Certificazione per il giurista di impresa, un passo verso l’albo professionale
Certificazione per il giurista di impresa, un passo verso l’albo professionale
Una certificazione per il giurista d'impresa che renda questa professione riconosciuta a livello di status e (più) riconoscibile. È l'iniziativa che da tempo porta avanti Aigi (Associazione Italiana Giuristi d’Impresa, la più rappresentativa degli in-house counsel con oltre 1400 soci) per valorizzare la figura e il ruolo del legale d’azienda nel nostro Paese.
L’obiettivo è ottenere un riconoscimento sia formale sia sostanziale per una categoria che si è ormai diffusa non solo nelle multinazionali ma anche nelle piccole e medie imprese, spina dorsale del nostro sistema imprenditoriale. Ed un ruolo che è solo accennato nella legge professionale come eccezione rispetto all'avvocato tout court e alla variante – con relativo elenco – di quello degli enti pubblici.
È appena uscito per The Skill Press il volume “Un giurista d’impresa certificato 4.0”, contenente gli atti dell’omonimo congresso svoltosi simultaneamente tra due sedi, Roma e Milano, in collegamento video tra loro. Il tema è proprio lo schema di proposta dell’Aigi inserito nel quadro regolamentato per la certificazione delle professioni non organizzate in ordini o collegi. Il progetto prevede una procedura in più fasi che parte dalla richiesta dell'interessato e si conclude, in caso positivo, con l'emissione del certificato rinnovabile ogni tre anni. E nel frattempo, dopo un primo periodo di rodaggio, a gennaio si è tenuta la prima sessione di esame (tre prove scritte, orale e valutazione delle soft skills, come la capacità di lavorare in squadra) con il conferimento da parte di Aigi dei primi tre certificati da giuristi d’impresa.
“È un progetto che stiamo portando avanti con grande impegno – ha detto il presidente di Aigi Giuseppe Catalano – E lavoriamo a un disegno di legge per il riconoscimento della nostra figura”. Al convegno, organizzato da Aigi in collaborazione con lo studio di comunicazione The Skill e con i partner del progetto – l'ente certificatore Kiwa e LHH, società di head hunting del gruppo Adecco, già Badenoch + Clark – ha portato il saluto istituzionale il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, avvocato per formazione. Al panel hanno preso parte, oltre a Catalano e al ceo di The Skill Andrea Camaiora, tra gli altri l’avvocato Maria Masi, presidente del Consiglio Nazionale Forense; Marcello Bianchi, vice-direttore generale di Assonime; Antonino Galletti e Vinicio Nardo, presidenti rispettivamente degli Ordini degli avvocati di Roma e di Milano; Antonio Matonti, direttore affari legislativi di Confindustria; Giorgio Martellino, vicepresidente di Aigi e general counsel di Avio Spa.
Interessante il contributo di Jonathan Marsh, presidente di ECLA, (European Company Lawyers Association, la federazione europea delle associazioni nazionali dei legali d’impresa). Catalano, nel ricordare l’impegno e la tenacia della sua associazione su questo fronte, ha sottolineato gli elementi fondamentali dell’iniziativa. Primo: “L’opportunità di darci un protocollo, che organizza la nostra professione senza che siano altri a dettarci queste impostazioni dall’alto, in sostanza ci autoregolamentiamo”. Secondo: “Abbiamo visto che questi sistemi di certificazione di professionalità esistenti nell’azienda hanno avuto un certo successo: penso all’internal audit, penso ai compliance officer e così via. I giuristi di impresa sono una figura sicuramente in crescita, ma c’è uno status molto lontano, ahimè, dalle tutele giuridiche che sarebbero necessarie per poter svolgere il nostro lavoro.
Alcuni passi sono stati compiuti in altri sistemi giuridici e in sede europea, in Italia siamo invece ancora abbastanza indietro. Per questo il dialogo con l’avvocatura è molto importante”. Il viceministro Sisto ha individuato “tre macro-problemi collegati nell’ambito della figura del giurista d’impresa: l’identità, il riconoscimento di questa identità, la continuità nel riconoscimento delle identità”. E “mi sembra – ha aggiunto – che l’idea di “giurista servente” debba essere abbandonata definitivamente, mentre è importante chiedersi qual è oggi la necessità di autonomia del giurista e quali sono i parametri per la sua autonomia”. In molti hanno ricordato la sentenza del 2020 del Consiglio Nazionale Forense che non consente al giurista d’impresa l’iscrizione all’albo degli avvocati, neppure in elenchi speciali. “La regola è quella, allo stato – ha detto Sisto – ma le cose potrebbero cambiare se, come prevede Aigi, il giurista d’impresa si sottoponesse ad una rigorosa prova di certificazione. A quel punto non ci sarebbe nessun motivo, a mio avviso, per negare rilevanza pubblicistica a chi cerca quotidianamente di assistere l’impresa, non per farne una sorta di “pirata dei Caraibi” bensì il timoniere di una goletta che tranquillamente cerca di trovare il porto della legalità”.
Un’apertura arriva anche dal presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Antonino Galletti: “Se questa idea della regolamentazione della figura del giurista d’impresa portasse alla costituzione di un elenco separato tenuto dagli Ordini non ci troverei nulla di strano. Ritengo l’iniziativa interessante perché va nel solco di quella che oggi si chiama soft regulation, cioè la tendenza ad autoregolamentarsi da parte dei corpi sociali intermedi, in questo caso di una categoria di giuristi, per evitare che la legge statuale intervenga per regolare ogni aspetto della vita civile e scongiurare derive ultra-burocratiche”. Anche per il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, Vinicio Nardo “ha senso che la figura del giurista d’impresa possa essere ricompresa nella grande famiglia dell’avvocatura, anche per educare la collettività all’idea che l’avvocato non è una persona da chiamare solo quando ci sono già problemi in essere ma da consultare prima per evitare che si verifichino”. Martellino, come legal counsel di una grande azienda, ha ribadito l’intenzione del progetto: “Ci esponiamo al giudizio di altri, degli stakeholder, di una serie di soggetti che operano intorno al giurista d’impresa, per conoscere il giudizio che hanno di noi e come ci vedono dall’esterno”. Alberto De Paolis, cfo di Enel, ha sottolineato che la maggiore difficoltà del processo riguarda la certificazione delle soft skill.
Infine Jonathan Marsh, come presidente di ECLA affronta il tema da un punto di vista diverso: il legal professional privilege (LPP), il privilegio legale ovvero la riservatezza delle comunicazioni come esiste tra avvocato e cliente. “È uno degli argomenti più importanti sui quali ECLA lavora a livello europeo – ha detto Marsh - So che l’LPP non è così attuale per voi ma vorrei cercare di convincervi di quanto sia un importante argomento strategico per l’Europa e per tutti i legali d’impresa e le aziende che rappresentano. La promozione e la protezione dello stato di diritto è uno degli obiettivi centrali dell’Unione Europea e un elemento cruciale della sua indipendenza”. Marsh ha ricordato come oggi mentre l’LPP è accettato, per i legali d’impresa, in gran parte degli Stati membri dell’Unione Europea e nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE non lo sia in Francia, in Italia e a livello europeo. “L’LPP è stata particolarmente limitata per gli avvocati aziendali in materia di Antitrust. Ritengo che queste eccezioni abbiano indebolito lo stato di diritto in Europa minandone l’indipendenza e la sua posizione come competitor. L’Europa tende a isolarsi sempre di più su questo argomento rispetto agli altri membri dell’OCSE e in particolare Usa e Regno Unito. È arrivato il momento di aprire un dialogo tra gli Stati membri e la Commissione europea per aggiornare la legislazione.