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Art. 64

Disponibilità, onere e valutazione della prova

1. Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.

2. Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite.

3. Il giudice amministrativo può disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione.

4. Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento e può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo.

Bibliografia. Follieri, Il principio di non contestazione nel processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, 2012; Police, I mezzi di prova e l’attività istruttoria in Il nuovo diritto processuale amministrativo, 2014; Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, 2010.

 

Sommario. 1. Onere probatorio incombente sulla parte. 2. Poteri ufficiosi del giudice. 3. I fatti non contestati dalle parti costituite in giudizio. 4. Il fatto notorio. 5. La valenza del parere pro veritate. 6. Il comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo. 7. L’onere della prova in materia elettorale.

 

1. Onere probatorio incombente sulla parte

In base all’articolo 64 CPA, la parte ricorrente è tenuta a dimostrare i fatti rientranti nella propria sfera di controllo e a fornire almeno un inizio di prova con riferimento a quelli che sono nell’esclusiva disponibilità dell’Amministrazione (T.A.R. Campania, Napoli sez. III, 01 aprile 2019, n.1781).

In base all’articolo 64 c. proc. amm., spetta in via di principio alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle rispettive domande ed eccezioni, mentre il potere acquisitivo del giudice amministrativo può essere esercitato unicamente per sopperire ad uno squilibrio tra le parti, qualora la parte privata sia impossibilitata ad assolvere all’onere probatorio relativamente a documentazione in possesso della p.a. (T.A.R. Campania, Napoli sez. III, 06 luglio 2016, n.3394).

La dottrina ha osservato che affinchè si possa sollecitare il giudice ad avvalersi dei poteri istruttori ufficiosi (in deroga al potere dispositivo), occorre in ogni caso che la parte privata adduca seri e consistenti elementi in ordine ai fatti che intenda – ma in concreto non riesca a – dimostrare. In questo senso è necessario che la parte alleghi i fatti da provare. SI distingue, inoltre, l’allegazione primaria dalla allegazione secondaria. La prima riguarda i fatti principali, ossia quelli costitutivi della pretesa fatta valere in giudizio dalla parte; la seconda i fatti la cui dimostrazione permetta di verificare la sussistenza dei fatti principali (Police, I mezzi di prova e l’attività istruttoria in Il nuovo diritto processuale amministrativo, 2014).

Altra dottrina ritiene che la parte deve sicuramente allegare i fatti principali; tale onere, tuttavia, riguarderebbe anche quelli secondari, posto che diversamente il giudice, qualora procedesse autonomamente a introdurli nel giudizio, perderebbe la sua neutralità (Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, 2010).

 

2. Poteri ufficiosi del giudice

Atteso che il provvedimento impugnato e gli atti del procedimento amministrativo relativo sono per definizione “indispensabili” al giudizio, la mancata produzione da parte dell’amministrazione non comporta decadenza, sussistendo il potere-dovere del giudice di acquisirli d’ufficio. La mancata acquisizione d’ufficio da parte del giudice può essere ben supplita con i poteri ufficiosi del giudice di appello, ex articolo 46 comma 2, cod. proc. amm., applicabile senz’altro in grado di appello senza che si incontri la preclusione ai nova in appello recata dall’articolo 104 comma 2, cod. proc. amm., essendovi per definizione un’indispensabilità, sotto il profilo probatorio, del provvedimento impugnato e degli atti del relativo procedimento. Per tali ragioni, devono desumersi argomenti di prova ai sensi dell’articolo 64, comma 4 cod. proc. amm. dal comportamento inerte della Amministrazione che non abbia adempiuto l’ordine di esibizione degli atti ai fini del difetto di istruttoria (T.A.R. Puglia, Bari sez. I, 09 giugno 2016, n.723).

Nel processo amministrativo, ai sensi degli articoli 63 e 64 CPA, il c.d. principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova postula che l’interessato debba avanzare almeno un principio di prova affinché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori ufficiosi; di conseguenza le parti del processo amministrativo sono tenute a fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità e che riguardino i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni (T.A.R. Piemonte, Torino sez. II, 16 aprile 2015, n.595).

In considerazione dei numerosi e articolati poteri istruttori ufficiosi, tuttora riconosciuti dal Codice al giudice amministrativo, la dottrina ha affermato che tale giudice continua a rimanere il “signore della prova”, secondo la felice espressione utilizzata dal Nigro. Giova comunque ribadire che siffatti poteri ufficiosi sono ammissibili solo nei limiti dell’oggetto della controversia, come risultante dal thema decidendum definito dalle domande ed eccezioni delle parti e delle relative allegazioni. Debbono, pertanto, reputarsi vietate le eventuali iniziative inquisitorie del giudice aventi carattere c.d. “esplorativo” (Police, op. cit.).

 

3. I fatti non contestati dalle parti costituite in giudizio

Il comma 2, dell’articolo 64 del CPA dispone che “salvi i casi previsti dalla legge il Giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”. Se nel giudizio di ottemperanza non viene prodotto il certificato del cancelliere (articolo 124 delle disp. Att. del c.p.c.), la prova del passaggio in giudicato può essere acquisita con altri mezzi istruttori, tra cui la mancata contestazione di una delle parti, stante il principio dispositivo con metodo acquisitivo che permea il processo amministrativo e il principio generale di economia processuale e soccorso istruttorio, che impongono di evitare superflue declaratorie di inammissibilità, che si traducono in inutili oneri per le parti e l’amministrazione della giustizia (Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 04 giugno 2018, n.332).

Nel caso in cui nel corso del giudizio di primo grado la ricostruzione della vicenda contenziosa non sia stata contestata dalle parti in grado di appello i fatti oggetto del giudizio devono considerarsi definitivamente accertati in applicazione della preclusione di cui all’articolo 64 comma 2, CPA (Consiglio di Stato sez. IV, 04 marzo 2016, n.888).

In forza del disposto di cui all’articolo 64 comma 2, CPA, i fatti non contestati devono essere posti a fondamento della decisione, senza che residui alcuna discrezionalità per il giudicante, cosa che è invece consentita solo dall’ultimo comma dell’articolo 64 secondo cui il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento e può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo. Peraltro, la collocazione topografica del disposto dell’articolo 64 comma 2, CPA deve portare a ritenere che, nell’ambito del processo amministrativo, i fatti non contestati confluiscono nel concetto di prova, menzionato nel comma 1 dell’articolo 64, con la conseguenza che una volta che la parte abbia adempiuto al suo onere di allegazione, la non contestazione della resistente Amministrazione costituita fa assurgere a prova piena quanto detto dalla parte ricorrente, senza che al riguardo al giudice sia consentito di fare ricorso ai suoi poteri acquisitivi per accertare quanto non oggetto di contestazione (T.A.R. Campania, Napoli sez. VII, 30 marzo 2015, n.1852).

Circa i limiti dell’onere di contestazione, la dottrina ha osservato che, dall’onere delle parti di fornire gli elementi che sono nella loro disponibilità (ai sensi del comma 1 della disposizione), si ricaverebbe la regola secondo cui la non conoscenza di un fatto risulterebbe equivalente alla indisponibilità di elementi riguardanti il fatto stesso, con la conseguenza che i fatti non conosciuti, non essendo nella disponibilità della parte, esulerebbero dall’onere di contestazione (Follieri, Il principio di non contestazione nel processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, 2012).

 

4. Il fatto notorio

Sebbene l’articolo 64 non richiami l’articolo 115, 2 comma c.p.c., si ritiene che anche il giudice amministrativo può porre a fondamento della propria decisione un fatto notorio il quale, secondo giurisprudenza, rappresenta una deroga al principio dispositivo e alla garanzia del contraddittorio, poiché introduce nel processo prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, sicché va adottata una nozione rigorosa di fatto notorio che lo qualifichi quale fatto acquisito alla conoscenza della collettività (anche del solo luogo ove esso è invocato) con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile (Consiglio di Stato sez. VI, 08 luglio 2011, n.4102).

 

5. La valenza del parere pro veritate

Ai fini della confutazione dei giudizi resi dalla Commissione di concorso è irrilevante la presentazione di pareri pro veritate, atteso che spetta in via esclusiva (e soggettivamente pregnante) alla Commissione la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi, non essendo consentito al giudice della legittimità - a meno che non ricorra l’ipotesi residuale della abnormità - di sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale e il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia de qua agitur (Consiglio di Stato sez. V, 02 ottobre 2019, n.6591).

L’intangibilità dell’operato della commissione esaminatrice sotto il profilo tecnico-valutativo, rimane tale, anche in presenza di un parere pro-veritate diretto a confutare il predetto giudizio sotto il profilo della bontà tecnica: da un lato, il giudizio di un esperto non è, di per sé, idoneo a dare prova di manifesta illogicità, irragionevolezza, incongruenza, contraddittorietà o travisamento fattuale, e, d’altro lato, detto esperto, designato ex post dallo stesso soggetto interessato, non può essere in grado di esprimere giudizi equiparabili a quelli dell’organo esaminatore in sede collegiale: la relazione tecnica di parte, concernente la preparazione del candidato, non è infatti idonea ad assumere lo stesso valore dell’elaborato d’esame inteso come atto “irripetibile”, stante il particolare contesto in cui viene svolto, caratterizzato da elementi valutativi unici quali il complessivo andamento delle prove d’esame effettuate da tutti i candidati e soprattutto l’anonimato degli elaborati (T.A.R. Sicilia, Palermo sez. II, 14 dicembre 2018, n.2663).

I pareri pro veritate costituiscono elementi di prova attraverso i quali la parte ricorrente adempie all’onere imposto dall’articolo 64, comma 1, CPA Come tali, i suddetti pareri non soltanto sono ammissibili ma si devono ritenere indispensabili, nella generalità dei casi, ai fini dell’esito del ricorso proposto avverso le determinazione di una commissione giudicatrice nell’ambito di un concorso pubblico. Tuttavia, affinché i pareri pro veritate acquistino rilievo, sono necessarie due condizioni, una esterna e una interna: per un verso, è necessario che gli elaborati giudicati insufficienti non presentino lacune o difetti talmente gravi ed evidenti da frustrare immediatamente ogni sforzo difensivo; per altro verso, i pareri possono essere considerati credibili solo se si presentano equilibrati, completi e non reticenti su eventuali punti deboli degli scritti del candidato (T.A.R. Lombardia, Brescia sez. II, 09 novembre 2012, n.1781).

 

6. Il comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo

In base all’articolo 64, comma 4, CPA, il giudice può desumere argomenti di prova, in generale, dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo e, in particolare, dalla mancata esecuzione delle ordinanze istruttorie. Pertanto, fermo restando il diritto della parte ricorrente ad adottare le strategie processuali che ritiene più opportune, con l’osservanza tuttavia dei fondamentali doveri di lealtà e collaborazione, nonché di correttezza e buona fede (articolo 88 c.p.c.), ai fini anche della realizzazione del giusto processo, va nondimeno considerato che l’inerzia della parte ricorrente di fronte alla sollecitazione derivante dall’ordinanza istruttoria del G.A. integra un comportamento concludente che dimostra inequivocabilmente un disinteresse, che è ostativo alla pronuncia nel merito (T.A.R. Campania, Napoli sez. III, 13 novembre 2019, n.5354).

Nel processo amministrativo, la mancata ottemperanza, da parte della P.A., alla richiesta rivoltagli dal giudice in sede istruttoria di fornire documentati chiarimenti, rileva come comportamento omissivo del tutto ingiustificato e tale, pertanto, da indurre a fare applicazione del disposto dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 64, comma 4, CPA che - in analogia a quanto previsto relativamente ai giudizi civili dall’articolo 116 comma 2, c.p.c. - autorizza il G.A. a desumere argomenti di prova dal contegno processuale delle parti; invero, la P.A. - sebbene abbia la più ampia facoltà di costituirsi in giudizio e di scegliere la propria strategia difensiva - ha anche un preciso dovere giuridico di adempiere agli incombenti istruttori disposti dal G.A., in quanto l’ordine istruttorio viene diretto alla P.A. non in qualità di parte processuale, bensì in quanto Autorità pubblica, che deve collaborare con il giudice al fine di accertare la verità dei fatti (T.A.R. Campania, Napoli sez. V, 11 novembre 2019, n.5319).

Nel processo amministrativo lo strumento previsto dall’articolo 116 c.p.c. (circa gli argomenti di prova che il giudice può desumere dal contegno delle parti), riprodotto dall’articolo 64, comma 4, CPA, può essere utilizzato in assenza di costituzione della p.a. soltanto ove questa sia stata compulsata dal giudice amministrativo, mediante ordinanza istruttoria, a prendere posizione sui fatti di causa ed in base alla regola dell’eadem ratio, si deve ritenere che siffatto mancato riscontro determini l’applicabilità, altresì, del principio di non contestazione ex articolo 64, comma 2, CPA (T.A.R. Veneto, Venezia sez. II, 16 ottobre 2019, n.1094).

 

7. L’onere della prova in materia elettorale

L’onere di esporre i motivi specifici su cui si fonda il ricorso elettorale deve essere valutato con rigore attenuato, posto che l’interessato, non avendo la facoltà di esaminare direttamente il materiale in contestazione, deve rimettersi alle indicazioni provenienti da terzi (che possono essere imprecise o non esaurienti): pertanto, il suddetto onere si intende osservato quando l’atto introduttivo indichi la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate e le sezioni cui si riferiscono le medesime. Con riguardo all’onere di indicare i mezzi di prova nell’ambito del contenzioso sulle operazioni elettorali, occorre tenere distinte le due seguenti situazioni: la prima, riguardante il caso in cui il ricorso sia volto a contestare il contenuto del verbale delle operazioni elettorali, sostenendo che lo stesso non espone i fatti come realmente accaduti; la seconda, relativa al caso in cui il ricorrente lamenti che le determinazioni assunte dal seggio elettorale siano il frutto di una errata (e perciò illegittima) applicazione della normativa che regola le operazioni in questione. Con riferimento al primo caso, il verbale delle operazioni elettorali, essendo un atto pubblico, ha forza fidefacente, validamente contrastabile soltanto mediante l’esperimento della querela di falso: pertanto, nessun rilievo probatorio può riconoscersi alle dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio rilasciate, ai sensi d.P.R. n. 445 del 2000, dai rappresentanti di lista. Nel secondo caso, invece, poiché si sottopone al g.a. non la veridicità di un atto pubblico, bensì il vaglio della legittimità delle decisioni assunte dal seggio elettorale, il giudizio del g.a. non potrebbe essere condotto senza l’esame di quella documentazione di cui il ricorrente non dispone e di cui occorre ordinare l’acquisizione mediante l’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice anche d’ufficio: nella fattispecie, quindi, la dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, prodotta a sostegno del ricorso elettorale, potrà considerarsi principio di prova idoneo a legittimare la richiesta al giudice di disporre acquisizioni istruttorie (Consiglio di Stato Ad. Plen., 20 novembre 2014, n.32).

 

Il punto di vista dell’Autore

Con la disposizione analizzata si apre il Capo II del Titolo III dedicato all’attività istruttoria.

Il dato letterale deve essere letto in combinato con l’articolo 63: infatti, dopo l’esaustiva elencazione dei mezzi di prova, vengono illustrati i principi propri della fase istruttoria, applicabili indistintamente a tutti i giudizi proposti innanzi al G.A., sia che si verta nei casi di giurisdizione di legittimità, sia in quella esclusiva ex articolo 133 o estesa al merito ex articolo 134.

Dopo aver ribadito che, in virtù del principio dell’onere della prova, spetta alle parti costituite in giudizio fornire gli elementi su cui fondare la decisione, vengono enunciati gli ulteriori principi cardine della fase istruttoria, ovvero il principio di non contestazione, il principio inquisitorio (secondo cui il giudice può, d’ufficio, acquisire informazioni e completare quell’attività che la parte in giudizio ha iniziato con la produzione di meri indizi di prova), il principio del libero convincimento (secondo cui il giudice deve valutare le prove secondo un prudente apprezzamento dando il giusto rilevo ai comportamenti processuali delle parti in causa, siano esse costituite o non).

Da un’analisi complessiva si ricava un processo molto più vicino a quello scandito dalla normativa processualcivilistica in quanto la parte può fornire, in determinate circostanze, non una prova completa, ma degli indizi idonei ad attivare il potere d’ufficio del G.A.: da questo punto di vista il giudizio amministrativo sembra non più (e non solo) un processo fondato sugli atti, ma anche sul rapporto.

Pertanto, alla luce di quanto detto, può considerarsi maggiormente tutelato il cittadino il quale, nel processo, può vedere ridotta quella distanza che, normalmente, lo separa dalla P.A. nella fase della formazione del provvedimento amministrativo.