Residui di sparo e altre prove regine Michele Frisia

prova regina
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Indice:

1. Il fascino discreto della prova regina

2. Prove regine che hanno fallito

3. Cosa sono i residui di sparo

4. Scienza e diritto come facce di una sola medaglia

 

1. Il fascino discreto della prova regina

Alcune locuzioni sono tanto care ai giornalisti quanto lontane dalle realtà professionali di chi opera sul campo, e prova regina è una di queste. Ma la colpa non è della stampa, se di colpe si può parlare, perché questa espressione in realtà viene dal diritto: Confessio est regina probatio, dice il brocardo, La confessione è la regina delle prove. Ma questo vale nei sistemi giuridici arretrati, se è vero che già Cesare Beccaria avversava l’utilizzo di confessioni che, giocoforza, erano quasi sempre estorte. Inoltre in Italia la confessione, come noto, è prova legale solo nel processo civile, mentre in ambito penale può e anzi deve essere valutata dal Giudice con la massima libertà.

E allora perché il concetto di prova regina è così diffusa in televisione, sui giornali, fino a giungere, per una sorta di “effetto CSI”, a giudici e avvocati?

L’effetto CSI è quello per cui il grande pubblico, ma anche i professionisti del mondo della giustizia, dopo aver assistito a polizieschi e serie TV (come CSI, appunto), arrivano a credere che le tecniche usate sullo schermo funzionino anche nella vita reale.

In questo modo si finisce per chiedere alle scienze forensi più, molto più, di quanto possano offrire davvero. E sia l’effetto CSI che la prova regina rispondono alla stessa, illusoria, esigenza.

Infatti le indagini mirano a ricostruire qualcosa che è invisibile alla vista, occulto, mascherato, depistato. E ricostruire costa fatica. Ma solo una piccola parte del faticoso lavoro investigativo si basa sulle scienze forensi, le quali consentono, a ben vedere, di compiere una sola operazione, ovvero collegare. Linking, dicono i forensic scientist anglosassoni. Collegare persone a luoghi, luoghi a oggetti, oggetti a persone, persone a persone, e così via. Un collegamento, di per sé, ha ben poco significato. È la fatica dell’indagine che carica quel collegamento di un significato, lo valorizza e consente di inserirlo nel quadro generale. Solo la fatica ben riposta è in grado di legittimare le conseguenze di una condanna. Ed ecco invece che si tenta la scorciatoia della prova regina, quella che rende (renderebbe) superfluo tutto il faticoso lavoro, una soluzione luccicante, comoda, rapida, definitiva.

 

2. Prove regine che hanno fallito

Purtroppo non funziona così. E l’errore si ripete ciclicamente. Come abbiamo detto, già il nome stesso, prova regina, nasce in relazione alla confessione, vista per molti secoli come il pilastro della condanna.

Nel 1997 in provincia di Taranto viene uccisa un’anziana. Una bimba incappa nel criminale e lo costringe alla fuga, le forze dell’ordine lo arrestano rapidamente. Viene perquisita la casa dell’indagato, Ben Mohamed Ezzedine Sebai, e alcuni beni, appartenuti ad altre anziane uccise in Puglia nei mesi precedenti, consentono di ottenere la condanna per ben quattro omicidi. Ma nel 2005 Sebai confesserà di averne commessi altri 11, sempre ai danni di anziane. Peccato che per quei delitti altre sette persone siano state condannate in via definitiva, e alcune di loro avevano addirittura confessato. Avevano provato a ritrattare, al processo, ma senza successo. Uno si era addirittura suicidato in carcere. Gli altri sei otterranno l’assoluzione, dopo un iter lungo e complesso e molti anni di ingiusta detenzione.

Il giorno di San Valentino del 2009 una ragazza di soli 14 anni, appartata col fidanzatino nel parco della Caffarella di Roma, subisce una brutale violenza sessuale di gruppo. Le indagini convergono presto su due sospetti e uno di loro confessa davanti al PM. Ma pochi giorni dopo arriva l’esame del DNA, che li scagiona entrambi. I veri colpevoli verranno individuati e arrestati qualche tempo dopo. Opinione pubblica ed esperti accusano il PM di aver esercitato indebite pressioni sul soggetto, per spingerlo a confessare qualcosa di orribile che non ha, oramai è evidente, commesso. Ma l’interrogatorio è stato videoregistrato e mostra un indagato tranquillo e collaborativo.

Le confessioni sono frutto di un agire umano, e come tali sono intrise di emotività, ragionamento, calcoli, sbandamento, paure, furbizia, follia e ogni altra condizione ed emozione. La confessione non può essere una prova regina.

Come non può esserlo il DNA. Nel 1999 un condannato per stupro di Milwaukee chiese la revisione del processo. Infatti, mentre si trovava in carcere, una donna aveva subito una violenza e il materiale genetico repertato corrispondeva a quello del condannato. Era certo a quel punto che esistesse un gemello, o qualcosa del genere, e che il condannato fosse innocente. Ma la polizia dimostrò che la donna, pagata, aveva inscenato la violenza sessuale utilizzando come falsa prova un campione di liquido seminale, fatto uscire dal carcere in modo clandestino.

Per 16 anni una donna misteriosa, soprannominata “killer senza volto”, aveva commesso furti, omicidi, rapine, in giro per tutta la Germania e poi in altri paesi europei. Una criminale geniale e imprendibile. Finché gli investigatori hanno scoperto che tutto quel materiale genetico, rinvenuto su tutte quelle scene del crimine, non apparteneva a una sfuggente assassina bensì a una dipendente dell’azienda che confezionava gli swab (i cotton fioc per la raccolta del DNA).

 

3. Cosa sono i residui di sparo

E al fascino della prova regina non resistono neppure gli appassionati di residui di sparo (in inglese: GunShot Residue, GSR).

Il cuore di un’arma da fuoco è la munizione. È là dentro, contrariamente a quanto credono in molti (e a quanto dispone la legge italiana), che si nasconde il pericolo: la lesività nasce dall’energia, e solo la munizione è in grado di sprigionarne. L’arma è solo “un tubo di ferro”, magari dotata di interessanti congegni e dispositivi, magari costruita con perizia e resistenza, ma una pistola senza munizioni serve solo come corpo contundente. Se si possiede una munizione, invece, basta davvero poco per costruire una rudimentale pistola, come accade perfino in carcere.

Le munizioni sono solitamente composte da quattro elementi principali: il proiettile (che verrà lanciato verso il bersaglio); la polvere da sparo (che bruciando produrrà gas incandescenti i quali si espandono e spingono il proiettile); la capsula di innesco (che inizia la combustione a seguito dell’urto meccanico del percussore); e il bossolo (che tiene insieme gli altri pezzi).

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Immagine tratta da “Delitti e castighi”, di Michele Frisia, Dino Audino Editore. Riprodotta per gentile concessione dell’editore.

Ognuna di queste quattro parti produce residui di sparo, ovvero particelle microscopiche che si spandono nell’ambiente dopo l’esplosione del colpo. I proiettili e i bossoli possono proiettare frammenti metallici (principalmente piombo e rame). Le sostanze chimiche di cui è composta la polvere, bruciando, si trasformano in altre sostanze fra le quali spiccano i nitriti e i nitrati. Anche le miscele chimiche della capsula di innesco, soggette a bruschi innalzamenti di temperatura, subiscono modificazioni e vengono poi proiettate nell’ambiente. Ma la maggior parte di questi residui, benché prodotti da un evento di sparo, possono essere originati anche da altre cause. Piombo e rame si trovano in molti oggetti di uso quotidiano, come anche i nitriti e nitrati generati dalla combustione della polvere. Ma se vogliamo collegare una persona, un oggetto, un luogo, con certezza, a un evento di sparo, abbiamo bisogno di qualcosa che può essere originato solo da un evento di quel tipo.

Ed ecco allora che i residui prodotti dall’innesco diventano i candidati ideali. Chi non ha mai sentito la filastrocca Piombo-Bario-Antimonio? Rinvenire questi tre metalli addosso a un sospettato fa di lui il colpevole, dimostra che ha ucciso, ecco la prova regina che aspettavamo.

Ma di nuovo: non è così.

 

4. Scienza e diritto come facce di una sola medaglia

Quando conosco un avvocato sono quasi certo che, prima o poi, mi dirà: non mi è mai piaciuta la matematica. Del resto non c’è quasi traccia di insegnamenti scientifici nelle facoltà di giurisprudenza, se non per qualche bistrattato esame di medicina legale e un po’ di informatica giuridica. Al tempo stesso conosco gli scienziati, e la loro indifferenza per ogni forma di normazione umana, burocrazia, procedura che non sia stata validata in laboratorio. Del resto, ben difficilmente hanno avuto modo di studiare qualche forma di diritto.

Eppure, con le scienze forensi, non si può prescindere da nessuno dei due campi del sapere. La tenuta di una catena così strana è data, come sempre, dalla resistenza dell’anello più debole.

È così anche per i residui di sparo. Non si può prescindere dalla scienza, che deve studiare quanto di sua competenza.

Come, quando e dove si formano i GSR; la loro morfologia; la possibile origine da eventi diversi (fuochi d’artificio, freni, strumenti industriali); la persistenza sulle superfici; le possibilità di trasferimento; le modalità con cui vengono proiettati; la loro composizione chimica, visto che non tutti gli inneschi contengono Piombo, Bario o Antimonio.

Le eccezioni infatti non sono poche: le vecchie munizioni, quelle che provengono dai mercati dell’Est Europa, le americane senza piombo, certe tedesche con miscele moderne; nessuna di loro residua Piombo-Antimonio-Bario, quanto piuttosto Mercurio, Potassio, Alluminio, Titanio, Zinco, e molti altri elementi.

Ma uno scienziato che dovesse sentenziare: “È colpevole!”, quando tutte le sue ricerche hanno dato esito positivo, sarebbe un pericoloso ingenuo.

Anche il diritto infatti deve compiere le sue verifiche sul tipo di collegamento che si è venuto a creare, dopo il rinvenimento dei GSR, fra la persona e l’evento di sparo.

Il soggetto potrebbe essere stato solo presente, testimone dell’accaduto o perfino vittima. Potrebbe essere stato contaminato dalle forze di polizia intervenute, dalla pattuglia che lo ha accompagnato in Questura, ma anche dall’amante che lo ha abbracciato dopo aver salutato il marito assassino. E le particelle potrebbero essere frutto di un diverso evento di sparo.

Tutti i residui prodotti dalla stessa specie di inneschi sono simili fra loro, e quindi il sospettato potrebbe essere andato al poligono, a caccia, e perché no, anche a uccidere qualcun altro.

Insomma, pare proprio che anche i residui di sparo debbano togliersi la corona regale e tornare in riga con le altre prove, semplici pedoni allineati e coperti, in una scacchiera sulla quale si gioca una partita molto seria.

Letture consigliate

  1. Michele Frisia, Delitti e castighi, Dino Audino Editore 2019 https://www.audinoeditore.it/libro/9788875274306
  2. Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, edizioni varie (1764)
  3. N. J. Schweitzer e Michael J. Saks, The CSI Effect: Popular Fiction About Forensic Science Affects Public Expectations About Real Forensic Science, Jurimetrics 2007
  4. Heard J., Handbook of firearms and ballistics, Wiley Blackwell 2008