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Art. 73

Udienza di discussione

 1. Le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi.

2. Nell’udienza le parti possono discutere sinteticamente.

3. Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie.

Bibliografia. Gallo, Commento all’articolo 70 CPA, AA.VV, il processo amministrativo – commento al Decreto Legislativo 104/2010 (a cura di Quaranta e Lopilato), Milano, 2011, 579; voce articolo 73, in Codice del processo amministrativo commentato, di Rossana De Nictolis, Vicenza, 2017, 1039.

 

Sommario. 1. Documenti, memorie e repliche.  2. L’udienza di discussione. 3. Le questioni rilevate d’ufficio.

 

1. Documenti, memorie e repliche

La norma prevede i termini ordinari per produzione di documenti, memorie e repliche in vista dell’udienza di discussione. Si tratta di giorni liberi a ritroso, per cui, nel caso in cui un termine coincida con un giorno festivo, occorrerà tenere conto, quale termine finale, del giorno non festivo immediatamente successivo. 

Anche se, nel rispetto del principio di sinteticità (di cui si parlerà dopo), è consigliabile depositare la memoria, si ritiene che la stessa non sia condicio sine qua non della replica.

Quest’ultima, invece, tenuto conto anche di quanto chiarito dalla relazione illustrativa al primo decreto correttivo al CPA (Decreto Legislativo 195/2011) e dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, può essere depositata solo se la controparte abbia depositato una memoria o documenti in vista dell’udienza di discussione. 

Tale conclusione, oltre ad essere in linea con i principi di economia processuale, è altresì diretta ad assicurare un adeguato contraddittorio, evitando (o almeno limitando) la tendenza (possibile prima del citato decreto correttivo) ad illustrare compiutamente le proprie tesi difensive solo in vista della memoria di replica, così limitando la possibilità della controparte di contraddire efficacemente. 

È utile soffermarsi anche sulla natura perentoria o ordinatoria dei citati termini. 

Nel vigore delle norme ante CPA, la questione era dibattuta, anche se una certa giurisprudenza, facendo leva sull’esigenza del rispetto del contraddittorio, sulla necessità che il collegio conoscesse gli atti di causa con adeguato anticipo, tendeva ad affermarne la perentorietà.

La questione oggi trova una risposta all’articolo 54 del CPA, da quale si deduce che i termini indicati sono perentori, salvo eccezioni. 

Infatti, è previsto che il deposito delle memorie e documenti oltre i termini previsti può essere autorizzato dal collegio su istanza di parte, quando quest’ultima dimostri che il rispetto dei termini risulti estremamente difficile. 

Va da sé che, nel caso da ultimo considerato, il collegio dovrà disporre gli opportuni provvedimenti che, comunque, consentano un adeguato contraddittorio. 

Ultima annotazione riguarda la necessaria sinteticità degli scritti. Sul punto, si rinvia al decreto n. 127 del 16 ottobre 2017, con il quale il Presidente del Consiglio di Stato ha apportato alcune modifiche al decreto n. 167 del 22 dicembre 2016, recante la disciplina dei criteri di redazione e dei limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo.

 

2. L’udienza di discussione

Il principio di sinteticità permea anche la fase di discussione e, per sua stessa natura, permette un’applicazione flessibile, rapportata all’oggetto della causa, alla complessità delle questioni, nonché alla “sensibilità” del collegio, del relatore e degli avvocati difensori. 

Altra annotazione riguarda la facoltà di discussione e non la obbligatorietà.

Si consideri anche che, se le parti non si presentano, la causa passa in decisione.

Sul punto è però opportuno precisare che una tesi minoritaria tende ad affermare che, laddove i difensori non siano presenti, il collegio dovrebbe disporre la cancellazione della causa dal ruolo o, in applicazione dell’articolo 309 c.p.c., fissare una nuova udienza e, se anche in questa i difensori delle parti non si dovessero presentare, dichiarare estinto il processo.

La tesi, tuttavia, non convince.

Oltre al dato normativo che, sul punto appare evidente, è utile ricordare che se un’udienza di discussione è stata fissata è perché è stata depositata un’istanza di fissazione di udienza che, per inciso, manifesta l’interesse non revocabile della parte (o delle parti) alla decisione. 

Dal punto di vista operativo, la prassi di ogni Tribunale Amministrativo può avere talune specificità, ma, in linea di massima, la celebrazione delle udienze avviene sovente attraverso una chiamata preliminare, nel corso della quale i difensori presenti manifestano la loro intenzione di voler discutere o meno, consentendo così una sorta di “preselezione” delle cause che saranno successivamente trattate.

 

3. Le questioni rilevate d’ufficio

Il contraddittorio costituisce sempre e comunque il solco in cui qualsiasi circostanza del processo amministrativo deve essere incanalata. 

Così anche quando il collegio ritiene di porre a fondamento una questione non rilevata d’ufficio, l’articolo 73 c. 3 del CPA, “apre” un’altra finestra di contraddittorio.

La norma, dunque, offre la possibilità per le parti di contraddire sul rilievo fatto dal collegio, evitando così le cd. decisioni a sorpresa o, per usare un termine coniato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione – Sez Un. N. 20935/2009 – cd. sentenze della terza via. 

Una questione si potrebbe porre nel caso in cui le parti non siano presenti in udienza. 

Secondo la giurisprudenza che si è occupata della questione, ciò non impedirebbe al collegio di rilevare comunque la questione, provvedendo a metterla a verbale. 

D’altro canto, se la presenza delle parti non costituisce un obbligo, rappresenta pur sempre un onere per le stesse, visto che, come in questo caso, può esserci sempre la necessità di interloquire con il collegio, anche quando, dal punto di vista delle parti, le questioni sono state trattate.

Tenuto conto delle indicazioni giurisprudenziali – in buona parte contenuti nella citata Cassazione e nella Plenaria n. 1 /2000, nonché dei precetti normativi, anche se non espressamente previsto dall’articolo 73 – a differenza di quanto fa l’articolo 101 c.p.c. per il processo civile – si ritiene che una pronuncia basata su una questione rilavata d’ufficio sulla quale non v’è stato contraddittorio possa incidere su quest’ultimo principio, determinando un caso di nullità relativa, dunque sanabile, previsa verifica caso per caso.  

 

Il punto di vista dell’Autore

La sinteticità della discussione costituisce una sorta di “alchimia” di difficile definizione. Sovente la stessa è composta dal Presidente del collegio, in altri casi è lo stesso avvocato difensore che riesce ad intercettare il senso e la misura che quel collegio ha del principio. 

Di certo il processo amministrativo ha virato verso l’applicazione generalizzata del principio e, in un’ottica di speditezza, ha abbandonato anche taluni passaggi che, in qualche modo, sono stati considerati superflui. A tal proposito, ad esempio, si ricorda che, nel CPA, non v’è più traccia della relazione orale del relatore designato, prevista in passato dall’articolo 56. Regio Decreto 642/1907.