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Cinema e armi da fuoco

Cinema
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Indice:

1. Le armi, dal processo allo schermo

2. Gli effetti dei colpi d’arma da fuoco

3. Balistica lesionale

4. Perché la Croce Rossa Internazionale studia la balistica 

 

1. Le armi, dal processo allo schermo

Nel 1889 Anton Čechov scrisse una lettera destinata a un amico scrittore. Se metti un fucile carico sul palco, suggerì Čechov, poi a quel fucile deve succedere qualcosa. Quel famoso consiglio è stato modificato passando di bocca in bocca e oggi suona più o meno così: Se nel primo atto compare una pistola, quella pistola poi deve sparare.

Si tratta della famosa pistola di Čechov, che poi era un fucile, e che alla fine non è né una pistola né un fucile ma una strategia narrativa, un consiglio di compattezza da seguire per tessere una trama efficace. Ma le armi, sia nel procedimento penale che nella letteratura, producono una certa attesa e sarà per questo che Čechov ha usato una pistola (che poi era un fucile) per il suo esempio, perché un’arma da fuoco si fa sempre notare, fino a monopolizzare l’attenzione di chi se la trova davanti. Infatti capita spesso che i testimoni di atti violenti, come le rapine, non riescano a descrivere il loro aggressore perché hanno guardato per tutto il tempo solo la pistola.

Il cinema è da sempre alla ricerca spasmodica di attenzione, per cui le armi si sono rivelate da subito uno strumento interessante, e non solo per quello che ha suggerito Čechov. Ogni pistolero che si rispetti, nel selvaggio west, ha la sua arma prediletta: che sia una Colt cromata dal manico in madreperla, o un fucile “perché sono più svelto che con la pistola” (John Wayne in Un dollaro d’onore, 1959), l’arma è una caratteristica di personalità.

Cosa sarebbe Harry Callaghan, ispettore, senza la sua 44 Magnum? E James Bond sarebbe ancora così elegante, in smoking, senza la sua Walter PPK?

La capacità di Hollywood di mitizzare certe armi da fuoco non sfuggì all’austriaco Gaston Glock, industriale delle materie plastiche che aveva iniziato a produrre pistole nel 1981. Era in ritardo di almeno un centinaio d’anni sui concorrenti tedeschi, italiani e americani, e non sapendo come far conoscere al mondo le sue strane pistole squadrate col fusto in polimero, provò a inviare un socio a Hollywood, per spingere i produttori a inserire le sue Glock 17 nei film d’azione e nelle serie TV di quegli anni. Le pistole austriache comparvero in Miami Vice con Don Johnson nel 1986, in Johnny il bello con Mickey Rourke nel 1989, in Die Hard 2 con Bruce Willis nel 1990. E così la Glock 17 è finita addirittura nella letteratura postmoderna (in Infinite Jest di David Foster Wallace nel 1996). Ma la tecnica promozionale del cinema non era un’invenzione di Glock; Enrico Piaggio, ad esempio, aveva fatto di tutto perché la sua Vespa fosse utilizzata da Audrey Hepburn e Gregory Peck, al posto di un banale calessino, per il romantico giro della città in Vacanze Romane (1953).

Ma come si fa a individuare che modello di arma è stata usata in un film? Oppure a scoprire in quante e quali pellicole è comparsa una certa pistola? Viviamo nell’epoca del web, e quindi il web è la risposta: sfogliando l’Internet Movie Firearms Database (qui il link), si può trovare risposta alle domande più puntigliose.

 

2. Gli effetti dei colpi d’arma da fuoco

Ma a volte la necessità di spettacolarizzazione del cinema si fa prendere un po’ la mano. Un personaggio, colpito dalla rosata esplosa da un fucile a canne mozze, viene sollevato da terra e proiettato all’indietro. La testa di un cattivo, attinta da un colpo di Kalashnikov, letteralmente esplode. Uno sgherro, trapassato da un proiettile vagante, mostra un foro tanto netto e marcato che ci si può guardare attraverso.

Tutte esagerazioni che hanno ben poco a che fare con la realtà. Quando nel 2015 la sede di Charlie Hebdo, a Parigi, fu oggetto di un attacco terroristico, vennero diffuse le immagini dell’esecuzione di uno dei poliziotti di scorta al giornale satirico. L’arma utilizzata era una carabina Česká vz. 58 (esteticamente simile al Kalashnikov, ma strutturalmente diversa). Sui social impazzarono le ipotesi più disparate. Molti non credevano all’esiguità degli effetti terminali immortalati nei video e gridarono al complotto.

Per quale ragione persone comuni, senza alcuna esperienza specifica in fatto di armi, si erano sentite autorizzate a stabilire che i filmati erano falsi, in quanto «un Kalashnikov non provoca ferite del genere»?

Quelle persone avevano forse studiato o anche solo visto di persona le ferite di un fucile d’assalto? No, ma avevano assistito a molti film d’azione, e ciò evidentemente li faceva sentire dei grandi esperti.

In realtà la “spinta” conseguente al colpo di fucile a canne mozze è paragonabile a quella di una pallonata, quindi non certo sufficiente a proiettare una persona all’indietro, e le esplosioni della scatola cranica possono avvenire solo per i colpi a contatto, quando i gas incandescenti passano dalla canna all’interno del corpo.

Ma allora cosa accade quando un colpo d’arma da fuoco raggiunge una persona?

Possono accadere grossomodo tre cose diverse.

Prima possibilità: morte sul colpo. Il soggetto in pochi istanti cade a terra deceduto. Questo succede solo quando vengono attinte zone vitali, come il cuore o peggio ancora il cervelletto, che è posizionato dietro alla nuca. Non a caso è quello il luogo prescelto per le esecuzioni sommarie, sia dai regimi dittatoriali che dalla criminalità organizzata.

Seconda possibilità: niente. Niente nel senso che il corpo umano è, per la maggior parte, “vuoto”. Un colpo di arma da fuoco può attraversare pelle, carne e tessuti senza incontrare zone “vitali”, e a quel punto la vittima ha tutto il tempo di raggiungere una struttura medica e farsi curare. Perfino un colpo in pieno petto, o in testa, può rivelarsi completamente privo di conseguenze, con un po’ di fortuna.

Terza possibilità: una morte dilazionata ma inesorabile. Se il proiettile attraversa un organo (fegato, rene, polmone…), oppure un vaso sanguigno importante (vena o arteria), inizia un versamento di sangue all’interno del corpo destinato a disperdere il liquido ematico, abbassando la pressione fino a decretare la morte del soggetto in un tempo abbastanza breve. Solo un rapidissimo e competente intervento medico può cambiare un destino già scritto. In questo caso la vittima è un “morto che cammina”, ma non è detto che sia consapevole di quello che gli accadrà, potrebbe perfino non essersi accorto delle lesioni a causa delle scariche di adrenalina. Se si tratta di un criminale, potrebbe anche rispondere al fuoco e uccidere molti poliziotti: è successo nella famosa sparatoria di Miami del 1986, durante la quale due rapinatori già colpiti a morte furono comunque in grado di uccidere due agenti dell’FBI e ferirne altri sei.

 

3. Balistica lesionale

Gli effetti di un colpo d’arma da fuoco sembrano quindi misteriosi e imprevedibili. Ed è vero. Ma esistono alcuni metodi per comprendere ciò che accade, ed è proprio la fisica ad aiutarci. Servono due concetti importanti.

Primo concetto: cavità permanente. Quando un proiettile colpisce un organismo vivente scava e distrugge i tessuti, crea un “buco” che corrisponde grossomodo al calibro. Dimensioni che, va ricordato, variano di solito fra i 4 e i 12 millimetri, quindi ben poca roba.

Questo spiega perché i proiettili di pistola siano responsabili di un danno serio solo quando la loro traiettoria intercetta un organo o un vaso sanguigno importante.

Secondo concetto: cavità temporanea. Quando un proiettile attraversa un corpo vivente, cede energia, e il corpo disperde questa energia dilatando i propri tessuti. Questa dilatazione però provoca danni. La cavità temporanea è importante più che altro per i proiettili veloci, quelli sparati dai fucili ad esempio, e meno per quelli da pistola.

Nella pratica ciò vuol dire che un colpo di fucile può danneggiare un organo o un vaso sanguigno non solo se lo attraversa (cavità permanente) ma anche se “lo manca” e gli passa vicino (cavità temporanea).

Si parla spesso di altri concetti, come lo “shock idrodinamico” o simili, ma è meglio lasciarli stare perché sono spesso usati a sproposito.

Riassumendo: la fisica ci spiega che un colpo di pistola crea danni (quasi) solo se la sua traiettoria incappa, in quel misterioso puzzle che è l’interno di un corpo umano, in un organo o in un vaso sanguigno importante. La fisica, allo stesso tempo, ci racconta che un colpo di fucile invece potrebbe essere mortale anche se passa (abbastanza) vicino a quei punti.

 

4. Perché la Croce Rossa Internazionale studia la balistica 

Molti di questi risultati sono stati raggiunti grazie al lavoro di bravi scienziati, tra cui merita una citazione un fisico, Beat P. Kneubuehl, che ha lavorato per varie università e anche per la Croce Rossa Internazionale a Ginevra.

Ma perché la CRI dovrebbe studiare la balistica? La storia risale alla fine del diciannovesimo secolo. Gli inglesi stavano incontrando difficoltà nella “gestione” delle colonie nella zona indiana e così un Capitano del regio esercito inventò un proiettile in cui la punta di piombo restava esposta, facendolo espandere all’impatto.

Questo nuovo proiettile venne costruito nella città di Dum Dum, sede di un arsenale britannico nel Bengala occidentale. Questo nuovo tipo di proiettile si dimostrò molto efficace nel provocare lesioni, tant’è che nel 1899 la III Dichiarazione della Convenzione dell’Aja ne vietò l’utilizzo, al fine di limitare le sofferenze dei feriti.

Alcuni paesi, tra cui la Turchia, il Portogallo e il Regno Unito, la firmarono solo nel 1907. Gli Stati Uniti d’America non aderirono mai.

Col tempo intervennero altre convenzioni e oggi è vietato l’uso di molti tipi di munizioni nei teatri bellici. Ma chi vigila su questi divieti? La CRI, grazie alla presenza di chirurghi che sul posto soccorrono le vittime, spesso civili, e le operano, può constatare in prima persona l’effetto delle munizioni impiegate nei conflitti.

Ma come fa un medico della CRI a capire se sono stati utilizzati proiettili illegali? Perché ne deve essere certo, prima di aprire un contenzioso, in quanto in caso contrario la segnalazione non avrà la forza sufficiente per mobilitare gli organismi di giustizia internazionale. Per questo la Croce Rossa ha attivato un laboratorio di balistica col fine studiare gli effetti lesivi delle varie munizioni e discernere fra le situazioni di “fraintendimento” e quelle di “violazione”. Perché si è scoperto che esistono molte situazioni cliniche, causate dall’utilizzo di proiettili leciti, che sono estremamente “simili” a quelle originate dall’uso di munizioni illegali.

Risalire alla verità non è mai semplice, ma con gli strumenti giusti il percorso diventa più agevole; e la balistica rappresenta in questo caso un valore aggiunto nella ricerca di una verità quanto mai necessaria.