Patteggiamento: due importanti principi di diritto

Per il patteggiamento l’accordo deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio indicandone, quando previsto, la durata
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Patteggiamento: due importanti principi di diritto


Indice:

Patteggiamento: cenni introduttivi

Patteggiamento: consistenza del rito premiale

Patteggiamento: la soluzione di due contrasti giurisprudenziali


Patteggiamento: cenni introduttivi

Il rito speciale del “Patteggiamento” ha come scopo finalistico il garantire uno sviluppo processuale accelerato nei tempi, mediante l’omissione integrale della fase dibattimentale, con il consenso pieno dell’imputato. Il Patteggiamento, consentito e normato dagli articoli 444 e seguenti del Codice Procedura Penale, prevede che l’organo giudicante, a mezzo sentenza, applica quella pena che è oggetto di una concordata richiesta delle parti” ovverosia, l’imputato e la pubblica accusa (PM).

La ratio legis della pena concordata tra le parti processuali, definito patteggiamento nel linguaggio ordinario, risiede nell’intento di snellire e fluidificare l’intero percorso processuale, del quale permette un epilogo anticipatorio in forza dell’accordo sostanziale tra accusa e imputato, il quale per scelta libera e personale si sottomette alla sanzione penale, in tal modo evita l’approdo consequenziale – post indagini preliminari e relativa udienza – al dibattimento.

La funzione del giudice è di mero controllo: il vaglio si esplica sulla correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena richiesta. La decisione avviene rebus sic stantibus, ossia allo stato degli atti, cioè sulla base del fascicolo delle indagini e dell’eventuale fascicolo predisposto dal difensore, contenente tutta la documentazione relativa alle indagini difensive svolte.

Il fattore “snellente” o di semplificazione del rito punta sull’eliminazione del tratto dibattimentale e quindi dell’assunzione probatoria.

Ai fini decisori – la sentenza generalmente non è appellabile ma ricorribile in sede di legittimità – vengono utilizzati i verbali dell’attività di indagine.

L’esito premiale di questo istituto processuale è, sostanzialmente, la diminuzione della pena sino a un terzo, operante però solamente post calcolo di tutte le circostanze; la diminuente ha natura strettamente processuale, cioè a prescindere da ogni connessione con la gravità del fatto criminoso o con la personalità dell’imputato.

Nel rito speciale di cui all’articolo 444 Codice Procedura Penale, l’accordo delle parti processuali sulla pena detentiva della quale è stata richiesta la sospensione condizionale deve – necessariamente – estendersi agli ulteriori ed eventuali obblighi connessi per legge alla previsione del beneficio, indicando, se previsto, il tempo di durata.

In assenza di concorde patto su tali elementi, la sospensione non trova accoglimento, e, qualora per il suo valido riconoscimento sia stata subordinata la piena efficacia della medesima istanza di applicazione poena, la stessa deve essere necessariamente rigettata.

Il termine di durata dell’opera professionale e/o dell’attività non debitamente retribuita in favore della collettività, è sottoposto a limiti cumulativi, in particolare: a) quello di sei mesi, previsto e disciplinato dal combinato disposto degli articoli 18-bis, disp. coord. cod. pen. e 54, co. 2, Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274; b) se inferiore a sei mesi, quello stabilito dall’articolo 165, co. 1, Codice Penale, in relazione alla misura della pena sospesa.


Patteggiamento: consistenza del rito premiale

La possibilità di esperire la procedura di applicazione della pena su richiesta delle parti endoprocessuali necessita del raggiungimento dell’accordo tra le stesse.

Il possibile dissenso del PM (che ai sensi dell’articolo446, co. 6 Codice Procedura Penale, va motivato) non impedisce che venga applicata la pena ridotta se il giudice ritiene ingiustificato il diniego, reputando invece congrua la pena; a contraris, il dissenso dell’imputato rispetto alla proposta unilaterale del PM al patteggiamento, non è in alcun modo sindacabile.

Quando le parti producono al giudice il proprio accordo, o qualora il PM formuli davanti a tale organo la individuale proposta di patteggiamento, questi raggiungono l’irrevocabilità.


Patteggiamento: la soluzione di due contrasti giurisprudenziali

Le Sezioni Unite si pronunciano con la recentissima sentenza 27 gennaio - 15 giugno 2022 n.23400 a fronte dell’ordinanza di rimessione del 7 ottobre 2021.

Infatti la giurisprudenza della corte di legittimità non era pacifica né univoca nello specificare tutti i caratteri della “non opposizione” richiesta dall’articolo 165, co. 1 Codice Penale, al fine di subordinare la sospensione condizionale della pena alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività.

Secondo una prima linea di pensiero orientativa, la richiesta di patteggiamento di chi in passato ha già usufruito del beneficio, implica di per sé la sua non opposizione [1]. Un diverso e opposto orientamento vede la “non opposizione” come attività necessariamente manifestata personalmente dall’imputato, seppur il beneficio stabilito dall’articolo 163 Codice Penale viene concesso a persona che ne abbia precedentemente usufruito [2].

Tale netta disputa assume contorni ancora più complicati e fumogeni, quando la questione si riporta nel terreno impervio e particolare del patteggiamento ex articolo 444 Codice Procedura Penale, poiché a fianco alla “non opposizione” si “siede” quello del potere del giudice di imporre in modo perentorio ex officio, una condizione “straniera” all’accordo tra le parti.

Alla prima quaestio, le Sezioni Unite hanno risposto in modo negativo. Nel patteggiamento, l’accordo inter pares sull’applicazione di una pena detentiva [...] deve estendersi agli ulteriori obblighi connessi ex lege alla concessione del beneficio indicandone se previsto la durata […] in mancanza di pattuizione, la richiesta deve essere integralmente rigettata.

La seconda quaestio trae origine dalla circostanza che il co. 5, dell’articolo 54 del Decreto Legislativo n. 274 del 2000 – che prevede e disciplina il “lavoro di pubblica utilità” nel procedimento del giudice di pace, stabilendo che, ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione anche non continuativa, di “due ore di lavoro” – non risulta richiamato dall’articolo 18 disp. coord. Codice Penale.

Con gli arresti giurisprudenziali susseguitisi, le Sezioni Unite della Cassazione hanno definitivamente posto fine sul contrasto relativo ai termini di durata, individuando la soluzione esegetica nel fattore di durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività che soggiace sempre a due limiti massimi cumulativi: a) sei mesi (risultante dalla combinazione artt. 18-bis disp. coord. Codice Penale e 54 co. 2 Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274); b) inferiore ai sei mesi, termine previsto dall’articolo 165 co. 1 Codice Penale (non superamento della pena sospesa).

Per porre fine ai contrasti non sopiti le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento.

Illustrano in pratica che: la formulazione vigente delle due disposizioni è frutto delle modifiche apportate dall’articolo 2 co. 1 lett. a) e b), legge 11 giugno 2004, n. 145, che di fatto, ha integrato l’elenco degli adempimenti previsti dal primo comma dell’articolo 165, aggiungendovi la possibilità per il giudice di ordinare l’esecuzione di attività non retribuita in favore della collettività, ma solo se l’imputato non vi si opponga.

Successivamente il legislatore ha eliminato l’inciso finale del 2 co., posto che quantomeno la prestazione dell’attività non retribuita deve ritenersi sempre possibile, atteso che la sua esecuzione dipende esclusivamente dalla volontà dell’imputato di non opporvisi. Con le modifiche apportate dalla novella, per reiterare il beneficio, il giudice deve sempre subordinare la sospensione della pena quantomeno alla prestazione dell’attività non retribuita, e se, l’imputato vi si opponga, deve astenersi dall’accordarlo.

L’intenzione di rimettere alle parti la possibilità di non limitare l’accordo alla misura della pena, costituisce inequivocabile conferma dell’impostazione seguita dalla giurisprudenza di legittimità nel riconoscere nel negozio processuale un contenuto necessario” (nel merito dell’imputazione) e uno di segno “eventuale”.

Le Sezioni Unite evidenziano tutta l’elaborazione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità degli ultimi trenta anni in ordine ai rapporti tra base negoziale del rito del patteggiamento e potere decisionale del giudice, e ciò consente di affermare come l’equilibrio del modello processuale (rito premiale) consista nella necessaria corrispondenza tra le due componenti sopra menzionate.

Come affermano le Sezioni Unite il ruolo assegnato al giudice non è meramente notarile, considerato che nell’accogliere o rigettare la richiesta di patteggiamento egli esercita un potere squisitamente giurisdizionale.

Il suo “orizzonte decisorio” è però delineato dal contenuto dell’accordo raggiunto dalle parti, residuando in proprio favore ambiti cognitivi autonomi limitatamente a quei contenuti terziper loro natura o resi tali per espressa determinazione di legge, alla struttura negoziativa del rito di cui l’ampiezza varia, a causa del regime differenziato introdotto dalla legge n. 134 del 2003, in ragione dell’entità della pena sostanzialmente concordata.

La “polifonica armoniavariabile del potere decisionale del giudice (anche nel caso di patteggiamento allargato) dipende non solo dalla disciplina dettata dalla norma che la riguarda, ma inevitabilmente dalle scelte opzionali effettuate dalle parti.

Ad oggi, appare con maggiore nitidezza (chiarisce la Corte) come l’essenza del patteggiamento non si esaurisca solamente nella retribuzione premiale della rinuncia dell’imputato a contestare l’accusa e al contraddittorio in tema di prova, ma sia definita altresì dalla prevedibilità in concreto della decisione; ovverosia dalla possibilità offerta all’imputato stesso di avere il controllo sul contenuto della sentenza.

Se l’impianto negoziale del patteggiamento assicura la compatibilità costituzionale, in virtù del quadro schematico derogatorio di cui all’articolo 111 co. 5, Costituzione, è necessario che l’imputato nel disporre dei propri diritti costituzionali guarentigiati, possa determinarsi nella piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche della sua rinuncia [3]. Consapevolezza che non sussiste se la decisione che recepisce l’accordo sulla pena assume contenuti che trascendono quelli “patteggiati” o predeterminati dalla legge che, come tali, sono prevedibili dalle parti nel momento in cui concludono l’intero accordo.

È proprio alla superiore coscienza del valore incentivante e di garanzia della prevedibilità  della decisione che possono dunque attribuirsi le scelte operate dal legislatore nel tempo, al fine di ridurre gli spazi integratori della base negoziale espressamente attribuiti al giudice dall’assetto normativo in origine concepito; così come l’impegno riservato alle Sezioni Unite nel correggere interpretazioni emerse nella giurisprudenza competente nel merito e in quella riguardante le sezioni semplici e tese a riconoscerne ulteriori sfruttando la farraginosa e lacunosa formulazione dell’impianto originario.

Tutto questo in armonia con le coordinate esegetiche fornite dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo [4].

In definitiva, al giudice del patteggiamento non è consentito subordinare motu proprio la concessione della sospensione condizionale concordata dalle parti a uno degli obblighi previsti dall’articolo 165 Codice Penale, anche nel caso di reiterazione del beneficio, atteso che la scelta della prescrizione da imporre e la modulazione del relativo contenuto non sono elementi predeterminati dalla legge, ma rimessi alla discrezionalità decisoria, con conseguente sottrazione alle parti della possibilità di prevedere come verrà poi in concreto esercitato il relativo potere.

Ecco i due principi di diritto elaborati dalle Sezioni Unite:

“Nel procedimento speciale di cui all’articolo 444 del Codice di Procedura Penale, l’accordo delle parti sulla applicazione di una pena detentiva di cui viene richiesta la sospensione condizionale deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio indicandone, quando previsto, la durata, con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione pure su tali elementi, la sospensione non può essere accordata e, qualora al suo riconoscimento sia stata subordinata l’efficacia della stessa richiesta di applicazione della pena, questa deve essere integralmente rigettata”.

“La durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività soggiace a due limiti massimi cumulativi: quello di sei mesi, previsto dal combinato disposto degli articoli 18-bis disp. coord. trans. Codice Penale e 54 co. 2 Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274 e, se inferiore, quello stabilito dall’articolo 165 co. 1 Codice Penale, in relazione alla misura della pena sospesa”.

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[1] Vedi in tal senso: Cass., sez. VI, 2 febbraio 2021, n. 8535; sez. II, 29 settembre 2020, n. 29001; Sez. III, 22 ottobre 2019, n. 7604.

[2] In tal senso: Cass., Sez. I, 13 settembre 2019, n. 42073; sez. III, 10 maggio 2018, n. 26259.

[3] Cfr.: Corte cost., Sent. n. 394 del 2002, cit.

[4] Vedi fra tutte: Corte EDU, 29/04/2014, Natsvlishvili e Togonidze c. Georgia