vigore in materia di Iva e imposte dirette, non era applicabile anche all'imposta di registro, che, invece, continua ad essere disciplinata dalla Legge n. 296/2005, articolo 1, comma 307, in attuazione del quale è stato emesso il successivo provvedimento del Direttore dell'Agenzia del 27.07.2007, che ha stabilito i criteri di determinazione del valore normale dei fabbricati, di cui il primo è rappresentato dai dati OMI.

La contribuente resisteva con controricorso.

Ebbene, chiamato a pronunciarsi sulla questione, il Supremo Consesso, con l’ordinanza n.13992/2019, si è espresso negli stessi termini dei giudici di merito, osservando come, le quotazioni OMI, costituendo uno strumento di ausilio e indirizzo per l'esercizio della potestà di valutazione estimativa (quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, utilizzabili dal giudice ai sensi dell'articolo 115 c.p.c., comma 2), sono idonee solamente a "condurre ad indicazioni di valori di larga massima" e non, di certo, a costituire prova fondante dell’accertamento.

Peraltro, a parere della Suprema Corte, ai fini delle imposte d'atto, non opera alcuna presunzione finalizzata a recuperare a tassazione l'imponibile non dichiarato, ancorché si accerti una divergenza tra il prezzo dichiarato in atto dalle parti e il valore venale del bene in comune commercio.

La Corte di Cassazione ha, altresì, chiarito: “che il ruolo delle quotazioni OMI, ai fini dell'accertamento di un maggior valore, in tale settore è rimasto invariato anche dopo l'introduzione della legge comunitaria citata, continuando le stesse ad avere valore meramente indiziario e ad aver rilievo i criteri richiamati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 51.

Ed invero, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 51, comma 3, elenca i criteri, alternativi e pariordinati che possono essere adottati dall'Amministrazione in sede di rettifica del valore del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, ex articolo 52; difatti, l'Ufficio che ritenga il valore venale dei beni immobili o dei diritti reali immobiliari di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 51, superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, in fase di rettifica può correttamente riferirsi o "ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie...che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni ovvero al reddito netto di cui gli immobili siano suscettibili nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni" (criteri, peraltro, indicati nel Provvedimento del Direttore dell'Agenzia del 27/7/2007).

Del resto, l'effetto delle norme in materia di valore normale, introdotte dal L. n. 296 del 2005, articolo 1, comma 296, nell'ambito del testo unico del registro (Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986), non è stata quella di stabilire una presunzione legale basata sui valori desumibili dalla banca dati OMI, bensì quella, di consentire l'individuazione - attraverso il provvedimento del Direttore - dei criteri per la determinazione periodica del valore normale dei fabbricati prevedendo, come si legge nelle motivazione dell'atto, che "le disposizioni del presente provvedimento rispondono all'esigenza di determinare periodicamente in modo unitario il valore normale degli immobili oggetto di compravendita nei settori dell'imposta sul valore aggiunto, delle imposte sui redditi e dell'imposta di registro, individuando i criteri per la determinazione periodica del valore normale dei fabbricati". Detti criteri non si esauriscono nelle rilevazioni OMI, le quali devono essere integrate dagli ulteriori criteri o griglie indicati espressamente dal provvedimento in questione”.

In sostanza, la Suprema Corte ha chiarito che il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili nel medesimo Comune, non è da solo idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell'immobile e, pertanto, le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria non possono fondarsi esclusivamente sullo scostamento tra l’eventuale corrispettivo dichiarato nell'atto di compravendita e il valore del bene risultante delle quotazioni OMI, considerato che quest’ultime non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, il quale può variare in funzione di molteplici parametri (quali l'ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico e le oscillazioni del mercato immobiliare), limitandosi a fornire indicazioni di massima e dovendo, invece, l'accertamento essere fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti.

La Corte, di fatto, ha chiarito che un atto di contestazione fondato esclusivamente sui valori OMI non può ritenersi fondato sotto il profilo motivazionale e, in difetto di ulteriori elementi forniti dall'Agenzia delle entrate, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene.

 

4. Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte, conformemente ad un orientamento costante, con l’ordinanza n.13992/2019, ha inteso chiarire che le quotazioni OMI, non costituiscano fonte tipica di prova ma, al più, strumento di ausilio e indirizzo per l'esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicché quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, sono idonee solamente a "condurre a indicazioni di valori di larga massima".

In definitiva, si ribadisce, che l’esclusivo riferimento alle stime immobiliari non è di per sé idoneo a integrare elemento di prova a sostegno delle tesi dell’Ufficio, con la conseguenza che la determinazione del valore venale dei predetti beni, costituente base imponibile dei relativi tributi, appare del tutto inadeguata sotto il profilo motivazionale.

In sostanza, “è onere dell'Amministrazione finanziaria provare in giudizio l'effettiva sussistenza dei presupposti applicativi del criterio di rettifica indicato nell'avviso di liquidazione (Cass. 25 marzo 2011, n. 6914Cass. 6 giugno 2016, n. 11560; Cass. 9 maggio 2017, n. 11270)” e, in tale prospettiva, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Agenzia, non è sufficiente il semplice riferimento ai valori OMI, poiché questi rappresentano solo dei valori di massima e non la prova della pretesa erariale (cfr. Corte di Cassazione n. 14117/2018).

È necessario, dunque, che l’Ufficio produca ulteriori elementi idonei ad integrare la prova della pretesa o dati presuntivi purché gravi, precise e concordanti, in ordine all'eventuale maggior valore di detti beni.