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Art. 104

Nuove domande ed eccezioni  

1. Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall’articolo 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa.

2. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

3. Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi.

Bibliografia. G. Carlotti, Il divieto dei nova in appello, in Libro dell’anno del diritto Treccani, 2013; M. Lipari, Le sopravvenienze nel giudizio di appello, Relazione al Convegno “La sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi”, Castello di Modanella, Rapolano Terme/Siena, 19-20 maggio 2017

 

Sommario. 1. Il cd. divieto di ius novorum. 2. Le prove in appello.

 

1. Il cd. divieto di ius novorum

Nel giudizio di appello la regola generale prescrive il divieto di introdurre nuove domande, eccezioni e prove. La regola, tuttavia, non è assoluta.

A ben guardare, la modulazione del divieto non è tanto riferibile alla seconda parte del primo comma, secondo cui “Possono tuttavia essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa”.

Infatti, la richiesta di risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza, gli interessi e gli accessori, presuppongono che le rispettive domande siano state proposte in primo grado. 

Rimane ferma la possibilità di chiedere i cd. danni ulteriori rispetto a quelli già chiesti in primo grado. Secondo la giurisprudenza, infatti, è possibile proporre in appello domande logicamente connesse (anche sotto il profilo cronologico) alle domande poste in primo grado. È il caso, appunto, degli interessi, accessori e danni relativi al periodo successivo alla sentenza di primo grado, ovvero conosciuti (o conoscibili) dopo quest’ultima. 

Altro temperamento del divieto in parola è rappresentato dalla possibilità prevista dal terzo comma della norma, ossia di proporre motivi aggiunti.

Il riferimento, tuttavia, ha contorni limitati. 

I motivi aggiunti in appello sono ammissibili solo qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi.

Questo vuol dire che i motivi aggiunti devono essere logicamente connessi ad ulteriori censure su provvedimenti già impugnati in primo grado, con esclusione della possibilità di impugnare per la prima volta in appello atti e provvedimenti ulteriori. 

A tal proposito, si osserva, come la proposizione di motivi aggiunti in appello è prevista come una facoltà, nulla escludendo che la parte possa sempre e comunque proporre un nuovo autonomo ricorso al T.A.R. competente.

 

2. Le prove in appello

La regola generale è che in appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo, in primo luogo, la cd. prova cruciale, ossia quando il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. 

È dunque necessario che il giudice d’appello valuti come indispensabili le nuove prove.

La lettura della norma pare orientare verso una opzione autonoma. Sembrerebbe, infatti, che la possibilità di acquisire in appello nuove prove sia prevista in due casi distinti. 

Il primo è stato appena indicato. 

L’altro caso sarebbe quando si dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa non imputabile.

Tuttavia, in virtù del principio dell’onere della prova e del cd. metodo acquisitivo che governa il processo amministrativo, le due ipotesi smettono di apparire autonome e divengono requisiti entrambi necessari.

Anche se le nuove prove venissero valutate come indispensabili, la circostanza che in primo grado potevano essere prodotte esclude l’ammissibilità in appello. 

Il richiamato principio dispositivo permette infatti al giudice di acquisire d’ufficio le prove che non sono nella disponibilità della parte. 

Tale principio soccorre la parte impossibilitata e non la parte inerte. 

Le suddette limitazioni valgono sia per le parti private sia per l’amministrazione, con l’eccezione del provvedimento impugnato e degli atti del procedimento, essendo questi, per definizione, essenziali al giudizio oltre che documenti che possono essere acquisiti d’ufficio. 

 

Il punto di vista dell’Autore

Per quanto il legislatore si preoccupi di fare in modo che il giudice abbia gli strumenti per giungere ad una decisione, è sempre l’iniziativa e la pianificazione – specie probatoria – delle parti a rappresentare il vero snodo cruciale della controversia.