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Art. 51

Intervento per ordine del giudice

1. Il giudice, ove disponga l’intervento di cui all’articolo 28, comma 3, ordina alla parte di chiamare il terzo in giudizio, indicando gli atti da notificare e il termine della notificazione.

2. La costituzione dell’interventore avviene secondo le modalità di cui all’articolo 46. Si applica l’articolo 49, comma 3, terzo periodo.

Bibliografia. Saitta F, Giustizia amministrativa, Padova, 1993; Abbamonte G. Laschena R., Giustizia amministrativa, Bologna, 1997; Gisondi R., Nuovi strumenti di tutela nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 2011.

 

Sommario. 1. Il “terzo” nel processo amministrativo. 2. La giurisprudenza.

 

1. Il “terzo” nel processo amministrativo

Va premesso che rispetto al “terzo” nel giudizio civile ed in quello penale, il ruolo esplicato dal terzo nel processo amministrativo assume carattere peculiare in ragione delle stesse specifiche sembianze del processo stesso.

Nel giudizio penale, invero, la posizione di terzo è difficilmente individuabile: al più vi è un soggetto estraneo ai fatti, in qualche modo interessato, sia pure in via mediata, ovvero per le conseguenze civili che il fatto criminoso può aver prodotto, che si identifica nella parte civile. Ben diversa l’idea nel giudizio civile: questo, essendo un giudizio di parti in cui viene condensata una vicenda biunivoca, ammette l’esistenza di terze persone, estranee ai soggetti tra i quali è intercorsa la singola quaestio iuris che abbiano comunque un interesse riflesso, o collaterale, a quello dell’attore e del convenuto.

Il giudizio amministrativo, per la particolare caratura dei soggetti che lo animano, si presta bene ad accogliere la figura di terzi, sebbene ciò avvenga in modo “anomalo” ricomprendendoli tra le parti stesse. Basti pensare ai controinteressati: questi assumono la qualifica di terzi in tutti i casi in cui si faccia riferimento a tale concetto, pur essendo da sempre classificati come parti necessarie accanto al ricorrente e al resistente. Nel processo amministrativo non vi è quella vicenda confinata come nel civile, e la platea di soggetti coinvolti è più estesa per la presenza del soggetto pubblico. I poteri pubblici sono tali e tanti da rendere proteiforme il concetto stesso di parte.

Formalmente i controinteressati sono coloro a cui il ricorso viene notificato, ma sostanzialmente risultano coloro che hanno un interesse attuale e contrario a quello perseguito dal privato.

Da un lato può risultare meramente pretermesso. Il ricorrente principale in sostanza ha omesso la notificazione del ricorso nei suoi confronti, sempre che per potersi ammettere il ricorso medesimo ai sensi dell’articolo 27 comma 2 CPA, vi sia stata l’evocazione di almeno uno dei controinteressati. In tal caso sarà il giudice ad ordinare, ex articolo 49 comma 2, l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti. Il controinteressato, tuttavia, può risultare altresì sopravvenuto. È in ciò che si percepisce l’evoluzione del modo di intendere il giudizio amministrativo, quale vicenda incentrata più che sull’atto sic et simpliciter, sullo stesso rapporto, nel suo svolgersi cronologico. Ebbene nel dipanarsi di quest’ultimo è possibile che il controinteressato assuma tale status solo successivamente, per effetto di un provvedimento ulteriore conseguente alla conclusione di un procedimento autonomo.

Ad esso, al pari del controinteressato occulto, deve essere garantita una forma di tutela che gli consenta l’ingresso nel giudizio, una volta che è già incardinato ed avanzato, senza che tale successiva entrata lo collochi in una posizione svantaggiosa. Occulto è il controinteressato sostanzialmente tale ma difficilmente individuabile. Non sempre, infatti, risulta agevole identificare il terzo nell’ambito di un giudizio, quale per l’appunto quello amministrativo, dotato di una potenziale vis expansiva. 

Nell’ipotesi di controinteressati sopravvenuti e, più in particolare pretermessi, le chances di tutela da questi esperibili si indirizzano su due fronti.

In primo luogo è ammessa ed espressamente codificata la possibilità di intervenire.

L’articolo 28 individua tre tipi di intervento: uno attuabile (comma 1) dalle “parti” non intimate, nel significato “atecnico” che il termine “parte” assume; uno di tipo volontario (comma 2) e un terzo (comma 3; articolo 51) iussu iudicis. Rimedio più drastico è rappresentato invece dall’ulteriore chance dell’opposizione di terzo prevista dall’articolo 108. Anche in tal caso la previsione nasce sulla scia dell’analogo istituto di cui all’articolo 404 c.p.c., nell’intento di colmare la lacuna che in precedenza caratterizzava il giudizio amministrativo.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 177/1995 si è pronunciata sul punto dichiarando la illegittimità costituzionale delle previsioni della Legge Tar nella parte in cui non consentivano il rimedio dell’opposizione di terzo in sede amministrativa. Con questa il rimedio straordinario dell’opposizione di terzo viene riconosciuto a favore dei controinteressati pretermessi, sopravvenuti, ignoti, nonché per i soggetti che siano rimasti estranei al rapporto processuale e ciononostante dispongano di una situazione giuridica autonoma e incompatibile con quella del ricorrente principale.

Si escludono del tutto i cointeressati, i quali avrebbero dovuto al più proporre un autonomo ricorso principale, e i titolari di interessi di mero fatto e di situazioni giuridiche derivate.

Vi è però una particolare differenza tra l’istituto previsto dall’articolo 404 nel processo civile e quello di cui al 108 nel processo amministrativo. Il primo, infatti, è un rimedio straordinario e facoltativo, da proporre in alternativa al giudizio principale. In sede amministrativa, per contro, pur se drastico, rappresenta una soluzione “obbligata” sol se si pensa al tipico oggetto del giudizio amministrativo. Vertendo su un provvedimento, la pronuncia costitutiva di annullamento dello stesso ha efficacia erga omnes, ovvero nei confronti di quanti siano interessati da esso. Ne discende che l’intervenuto giudicato preclude al terzo qualsiasi altra possibilità rimediale.

Una considerazione, questa, strettamente legata sia all’interpretazione originaria del rimedio, possibile solo avverso sentenze passate in giudicato, e alla struttura tradizionale del giudizio amministrativo, di tipo impugnatorio (caducatorio).

Tale configurazione, oggi, non è più la sola ammessa, perché la riconosciuta atipicità delle azioni amministrative e l’ampliamento della categoria delle stesse ha risentito della necessità, di assicurare una tutela effettiva ai terzi latu sensu intesi.

L’evoluzione dell’oggetto del giudizio, verso il rapporto, non si percepisce solo con riguardo alla delineazione di varie tipologie di controinteressati.

Il riferimento, in particolare, è all’azione di accertamento; è stata proprio la posizione del terzo ipoteticamente leso da una D.I.A. a far sorgere la necessità di individuare un rimedio diverso e ulteriore rispetto ai tradizionali, al contempo satisafttivo per lo stesso. Il privato controinteressato che si lamenta degli effetti sfavorevoli derivanti da un’attività intrapresa sulla base di una D.I.A. illegittima risulta avere pochi margini di manovra. Poco efficace è la via della diffida alla P.A. volta a sollecitare il suo potere di autotutela; parimenti è improponibile un’azione impugnatoria avverso la D.I.A. in quanto atto privato di liberalizzazione. L’unico modo per tutelare adeguatamente la posizione del terzo è un’azione di accertamento autonomo volta a constatare, da parte del G.A., la mancanza dei presupposti legittimanti l’attività intrapresa. Accertamento cui farà seguito l’obbligo per la P.A. di rimuovere gli effetti della condotta lesiva posta in essere dal privato.

Ancora, il ruolo del terzo è preso in considerazione altresì in sede di ottemperanza. Occorre però, per capire il tipo di rimedio attivabile dallo stesso, tener conto del carattere di cui si ritiene dotato il giudizio di ottemperanza. Ritenerlo dotato di natura cognitoria, infatti, renderebbe del tutto possibile esperire l’opposizione di terzo ordinaria avverso le sentenze emesse in esito allo stesso. Concludere per il carattere eminentemente esecutivo del relativo giudizio, invece, obbligherebbe a percorrere la strada dell’opposizione di terzo all’esecuzione di cui all’articolo 619 c.p.c.. Molto dipende dal tipo di statuizioni adottate dal giudice in sede di ottemperanza: ove queste siano rivolte alla determinazione della portata nonché dei limiti dell’obbligo attuativo della P.A., è difficile negarne attitudine cognitoria escludendo l’esperibilità dell’opposizione di terzo.

 

2. La giurisprudenza

La giurisprudenza ha ritenuto che nell’ambito della disposizione in esame possa operare anche l’istituto della chiamata del terzo in garanzia (Cons. St., IV, 11.3.2013 n. 1468). Sempre in giurisprudenza si evidenzia poi che l’intervento iussu iudicis non possa essere impiegato per immettere in termini le parti: “il ricorso giurisdizionale amministrativo deve essere notificato, a pena di inammissibilità, ad almeno uno dei controinteressati, trattandosi di un onere minimo imprescindibile per la stessa costituzione del rapporto processuale, e il giudice amministrativo non è legittimato a disporre l’integrazione del contraddittorio nel caso in cui il ricorso non sia stato ritualmente e tempestivamente notificato al controinteressato, né gli è consentito utilizzare i poteri previsti dall’articolo 51 CPA, non potendo in tal modo supplirsi ad errori, omissioni o carenza del ricorrente” (Cons. St., V, 13.9.2013 n.4530).

 

Il punto di vista dell’Autore

La figura del terzo, nella sua “dinamicità” non essendo inquadrabile in una sola forma, amplia le parti del processo amministrativo divenendo espressione tangibile di quella forza espansiva propria del giudizio stesso correlata alla presenza dell’amministrazione pubblica e dell’atto assunto nell’interesse pubblico in grado di incidere, o solo scalfire, plurimi interessi privati.