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Art. 117

Ricorsi avverso il silenzio

1. Il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all’articolo 31, comma 2.

2. Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni.

3. Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata.

4. Il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.

5. Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito.

6. Se l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 30, comma 4, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.

6-bis. Le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 6, si applicano anche ai giudizi di impugnazione (1).

(1) Comma aggiunto dall’articolo 1, comma 1, lettera ff), del Decreto Legislativo 15 novembre 2011, n. 195.

Bibliografia. De Nictolis, I termini del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; Guacci, Il rito in materia di silenzio della p.a. in Trattato di diritto amministrativo, Padova, 2014; Pignataro, Gli atti di organizzazione e di gestione del personale alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, in Cons. Stato, 2002, II.

 

Sommario. 1. Oggetto dell’azione avverso il silenzio: limiti all’esperibilità del ricorso. 2. Termine per proporre ricorso. 3. Applicabilità della sospensione feriale al termine annuale. 4. Il contenuto della sentenza. 5. La nomina del commissario ad acta.  6. Il provvedimento adottato in corso di causa: sorte del giudizio ed impugnazione. 7. L’azione risarcitoria. 

 

1. Oggetto dell’azione avverso il silenzio: limiti all’esperibilità del ricorso

Posta l’esistenza di un obbligo a provvedere, il rito speciale sul silenzio inadempimento ha ad oggetto l’accertamento della perdurante inerzia serbata dall’Amministrazione sull’istanza che le è stata presentata e sulla quale doveva invece provvedere; pertanto, la condanna dell’Amministrazione a provvedere ai sensi dell’articolo 117 CPA presuppone che, al momento della pronuncia del giudice, perduri l’inerzia (Consiglio di Stato sez. IV, 24 dicembre 2019, n.8810).

Lo speciale rimedio del ricorso avverso il silenzio può essere attivato non già per sollecitare lo svolgimento di qualsivoglia tipo di attività da parte dell’Amministrazione, ma esclusivamente per far sancire al giudice l’illegittimità dell’inezia dell’autorità nei casi in cui questa abbia un obbligo a provvedere ex articolo 31 CPA; in particolare, il ricorso avverso il silenzio-inadempimento, essendo volto a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere, non è esperibile qualora l’atto di cui si chiede l’adozione sia a contenuto regolamentare o generale, come nel caso degli atti di pianificazione del territorio i quali sono indirizzati ad una pluralità indifferenziata di destinatari e non sono destinati a produrre effetti nella sfera giuridica di singoli soggetti specificamente individuati; il rimedio in questione è invece strettamente circoscritto alla sola attività amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all’adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma sez. I, 01 ottobre 2019, n.221).

Il rito del silenzio non può essere azionato per ottenere il pagamento di crediti e, più in generale, per avanzare pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una situazione di inerzia, in quanto concernono, invece, diritti soggettivi (Consiglio di Stato sez. V, 23 agosto 2019, n.5831).

Per pacifico orientamento giurisprudenziale, l’azione sul silenzio, di cui agli articoli 31 e 117 CPA, non può essere utilmente esperita quando: a) la richiesta del privato riguardi l’esercizio del potere di autotutela, posto che l’Amministrazione gode in materia di ampia discrezionalità anche in ordine all’an; e che l’obbligo di emissione di un nuovo provvedimento avrebbe effetto elusivo sui termini decadenziali previsti per la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di primo grado, potendo l’interessato - che abbia omesso di agire tempestivamente - rimettersi in termini impugnando l’atto di secondo grado; b) l’istanza abbia ad oggetto, non già l’emissione di un provvedimento amministrativo che costituisca espressione di un pubblico potere, ma un comportamento dell’amministrazione (come ad. es. il versamento di una somma di denaro) volto al soddisfacimento di una posizione giuridica del richiedente avente consistenza di diritto soggettivo, salva la possibilità per il giudice di convertire l’azione sul silenzio in azione di condanna; c) nel caso in cui sia manifesta l’assenza dei presupposti che impongono all’amministrazione di provvedere sull’istanza presentata dal privato (T.A.R. Puglia, Bari sez. I, 02 agosto 2018, n.1170).

L’esperibilità del rito speciale del silenzio è esclusa nell’ipotesi in cui l’inerzia dell’amministrazione si riferisca ad un atto non avente natura e caratteri di provvedimento amministrativo: è il caso degli atti unilaterali aventi natura negoziale che la P.A. adotta in viste di datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti (Pignataro, Gli atti di organizzazione e di gestione del personale alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, in Cons. Stato, 2002, II).

 

2. Termine per proporre ricorso

Ai sensi dell’articolo 31 comma 2, CPA, l’azione avverso il silenzio può essere proposta fintantoché perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, sicché il ricorso notificato ben oltre l’anno dalla scadenza del termine anzidetto è irricevibile (T.A.R. Campania, Napoli sez. I, 06 novembre 2017, n.5168).

L’atto di diffida a concludere il procedimento con un provvedimento espresso, notificato all’Amministrazione dopo la scadenza dell’anno previsto dalla legge per la proposizione del ricorso avverso il silenzio-inadempimento, può essere considerato come una nuova istanza di avvio del procedimento, ricorrendone i relativi presupposti; pertanto, dalla scadenza del termine per provvedere su questa rinnovata istanza inizia a decorrere un nuovo anno per la proposizione del ricorso ex articolo 117 CPA (T.A.R. Campania, Napoli sez. II, 22 marzo 2017, n.1574).

Il rito del silenzio - inadempimento, di cui all’articolo 117 CPA, è un rito in camera di consiglio cui si applica l’articolo 87, comma 3, CPA, per il quale sono dimezzati tutti i termini processuali, tranne quelli per la notificazione del ricorso principale, di quello incidentale e dei motivi aggiunti; è, pertanto, dimezzato il termine ordinario di deposito del ricorso, di cui all’articolo 45, comma 1, CPA, da intendersi ridotto da trenta a quindici giorni, e decorrente dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto processuale si è perfezionata anche per il destinatario (T.A.R. Sardegna, Cagliari sez. II, 21/12/2016, n.975).

L’azione avverso il silenzio inadempimento (o rifiuto) della p.a., ora disciplinata dagli articoli 117 e 31 CPA e, prima, dall’articolo 21 bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034, deve essere proposta entro il termine massimo di un anno, decorso il quale la parte, se ha ancora interesse ad ottenere una pronuncia dall’Amministrazione, può rivolgere alla stessa una nuova istanza ed eventualmente, se l’Amministrazione non provvede nel termine procedimentale assegnato, può impugnare tempestivamente il nuovo silenzio inadempimento formatosi (Consiglio di Stato sez. III, 03 marzo 2015, n.1050).

In merito all’utilità della previsione del predetto termine, se da un lato, quindi, sul piano teorico, il legislatore sembra aver aderito alla tesi secondo cui l’azione compete finché dura l’inadempimento, dall’altro, lo stesso legislatore fissa il termine annuale onde evitare che la P.A. inerte sia soggetta sine die al rischio di un’azione giurisdizionale (De Nictolis, I termini del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it).

 

3. Applicabilità della sospensione feriale al termine annuale

Il termine annuale, entro il quale ai sensi dell’articolo 31 comma 2, c. proc. amm. deve essere proposto il ricorso contro il silenzio della p.a., ha natura processuale, con la conseguenza che ad esso deve aggiungersi il periodo di sospensione feriale (Consiglio di Stato sez. III, 11 maggio 2015, n.2334).

Il periodo di sospensione feriale non è computabile nel termine di un anno previsto dall’articolo 31, comma 2, c. proc. amm., per la proposizione del ricorso avverso il silenzio della p.a.; invero il suddetto termine di un anno non costituisce un vero e proprio termine di decadenza ex articolo 2964 e ss. c.c., ma una mera presunzione legale assoluta, riguardante la persistenza dell’interesse ad agire in giudizio per il rilascio del provvedimento richiesto, nonostante il decorso di un ampio lasso di tempo dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. Infatti, mentre nelle ipotesi di decadenza, l’inerzia del titolare della situazione giuridica soggettiva è sanzionata dalla legge con la perdita della situazione stessa, nel caso del silenzio-rifiuto l’inerzia dell’interessato non gli preclude, per espressa previsione legislativa - riprodotta dall’ultimo periodo dell’articolo 31, comma 2, c. proc. amm. -, la possibilità di proporre nuovamente l’istanza, ove ne ricorrano i presupposti (T.A.R. Lazio, Latina sez. I, 16 gennaio 2014, n.15).

La disciplina giuridica del silenzio-rifiuto della p.a, si basa sulla ricorrenza di un presupposto fondante (violazione dell’obbligo di provvedere entro un certo termine), ulteriormente definito in via sostanziale in chiave di completamento della fattispecie, mediante la previsione di un termine di esercizio della pretesa che ne assicura la funzionalità sul piano operativo, così che il termine annuale previsto dall’articolo 31 comma 2 c. proc. amm. preesiste, come tale, al processo, del quale non segue la relativa disciplina giuridica, ivi inclusa quella relativa al periodo di sospensione feriale (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila sez. I, 05 ottobre 2013, n.819).

Al termine di un anno, previsto dall’articolo 31 comma 2 c. proc. amm. per impugnare, ai sensi dell’articolo 117 c. proc. amm., il silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di un privato non si applica il periodo di sospensione feriale ex articolo 54 c. proc. amm., trattandosi di termine sostanziale e non processuale (T.A.R. Puglia, Lecce sez. I, 05/09/2013, n.1815).

 

4. Il contenuto della sentenza

Ai sensi dell’articolo 31 comma 3, CPA, nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio — rifiuto, oggi disciplinato dagli articoli 31 e 117 CPA, è possibile per il giudice amministrativo, in caso di istanza di parte e di attività vincolata, estendere la cognizione sulla fondatezza della pretesa azionata, al fine di una sentenza di condanna nei confronti dell’Amministrazione all’emanazione del provvedimento direttamente satisfattivo. Ne discende, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 31 comma 3 e dell’articolo 117 comma 4, CPA, la possibilità che il contenuto della decisione non si limiti alla declaratoria dell’obbligo di provvedere sull’istanza del privato, ma debba investire anche il contenuto dovuto e vincolato di quell’obbligo, per effetto della qualificata provenienza degli atti di accertamento dell’abuso stesso (T.A.R. Campania, Napoli sez. IV, 12 giugno 2012, n.2766).

In presenza di un’istanza volta ad ottenere un determinato provvedimento, il giudice amministrativo è obbligato ad emettere una sentenza di condanna a rilasciare il provvedimento richiesto se sussistono i presupposti; ciò in quanto la pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio non può essere considerata come una mera facoltà perché risulterebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Guacci, Il rito in materia di silenzio della p.a. in Trattato di diritto amministrativo, Padova, 2014).

 

5. La nomina del commissario ad acta

L’articolo 117, cod. proc. amm. prevede l’intervento del commissario ad acta nell’ambito del processo avverso il silenzio-inadempimento senza necessità di un ricorso ad hoc, essendo sufficiente una semplice istanza al giudice che ha dichiarato l’illegittimità del silenzio, sicché, sotto un profilo procedurale, alla fase di cognizione sull’inadempimento dell’amministrazione si lega, senza soluzione di continuità, la successiva fase esecutiva. L’attività del commissario ad acta, posta in essere in esecuzione della sentenza che rimuova la situazione di inerzia imputabile alla pubblica amministrazione, non si limita, come nel vero e proprio giudizio di ottemperanza, al completamento e all’attuazione del dictum giudiziale recante direttive conformative dell’attività amministrativa, ma si atteggia come attività di pura sostituzione nell’esercizio del potere proprio dell’amministrazione soccombente ed è collegata alla pronuncia giudiziale solo per quanto attiene al presupposto della prolungata inerzia dell’amministrazione medesima (Consiglio di Stato sez. VI, 09 febbraio 2016, n.557).

Ai sensi dell’articolo 117 CPA, il giudice amministrativo, nelle controversie avverso il silenzio della Pubblica amministrazione nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza conclusiva del giudizio o successivamente su istanza della parte interessata, e conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario (T.A.R. Basilicata, Potenza sez. I, 11 febbraio 2015, n.89).

La nomina del commissario “ad acta” nel rito sul silenzio assume contenuti logici e funzionali peculiari, in quanto l’organo commissariale è chiamato a pronunciarsi per la prima volta sull’istanza rimasta inevasa, sulla base di un comando giudiziario finalizzato a superare l’inerzia attraverso una pronuncia non elusiva. Peraltro, l’esecuzione di una sentenza su fattispecie di silenzio serbato dall’Amministrazione trova specifica regolamentazione nel correlato rito, che anche nella fase esecutiva è regolato da puntuali e diverse disposizioni processuali, contenute nell’articolo 117 CPA; in particolare, ai sensi del comma 4, il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario (T.A.R. Campania, Napoli sez. IV, 03 febbraio 2015, n.642).

 

6. Il provvedimento adottato in corso di causa: sorte del giudizio ed impugnazione

Nel processo amministrativo, presupposto, ai sensi dell’articolo 117 CPA, della condanna dell’Amministrazione per il silenzio dalla stessa illegittimamente serbato sull’istanza dell’interessato, è che al momento della pronuncia del giudice perduri l’inerzia dell’Amministrazione inadempiente e che dunque non sia venuto meno il relativo interesse ad agire; di conseguenza, l’adozione da parte della stessa di un provvedimento esplicito, in risposta all’istanza dell’interessato o in ossequio all’obbligo di legge, rende il ricorso o inammissibile per carenza originaria dell’interesse ad agire (se il provvedimento intervenga prima della proposizione del ricorso) o improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (se il provvedimento intervenga nel corso del giudizio all’uopo instaurato) (T.A.R. Puglia, Bari sez. I, 08 settembre 2017, n.942).

La notificazione ed il deposito del ricorso per la declaratoria di illegittimità del silenzio non consumano il potere della p.a. di pronunciarsi: conseguentemente, l’adozione, nelle more del giudizio, di un provvedimento esplicito (anche se non satisfattivo dell’interesse fatto valere dal privato), costituendo "ex se" una corretta manifestazione della potestà amministrativa, fa venir meno i presupposti per la condanna dell’ amministrazione a provvedere sull’istanza e rende non operativo il relativo meccanismo di tutela giurisdizionale del silenzio, con improcedibilità del ricorso proposto, salva la possibilità di percorrere la via dell’impugnazione con motivi aggiunti nell’ordinario termine decadenziale previsto per il sopravvenuto provvedimento negativo esplicito, facendo valere gli eventuali vizi dell’atto successivamente adottato, ai sensi del comma 5 dell’articolo 117 c. proc. amm. (T.A.R. Calabria, Catanzaro sez. II, 06 marzo 2014, n.359).

L’adozione di un provvedimento esplicito (anche non satisfattivo dell’interesse fatto valere) in risposta all’istanza dell’interessato, rende il ricorso inammissibile per carenza originaria dell’interesse ad agire, se il provvedimento interviene prima della proposizione del ricorso. Ciò in quanto il privato ha ottenuto il risultato al quale mira il giudizio, ossia il superamento della situazione di inerzia procedimentale e di violazione/elusione dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro i termini all’uopo previsti; nel caso in cui il provvedimento sopravvenuto sia ritenuto illegittimo, il soggetto interessato è tutelato dalla normativa in materia che consente di proporre contro di esso una nuova impugnazione, anche ex articolo 117 CPA, con motivi aggiunti (Consiglio di Stato sez. VI, 17 gennaio 2014, n.233).

L’articolo 117 c. proc. amm. al comma 5 prevede che se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento e l’intero giudizio prosegue con tale rito e il giudice, adito con ricorso avverso il silenzio, può accertare l’illegittimità del provvedimento sopravvenuto solo se lo stesso è impugnato in sede di legittimità mediante motivi aggiunti e previa conversione del rito (Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 26 aprile 2012, n.430).

 

7. L’azione risarcitoria

Il danno da ritardo, di cui all’articolo 2-bis della legge 241/1990, può configurarsi anche nei casi in cui il procedimento debba essere avviato di ufficio e, dunque, vi sia l’obbligo di concluderlo. In questo caso, occorre sia la chiara previsione normativa di un termine per l’avvio e per la conclusione del procedimento, sia l’esistenza di una posizione di interesse legittimo. L’affermazione contenuta in Adunanza plenaria 4 maggio 2018 n. 5, riguardo alla risarcibilità del danno da ritardo "a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento", va riferita soltanto ai soggetti aventi natura imprenditoriale (Consiglio di Stato sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358)

Ai sensi dell’articolo 117 comma 6, CPA, se l’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente all’impugnazione del silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria (T.A.R. Lazio, Roma sez. II, 03 novembre 2015, n.12400).

L’articolo 117, comma 6, CPA non impone al Giudice Amministrativo di disporre sempre la conversione del rito nel caso in cui venga esercitata una azione risarcitoria unitamente al ricorso contro il silenzio della Pubblica Amministrazione, e da ciò si deve inferire la possibilità per il Giudice di definire tale azione anche con la sentenza che decide sul silenzio. Pertanto il ricorrente, il quale faccia valere la responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati dalla sua inerzia nel corso del giudizio ex articolo 117 CPA, già nel ricorso introduttivo del giudizio è tenuto ad indicare, in maniera sufficientemente specifica, gli elementi che fondano l’azione risarcitoria, la quale potrà essere decisa con il rito camerale previsto per il silenzio ove sia di semplice soluzione o manifestamente infondata, ovvero in sede di rito ordinario, previa conversione del rito, ove la stessa richieda invece un’attività istruttoria (T.A.R. Sicilia, Palermo sez. II, 24 marzo 2015, n.723).

Emerge dalla formulazione letterale dell’articolo 117, comma 6, c.proc.amm. che la trattazione della domanda risarcitoria connessa all’azione avverso il silenzio nelle forme del giudizio ordinario costituisce una facoltà discrezionale del giudice adito. Ciò si ricava in particolare dall’impiego del verbo servile "può", il quale regge tanto la proposizione relativa alla definizione della domanda avverso il silenzio quanto quella successiva, concernente la conversione del giudizio nel rito ordinario per la trattazione della domanda risarcitoria (Consiglio di Stato sez. V, 05 dicembre 2013, n.5798).

 

Il punto di vista dell’Autore

L’articolo in commento fornisce, senza dubbio, una tutela completa ed esaustiva avverso il protrarsi ingiustificato dell’inerzia della P.A.: ovviamente la completezza deriva dalla lettura combinata dell’articolo 117 CPA con l’articolo 31e l’articolo 133, comma 1, n. 3.

L’effettività della tutela viene assicurata da una cognizione piena del G.A. grazie alla giurisdizione esclusiva che permette al giudicante di analizzare la posizione del cittadino sotto il duplice aspetto dell’interesse legittimo e del diritto soggettivo.

È proprio nell’ottica di tutelare quest’ultimo aspetto che è stata inserita, nel Codice, la disposizione che concede la possibilità di agire per il ristoro dei danni subiti a causa del perdurante silenzio dell’Amministrazione contestualmente alla proposizione del ricorso.

Infatti, a latere ogni equa ed ovvia considerazione sull’ingiustizia connaturata al mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento (circostanza che pone già il cittadino in una condizione di sfavore per il sol fatto di dover agire giudizialmente al fine di vedersi riconosciuta una risposta, quand’anche negativa, ad una sua istanza), a parere di chi scrive è la previsione dell’azione di risarcimento del danno contenuta al comma 6 che ristabilisce le giuste proporzioni tra una P.A. non sempre rispettosa dei termini ed il cittadino che si trova troppo spesso a dover attendere un provvedimento dovuto.

A ciò si aggiunga che, nell’ottica dell’azione risarcitoria, la vera effettività della tutela si esplica a favore dei soggetti aventi natura imprenditoriale (non quindi semplici cittadini) che, dall’inerzia degli uffici preposti, subiscono perdite economiche importanti non solo a titolo di danno emergente (per spese e costi di maestranze già sostenute), ma soprattutto in termini di mancato guadagno: a tal riguardo si evidenzia che un investimento viene affrontato già da una fase antecedente alla presentazione dell’istanza.

Sul punto è interessante una recente pronuncia del Consiglio di Stato che, con specifico riferimento al soggetto avente natura imprenditoriale, riconosce il danno da ritardo a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento (Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358).

Il rimedio del ricorso avverso il silenzio inadempimento può essere adattato ad ogni procedimento amministrativo che preveda un obbligo della P.A. di adottare un provvedimento espresso entro un termine certo: non si rinvengono precedenti giurisprudenziali ma, senza dubbio, un’importantissima applicazione del ricorso in commento potrebbe ravvisarsi, in tema di tutela ambientale, in caso di comportamento silente del Ministero dell’Ambiente nell’ambito del procedimento ex articoli 312 e 313 Decreto Legislativo n. 152/2006 (adozione dell’ordinanza per il ripristino ambientale nei confronti dei responsabili del fatto illecito entro i termini di cui al comma 4 dell’articolo 313 cit.).  

Infine, sicuramente rappresenta una diversa esplicazione dell’effettività della tutela (sottesa alle predette posizioni) anche il rito camerale, con una forte accelerazione dei tempi data dalla dimidiazione dei termini processuali.