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Art. 50

Intervento volontario in causa

1. L’intervento è proposto con atto diretto al giudice adito, recante l’indicazione delle generalità dell’interveniente. L’atto deve contenere le ragioni su cui si fonda, con la produzione dei documenti giustificativi, e deve essere sottoscritto ai sensi dell’articolo 40, comma 1, lett. d).

2. L’atto di intervento è notificato alle altre parti ed è depositato nei termini di cui all’articolo 45; nei confronti di quelle costituite  è notificato ai sensi dell’articolo 170 del codice di procedura civile.

3.Il deposito dell’atto di intervento di cui all’articolo 28, comma 2, è ammesso fino a trenta giorni prima dell’udienza.

Bibliografia. Aldo Travi, Lezioni di Giustizia Amministrativa, G. Giappichelli Editore, 2016, Luisa Torchia, Le nuove pronunce nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; Francesco Caringella e Marco Giustiniani, Manuale del processo amministrativo, Dike giuridica editrice, 2 ed. 2017, Roberto Garofoli-Giulia Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto editore, 2017, Francesco Caringella, Rosanna De Nictolis, Vito Poli Manuale di diritto processuale amministrativo, Dike giuridica edizione, II edizione 2009,  Oriana Sportelli, L’intervento nel processo amministrativo dopo il codice, sulle forme di intervento ammesse in giudizio: mantenimento dello status quo o cambio di rotta?, in www.ildirittoamministrativo.it ; Raffaele Tuccillo, Giudice amministrativo e provvedimenti del giudice civile: limiti, tecniche, accorgimenti, problematicità, in www.giustizia-amministrativa.it  Crisanto Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Tomi I e II, Giappichelli Editore 

 

Sommario. 1. L’intervento nel processo amministrativo: profili generali. 2. Profili sostanziali e processuali dell’intervento. 3. Interessi superindividuali e intervento. 4. Intervento nel giudizio di ottemperanza. 

 

1. L’intervento nel processo amministrativo: profili generali

L’intervento nel processo si sostanzia nell’ingresso di terzi in un giudizio già instaurato. 

Prima dell’entrata in vigore del Codice la disciplina dell’istituto era costituita:

1)dall’articolo 37 R.D. 17 agosto 1907, n. 642 a tenore del quale: “Chi ha interesse nella contestazione può intervenirvi. L’intervento è proposto con domanda diretta alla sezione adita. La domanda deve contenere le ragioni, con la produzione dei documenti giustificativi, e dev’essere sottoscritta dalle parti e dall’avvocato, o dal solo avvocato munito di mandato speciale. 

2) dall’articolo 22, comma 2, Legge 6 dicembre 1971, n. 1034: “Chi ha interesse nella contestazione può intervenire con l’osservanza delle norme di cui agli articoli 37 e seguenti del regolamento di procedura avanti alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, in quanto non contrastanti con la presente legge. La   domanda di intervento è notificata alle parti nel rispettivo domicilio di elezione e all’organo che ha emanato l’atto impugnato e deve essere depositata in segreteria entro venti giorni dalla data della notificazione”.

La giurisprudenza prevalente anteriore all’entrata in vigore del Codice dava delle norme richiamate una interpretazione restrittiva consentendo l’intervento solo a sostegno delle ragioni di una delle parti del processo da parte di un soggetto che non sia controinteressato destinato a trarre una qualche utilità giuridicamente apprezzabile dall’intervento medesimo. (intervento adesivo dipendente ad opponendum ovvero ad adiuvandum). 

Era, altresì, ammesso l’intervento del controinteressato pretermesso ovvero di colui al quale sarebbe dovuto essere notificato il ricorso introduttivo da parte del ricorrente che è venuto a conoscenza aliunde della pendenza del giudizio in una fase successiva alla sua instaurazione.

Era, infine, escluso l’intervento del cointeressato ovvero del soggetto che si trovava in posizione analoga a quella del ricorrente (Cons. St. sez. V, 26 ottobre 2004, n. 15428). 

Nelle materie devolute alla giurisdizione amministrativa in via esclusiva, vertente su diritti soggettivi, si riteneva ammissibile qualsiasi tipologia di intervento: autonomo, litisconsortile ovvero adesivo dipendente. (F. Caringella, Rosanna De Nictolis). 

In questo contesto si inserisce la riforma con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. 

Nel contesto del Codice la normativa di riferimento dell’intervento si rinviene in diverse disposizioni:

L’’articolo 28 CPA  rubricato “intervento” detta le regole generali dell’istituto, attraverso l’individuazione delle posizioni giuridiche soggettive che ne consentono e legittimano l’esercizio.

È evidente, dalla collocazione della norma (Libro I, Titolo III, dedicato alle azioni e domande, Capo I rubricato “Contraddittorio e intervento”) l’intento del legislatore vale a dire la necessità di assicurare il pieno rispetto del principio del contraddittorio consentendo a tutti i soggetti titolari di posizioni giuridiche soggettive incise, in via diretta o riflessa, dal gravato provvedimento di partecipare al processo.

Gli articoli 50 e 51 c.p.c., individuano, invece, le modalità attraverso le quali si attua l’intervento distinguendo l’intervento volontario (articolo 50 CPA) da quello disposto su ordine del giudice (articolo 51 CPA).  

Nel Codice si rinvengono, altresì, altre disposizioni che concorrono ad individuare la disciplina normativa dell’istituto: il riferimento è all’articolo 97 CPA (intervento nel giudizio di impugnazione), all’articolo 102, 2 comma, CPA (legittimazione a proporre appello), all’articolo 108, comma 1 (opposizione di terzo) ed all’articolo 109, comma 2 (competenza). 

 

2. Profili sostanziali e processuali dell’intervento. 

Dal punto di vista sostanziale, in presenza di un atto di intervento, il giudice amministrativo, su eccezione di parte ovvero d’ufficio, deve verificarne, preliminarmente al merito, l’ammissibilità.

Sotto questo profilo la giurisprudenza si è interrogata sulla trasposizione delle norme del codice di procedura civile e quindi sull’ammissibilità di qualsivoglia tipologia di intervento.

Nel processo civile il codice di rito disciplina tre tipologie di intervento: l’intervento volontario (articolo 105, c.p.c.), l’intervento su istanza di parte (articolo 106 c.p.c.) e l’intervento su ordine del giudice (articolo 107 CPA). 

L’articolo 105 c.p.c. dispone che: “1. Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. 2.Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse”.

In forza della norma richiamata nel processo civile l’intervento volontario può essere:

1)Intervento volontario principale: il terzo interviene per far valere un proprio diritto “in confronto di tutte le parti” (art 105, 1 comma 1, c.p.c.).Il terzo assume, quindi, una posizione autonoma nei confronti di tutte le altre  parti del processo. 

2)Intervento litisconsortile (o adesivo autonomo) per far valere un diritto “in confronto di alcune di esse” (articolo 105, comma 1, 1 parte, c.p.c.). In questo caso il terzo assume una posizione autonoma nei confronti di una o di alcune delle parti.

3)Intervento adesivo dipendente: il terzo interviene “per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse” (articolo 105, comma 2, CPA). Questo tipo di intervento si caratterizza per il fatto che l’interveniente non fa valere un proprio diritto ma si limita ad aderire alla domanda di una delle parti auspicandone la vittoria. (Crisanto Mandrioli).

Nel codice del processo, come si evince dalla lettura delle norme di riferimento, sono ammessi solamente l’intervento volontario (articolo 50 CPA) e l’intervento su ordine del giudice (articolo 51 CPA).

Quanto alle tipologie di intervento volontario la giurisprudenza, nel ribadire le prese di posizioni assunte sotto la vigenza della disciplina previgente al Codice, è costante nell’ammettere nel processo impugnatorio il solo intervento volontario adesivo dipendente a sostegno delle ragioni del resistente (intervento adesivo dipendente ad opponendum) ovvero del ricorrente (intervento adesivo dipendente ad adiuvandum) alle seguenti condizioni:.

1)il giudice amministrativo deve accertare il titolo legittimante l’intervento in astratto, in base alla effettiva causa petendi quale si desume dal complesso delle difese del soggetto ricorrente, e non già in concreto all’esito del giudizio;

2)l’indagine di cui al punto precedente deve dar conto della presenza cumulativa di due requisiti:

2-A) il primo, di carattere negativo: consistente “nella alterità dell’interesse vantato dall’interventore rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale ovvero alla partecipazione nel giudizio come parte resistente ovvero controinteressato”.

Per l’intervento ad opponendum è sufficiente la titolarità di un interesse di fatto diverso da quello del resistente o controinteressato: “nel processo amministrativo di primo grado, per l’intervento svolto ad opponendum; è sufficiente la titolarità di un semplice interesse di fatto”.

Per l’intervento ad adiuvandum, invece, si richiede un quid pluris consistente “nella titolarità di una posizione giuridica dipendente da quella dedotta dal ricorrente in giudiziio ed a essa accessoria”. non tutelabile in via principale e diretta.

2-B) il secondo requisito, di ordine positivo, esige che l’interventore sia in grado di ricevere un vantaggio, anche in via mediata e indiretta, dall’accoglimento del ricorso principale; 

(cfr. Cons. St., sez. III, 4 febbraio 2016, n. 442 Consiglio di Stato, Ad. plen., n. 23 del 2016; n. 9 del 2015; n. 1 del 2015; n. 2 del 1996; Sez. III, n. 442 del 2016; Sez. V, n. 1640 del 2012; sez. V, n. 1445 del 2011; Sez. IV, n. 8363 del 2010; Sez. IV, n. 5244 del 2009).

Quanto all’intervento ad adiuvandum la giurisprudenza prevalente opina per l’inammissibilità dello stesso spiegato da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale.

A fondamento dell’assunto si valorizza il fatto che in tale ipotesi l’interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all’impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali.

Sul punto, merita di essere segnalata  quella giurisprudenza che, in omaggio al principio della raggiungimento dello scopo, ritiene: “se un soggetto, legittimato a proporre direttamente impugnazione, propone invece un atto di intervento ad adiuvandum, tale atto, se notificato e depositato nei termini, può essere convertito in atto di assunzione in proprio del ricorso al quale si era aderito in applicaizone del principi ofgenerale di conversione negozizle di cui all’articolo 1424 c.c. applicabile agli atti processuali”  F. Caringella e Marco Giustiniani, cfr. Cons. St., sez. III, 30 aprile 2014, n. 2280).

Da un punto di vista procedurale: l’articolo 50 CPA richiede che l’atto di intervento venga proposto al giudice davanti al quale pende la controversia principale. 

L’atto di intervento deve contenere, al pari di quanto previsto per il ricorso introduttivo, le generalità dell’interventore, le ragioni su cui si fonda, la sottoscrizione della parte, il patrocinio del difensore e la relativa procura (a norma degli artt 22, comma 2, e 24 CPA). 

L’atto di intervento, altresì, deve essere notificato a tutte le altre parti, costituite e non, nel giudizio principale. 

La notifica va effettuata secondo le formalità prescritte dall’articolo 50, 2 comma, CPA con la conseguenza che per le parti costituite vanno rispettate le disposizioni di cui all’articolo 170 c.p.c.

L’intervento non notificato è inammissibile (Tar Bari, sez. II, 5 giugno 2012, n. 1099, Tar Toscana, sez. III, 22 dicembre 2015, n. 1767). 

L’atto di intervento, espletate le formalità della notifica, deve essere depositato presso la segreteria del giudice adito.

A tal fine il Codice prevede che il deposito dell’atto di intervento avvenga entro un doppio termine: ai sensi dell’articolo 50, comma 2, CPA (nel rinviare all’articolo 45 CPA)  l’atto deve essere depositato nella segreteria del giudice adito entro trenta giorni dalla notificazione e, comunque, a norma del 3 comma dell’articolo 50, CPA,  non oltre trenta giorni prima dell’udienza fissata per la discussione del ricorso.  

Tali termini come chiarito dalla giurisprudenza, sono previsti a pena di decadenza.

Il deposito tardivo, pertanto, non è sanabile ex post dall’acquiescenza delle altre parti processuali.

In tal senso si veda Cons. St., sez. v, 22 marzo 2012, n. 1640: “nel processo amministrativo la tardività del deposito dell’atto di intervento in giudizio non è sanabile ex post, per acquiescenza delle controparti, in quanto i termini perentori sono espressivi di un precetto di ordine pubblico processuali essendo posti a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice”. 

 

3. Interessi superindividuali e intervento

Ci si è interrogati, in dottrina e giurisprudenza, in ordine all’ammissibilità dell’intervento nel processo da parte di Enti rappresentativi di interessi collettivi ovvero preordinati alla tutela di beni a fruizione collettiva.

La giurisprudenza prevalente opina per l’ammissibilità dell’intervento a tutela di interessi superindividuali.

A fondamento dell’assunto si valorizza: 1) il riconoscimento, legislativo e giurisprudenziale, della legittimazione a ricorrere in capo agli enti rappresentativi di interessi superindividuali.

Sotto questo profilo merita di essere segnalata la sentenza del 20 febbraio 2020, n. 6,  con cui il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, ha ribadito la piena  legittimazione ad agire in giudizio, accanto agli Enti associativi  esponenziali  iscritti negli appositi elenchi (associazioni a tutela del consumatore e in materia ambientale),  degli Enti esponenziali spontanei  purché in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza: a)esistenza di una stabile organizzazione idonea allo svolgimento dell’attività di protezione degli interessi su beni a fruizione collettiva;

b) le finalità statutarie dell’Ente: l’ente deve avere come scopo, non esclusivo ma prevalente, la tutela dell’interesse collettivo di cui si assume portatore;

c)la “vicinitas”: l’ente deve operare nell’area ove è localizzato il bene a fruizione collettiva asseritamente leso dall’azione amministrativa e della cui protezione si fa carico l’associazione. 

(Ad. Plen. 24/1979 e Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182).

2) le disposizioni di cui agli articoli 28 e 50 CPA come interpretati dalla giurisprudenza prevalente. 

Deve, pertanto, ritenersi ammissibile l’intervento adesivo dipendente, tanto quello ad opponendum che quello ad adiuvandum a condizione che in ambito processuale venga accertata la presenza cumulativa delle condizioni di ammissibilità individuate dalla giurisprudenza: a) diversità tra l’interesse dell’interveniente, rispetto a quello vantato dal ricorrente ovvero dal resistente e/o controinteressato; b) possibilità per l’interveniente di conseguire un’utilità giuridicamente apprezzabile. 

 

 4. Intervento nel giudizio di ottemperanza

Si discute in ordine all’ammissibilità dell’intervento nel giudizio di ottemperanza. 

In senso negativo si è espressa parte della giurisprudenza.

In particolare è stato dichiarato inammissibile l’intervento di altro creditore nel giudizio di ottemperanza. Così Tar Campania, Napoli, 25 maggio 2017, n. 3603 per cui “nel giudizio di ottemperanza è inammissibile l’intervento adesivo autonomo cioè l’intervento già instaurato da altri volto a far valere lo stesso interesse sotteso nel ricorso principale e l’intervento in un giudizio per far valere un interesse o un diritto diverso da quello azionato con il ricorso principale ma con questo connesso”

Altro orientamento opina diversamente ritenendo che il problema vada risolto alla luce delle norme codicistiche di riferimento (articolo 28 e art 50 CPA). 

Il Cons. Stato, sez. IV, con la sentenza del 30 novembre 2010, n,. 8363 si è espresso per l’esperibilità dell’intervento nel giudizio di ottemperanza nel rispetto degli articoli 28 e 50 CPA così come interpretati dalla giurisprudenza giusto il rinvio interno ex articolo 38 CPA. : “è sufficiente evidenziare che le disposizioni concernenti  l’intervento del terzo (art 50 e 51 CPA che richiamano esplicitamente l’articolo 28),e dunque le norme che ne postulano l’ammissibilità, in quanto costitutive dell’archetipo processuale disegnato dal libro II° del codice, sono state estese dall’articolo 38 CPA a tutte le tipologie di giudizi (impugnazioni e riti speciali) salvo che una disposizione espressa (contenuta nelle rispettive sedes materiae), non vi si opponga; circostanza questa che non ricorre nel giudizio di ottemperanza contemplato, all’interno del libro IV° del codice – ottemperanza e riti speciali – dalle disposizioni introdotte dagli articoli 112-115 che non prevedono alcuna deroga in proposito” . 

Secondo l’orientamento da ultimo citato l’intervento in giudizio potrà essere esperito anche in sede di ottemperanza nel rispetto degli articoli 28 e 50 CPA e quindi si potrà intervenire nella sola forma dell’intervento adesivo dipendente.

 

Il punto di vista dell’Autore 

L’analisi dell’articolo 50 CPA, nei suoi sviluppi teorici e giurisprudenziali, dimostra come il legislatore del 2010, abbia ritenuto opportuno dettare disposizioni specifiche per l’intervento attese le peculiarità del processo amministrativo caratterizzato dalla spendita a cura di una delle parti processuali di potere pubblicistico. L’importanza della norma passa attraverso la lettura di una recente sentenza del Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato, sez. IV, n. su ricorso n. rg. 03638/2019, che nell’esaminare l’ammissibilità dell’intervento ad opponendum depositato da Codacons e Associazione Articoli 32-97, conclude per la tardività dello stesso per effetto del mancato rispetto dell’articolo 50, comma 3, e articolo 87, comma 3, CPA.