Art. 34

Sentenze di merito

1. In caso di accoglimento del ricorso, il giudice, nei limiti della domanda:

a) annulla in tutto o in parte il provvedimento impugnato;

b) ordina all’amministrazione rimasta inerte, di provvedere entro un termine;

c) condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile. L’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’articolo 31, comma3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio;

d)nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato;

e) dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza.

2. In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. Salvo quanto previsto dal comma 3, il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento di cui all’articolo 29.

3.Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.

 4. In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti stabilire i criteri in base al quale il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo concluso, con ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti.

5. Qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara cessata la materia del contendere.

Bibliografia. Aldo Travi, Lezioni di Giustizia Amministrativa, G. Giappichelli Editore, 2016, Luisa Torchia, Le nuove pronunce nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; Francesco Caringella e Marco Giustiniani, Manuale del processo amministrativo, Dike giuridica editrice, 2 ed. 2017, Roberto Garofoli-Giulia Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto editore, 2017, Rosanna De Nictolis, La tecnica di redazione delle decisioni del giudice amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; Filippo Patroni Griffi, La decisione robotica e il giudice amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it Andreina Scogliamiglio, Appunti per una prima lettura dell’articolo 34, comma 1, lett. c), d) ed e): le sentenze di condanna e condanna al risarcimento del danno, in www. giustizia-amministrativa.it M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983; Caterina Criscenti , Rassegna monotematica di giurisprudenza: orientamenti giurisprudenziali sull’articolo 34, comma 3, CPA in www.giustizia-amministrativa.it¸P. Tonnara, Indennizzo in caso di revoca: la condanna “sui criteri”, in riv. Urbanistica e Appalti, 2018, n. 2, pag. 164 e ss.

 

Sommario. 1. Le sentenze di merito: profili generali. 2. La sentenza di annullamento ed i suoi effetti. 3. Accertamento dell’obbligo di provvedere. 4. Pluralità ed atipicità delle tutele. 5. Intensità del sindacato giurisdizionale e  full jurisdiction.  6. Misure idonee ad assicurare l’anticipazione del giudicato: strumenti di coercizione indiretta. 7. Separazione dei poteri- riserva del potere in capo alla P.A. 8. Interesse ai fini risarcitori. 9. Condanna articolo 34, comma 4, CPA 10. Cessazione della materia del contendere.

 

1. Le sentenze di merito: profili generali

L’articolo 34 CPA disciplina i possibili contenuti dei provvedimenti del giudice amministrativo. La norma in esame, più nello specifico, individua le sentenze che, superate tutte le questioni preliminari e pregiudiziali in rito, si pronunciano sulla domanda giudiziale avanzata dal ricorrente, rigettandola ovvero accogliendola. La sentenza di rigetto accerta l’insussistenza della lesione ovvero della pretesa azionata dal ricorrente. 

Nel caso di accoglimento del ricorso, invece, le sentenze possono avere un contenuto dispositivo diverso in relazione al tipo di azione esperita (Aldo Travi). 

Si possono avere, infatti, sentenze: a) costitutive di annullamento dell’atto gravato;

b) di condanna al pagamento di somme di danaro ovvero al risarcimento del danno (articolo 34, comma 1, lett. c); 

c) di condanna all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione soggettiva azionata (articolo 34, comma 1, lett. c);  

d) sentenze di accertamento dell’obbligo di provvedere. 

A queste si aggiungono le pronunce di accertamento della nullità dell’atto (articolo 31, 1 e 4 comma, CPA). 

Nei casi di giurisdizione estesa al merito il giudice adotta un nuovo atto ovvero modifica o riforma quello impugnato. 

L’elencazione richiamata dimostra come il legislatore, in omaggio al principio dell’effettività della tutela (articolo 1 CPA, articolo 24, 111 e 113 Cost., articolo 6 e 13 Cedu) ed in attuazione della delega di cui all’articolo 44, comma 2, lett.b, n.4, L. n. 69/2009, ha introdotto pronunce “dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa”.

 

2. La sentenza di annullamento ed i suoi effetti

In caso di accoglimento del ricorso,  il giudice, nei limiti della domanda annulla, in tutto o in parte, il provvedimento impugnato” (articolo 34, comma 1, lett.a). Il giudice, se ritiene fondata la domanda, la accoglie e pronuncia sentenza costitutiva di annullamento dell’atto oggetto di gravame. La dottrina, seguita dalla giurisprudenza, ha sempre riconosciuto in capo alla sentenza di annullamento, l’idoneità della stessa a produrre, in uno all’effetto demolitorio (eliminazione dal mondo giuridico dell’atto impugnato), gli effetti ripristinatori e conformativi (M. Nigro). L’effetto ripristinatorio si sostanzia nell’obbligo per la P.A di ricostituire lo “status quo ante” anteriore al provvedimento annullato. L’effetto conformativo, invece, si proietta nel futuro e consiste nell’idoneità della statuizione ad orientare, nel rispetto del principio della separazione dei poteri e della riserva amministrativa in capo alla P.A, il riesercizio del potere successivo all’annullamento. 

Quanto all’effetto demolitorio, la dottrina e la giurisprudenza tradizionali opinavano per l’idoneità della sentenza di annullamento ad eliminare dal mondo giuridico l’atto illegittimo con effetto ex tunc. 

La giurisprudenza più recente ha riconosciuto la possibilità per il giudice di determinare gli effetti (ex tunc x nunc) della sentenza ovvero di evitare l’annullamento del provvedimento disponendo solamente degli effetti conformativi nel caso in cui la “caducazione ex tunc non soddisfi l’interesse del ricorrente o rischi di comprometterlo” (Cons. St., sez. VI, 19 maggio 2011, n. 2755; TAR Piemonte, sez. I, 9 agosto 2017, n. 960). 

A fondamento dell’assunto si è valorizzata la mancanza di una norma di legge a sostegno della prassi dell’annullamento con effetto ex tunc, in uno al riconoscimento in capo alla P.A del potere di modulare gli effetti degli atti adottati in sede di autotutela (articolo 21 nonies L. 241/1990). 

In uno a tali argomentazioni, si è posto l’accento sulla necessità di assicurare l’effettività della tutela e quindi il pieno soddisfacimento della pretesa del ricorrente vittorioso (articolo 1 CPA, articoli 6 e 13 Cedu, articolo 24, 11 e 113 Cost.). 

La “flessibilità” degli effetti della sentenza di annullamento trova conferma nella recente statuizione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 22 dicembre 2017 n. 13) la quale ha affermato di poter modulare la portata temporale delle proprie decisioni, limitandone gli effetti al futuro in presenza delle seguenti condizioni: “1) obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare, 2)l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata, 3) la necessità di tutelare uno o più principi  costituzionali o di evitare gravi ripercussioni socio-economiche.”.” 

 

3. Accertamento dell’obbligo di provvedere

Il giudice, ai sensi dell’articolo 34, comma 1, lett. b): “ordina all’amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine”. 

Il legislatore, con la previsione in esame, individua la sentenza adottabile nel giudizio avverso il silenzio- inadempimento della P.A. La norma deve essere letta in combinato disposto con gli articoli 31, commi 1,2 e 3 (azione avverso il silenzio) e 117 CPA (rito avverso il silenzio). 

Per quanto di interesse, occorre rilevare come, sia pur nel rispetto del principio della separazione dei poteri e della riserva amministrativa in capo alla P.A., il legislatore abbia voluto assicurare alla parte vittoriosa l’utile soddisfacimento dell’aspettativa lesa dall’amministrazione. 

Il giudice, infatti, in presenza di attività vincolata o quando risulta che non residuano margini di discrezionalità ovvero non sono necessari adempimenti istruttori che devono essere compiuti dall’amministrazione “può pronunciare sulla fondatezza della pretesa”.  (articolo 31, comma 3, CPA). 

Il rispetto, altresì, del principio della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art 39 CPA e articolo112 c.p.c e articolo 34, comma 1 CPA) implica che il giudice può conoscere della fondatezza nel merito della pretesa del ricorrente, solo se quest’ultimo ne abbia fatto esplicita richiesta. 

Ulteriore limite all’accertamento della fondatezza della pretesa si rinviene nell’articolo 34, comma 2 a tenore del quale “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”. 

 

4. Pluralità ed atipicità delle tutele

L’azione di condanna è disciplinata dagli articoli 30 e 34 CPA La condanna è innanzitutto condanna al pagamento di somme e/o risarcimento (per equivalente o in forma specifica) del danno ingiusto da lesione di interessi legittimi (articolo 30 CPA). Può richiedersi, altresì, il risarcimento del danno da ritardo per inosservanza dolosa o colposa della P.A del termine di conclusione del procedimento (articolo 30, comma 4, CPA). Come si evince, però, dal dato letterale della norma la sentenza di condanna può avere anche un contenuto più ampio. 

La sentenza, infatti, può condannare l’amministrazione ad un “facere” specifico ovvero al rilascio del provvedimento richiesto. È la c.d. azione di esatto adempimento della P.A. L’inciso è stato aggiunto dal secondo decreto correttivo al Codice (articolo 1, Decreto Legislativo14 settembre 2012, n. 160). 

La norma prevede due limiti: l’uno di natura sostanziale e l’altro di carattere processuale. Sotto il primo profilo il richiamo all’articolo 31, comma 3, CPA introduce un limite al sindacato del giudice.  Questi potrà condannare l’amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto solo in presenza di attività vincolata e quindi di esaurimento di qualsivoglia aspetto di discrezionalità. Il secondo limite, invece assegna all’azione in esame carattere accessorio. L’azione di esatto adempimento non potrà essere esperita autonomamente ma solo contestualmente ad altra azione impugnatoria. 

Il Consiglio di Stato ha riconosciuto l’esperibilità dell’azione di esatto adempimento anche in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato: “la sezione consultiva del Consiglio di Stato può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta dal ricorrente con l’azione di adempimento – nel rispetto del principio della domanda e ricorrendone i presupposti di cui all’articolo 31, comma 3, CPA”.  A fondamento di tale affermazione di principio il Consiglio di Stato ha valorizzato l’alternatività del rimedio giustiziale rispetto a quello giurisdizionale, in uno al principio di effettività della tutela che “impone di interpretare le norme nel senso della massima garanzia possibile nei confronti delle istanze di giustizia delle parti”. (Cons. Stato, sez. II, 11 giugno 2018, n. 1517).

La norma in esame, poi, si occupa della sentenza di condanna “all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridico soggettiva dedotta in giudizio”. L’inciso positivizza il principio della generalità e della atipicità della tutela di condanna. 

Nel Codice la tutela di condanna è una forma generale di tutela giurisdizionale, tramite la quale il giudice può imporre espressamente alla parte soccombente una condotta idonea a soddisfare la pretesa dedotta in giudizio, in ogni caso in cui ne abbia accertato la fondatezza (A. Scognamiglio). Il principio di effettività di tutela, infatti, è alla base dell’interesse del legislatore per l’ampliamento delle azioni esperibili e, quindi, delle possibili statuizioni adottabili da parte del giudice. 

In tal senso si esprime anche la giurisprudenza la quale, nel valorizzare il principio dell’effettività della tutela e del giusto processo, ha riconosciuto come il disposto in esame sia idoneo a costituire base normativa per l’ammissibilità dell’azione di accertamento mero e, quindi, di sentenze di accertamento del rapporto controverso. A fondamento dell’assunto si valorizza: 1) la natura  sostanziale dell’interesse legittimo, 2) l’evoluzione dell’oggetto del processo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto; 3) la lettura sistematica delle norme processuali che prevedono una pluralità di azioni con relative sentenze di merito a contenuto meramente dichiarativo: sentenza dichiarativa della nullità (articolo 31 comma 4, CPA);sentenza dichiarativa dell’illegittimità, (articolo 34, comma 3, CPA); sentenza di merito dichiarativa della cessazione della materia del contendere (articolo 34, comma 5, CPA), sentenza dichiarativa della nullità dell’atto per violazione o elusione del giudicato (articolo 114, comma 4, lett.b, CPA); sentenza dichiarativa dell’inefficacia del contratto (articoli 121 e 122 CPA). In tal senso Cons. St. Ad. Plen. 29 luglio 2011, n. 15. 

 

5. Intensità del sindacato giurisdizionale e full jurisdiction

Il giudice, “nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato” (articolo 34, comma 1, lett.d), CPA 

La norma va letta in combinato disposto con l’articolo 134 CPA che individua le materie di giurisdizione estesa al merito. 

Il riferimento è: a)al giudizio di ottemperanza (articolo 112 e ss. CPA); b) agli atti ed alle operazioni in materia elettorale attribuiti alla giurisdizione amministrativa (articoli 126 e ss., CPA); c) alle sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità Amministrative Indipendenti e quelle previste dall’articolo 123 CPA; d) alle contestazioni sui confini degli enti territoriali; e)al diniego di rilascio di nulla osta cinematografico. Il contenzioso sulle sanzioni pecuniarie irrogate dalle Autorità Indipendenti rientra anche nella giurisdizione esclusiva (articolo 133, comma 1, lett. l, CPA). 

In punto di contenzioso sulle sanzioni adottate dalle Autorità Amministrative Indipendenti parte della giurisprudenza tende ad escludere che il giudice possa esercitare poteri sostitutivi pieni opinando per l’esperibilità di un sindacato intrinseco “debole” sulle valutazioni, espressive di discrezionalità tecnica, effettuate dalle Autorità Amministrative Indipendenti. (Cons. St., sez. v, 2 maggio 2012, n. 2521, Cons. St., sez. VI, 120 dicembre 2014, n. 6041). 

Il contenzioso in esame merita particolare attenzione alla luce delle recenti prese di posizione giurisprudenziali sull’intensità del sindacato del giudice amministrativo in conseguenza dell’influenza della CEDU sul diritto amministrativo interno. L’articolo 6 CEDU, rubricato “equo processo” al par.1 recita: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti”. La Corte di Strasburgo, nell’interpretare estensivamente il dato normativo richiamato, ha riconosciuto in capo “all’autorità pubblica deputata ad esercitare una funzione materialmente giurisdizionale”  il potere di esercitare un sindacato pieno ed effettivo al fine di assicurare l’effettività della tutela della posizione soggettiva asseritamente lesa (Corte Edu, 27 novembre 2011, Menarini Diagnostic srl c. Italia – sanzioni AGCM- e Corte Edu 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia – sanzioni Consob). Sul punto, il Consiglio di Stato, con la sentenza  n. 1596/2015,  prendendo le mosse dalla giurisprudenza della Corte Edu sopra richiamata, ha ritenuto che: “nei casi in cui, come accade negli ordinamenti do molti Stati membri, il procedimento amministrativo non offra garanzie equiparabili a quelle del processo giurisdizionale, allora l’articolo 6, par. 1, CEDU postula che l’interessato che subisce  la sanzione abbia la concreta possibilità di sottoporre la questione relativa alla fondatezza dell’accusa penale contro di lui mossa ad un organo indipendente e imparziale dotato del potere di esercitare un sindacato full jurisdiction. Il sindacato di full jiurisdiction implica, secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, il potere del giudice di sindacare la fondatezza, l’esattezza e la correttezza delle scelte amministrative così realizzando di fatto, un continuum tra procedimento amministrativo e procedimento giurisdizionale” (parag. 18 sent. ult. cit.). Richiamando le sentenze citate, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, (7 maggio 2019, n. 11929- sindacato atti AGCM) ha affermato che: “la non estensione al merito del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità Garante implica che il giudice non possa sostituire con un proprio provvedimento quello adottato da detta autorità ma non che  il sindacato sia limitato ai profili giuridico-formali dell’atto amministrativo, restandone esclusa ogni eventuale verifica dei presupposti di fatto”  (parag. 3.11 sent. ult. cit.). Il che sta a significare, secondo le Sezioni Unite, che il giudice amministrativo deve risolvere tutte le contestazioni mosse in fatto (siano i fatti semplici ovvero complessi) al fine di assicurare la pienezza di tutela di tutte le posizioni giuridiche soggettive coinvolte (par. 3.13 sent. ult. cit.).

 

6. Misure idonee ad assicurare l’anticipazione del giudicato: strumenti di coercizione indiretta.  

L’articolo 34, comma 1, lett.e), CPA prevede che il giudice:”dispone le misure idonee ad assicurare l’anticipazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza”. 

La norma citata consente al giudice della cognizione di fissare le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle sentenze non sospese. Più nello specifico il giudice può assegnare all’amministrazione soccombente un termine per l’adempimento e, contestualmente, nominare un commissario ad acta che sostituirà in maniera automatica l’amministrazione stessa alla scadenza del termine stabilito. La norma viene inquadrata tra le misure di coercizione indiretta per l’esecuzione delle sentenze di condanna.  Le misure di coercizione indiretta consistono nella minaccia di una lesione dell’interesse dell’obbligato più grave di quella che gli cagioni l’adempimento, allo scopo di influire sulla volontà e di indurlo ad adempiere spontaneamente l’obbligo al quale è tenuto. (Andreina Scognamiglio). 

La norma si affianca ad altri strumenti analoghi quali l’articolo 614 bis c.p.c. “misure di coercizione indiretta”. Il giudice civile con la sentenza di cognizione che definisce il giudizio di merito su richiesta di parte fissa la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. L’articolo, 34, comma 1, lett. e) CPA ben si coordina con la disciplina prevista dall’articolo 117, comma 3 CPA  in tema di tutela contro il silenzio della P.A. La norma infatti, in ottica sollecitatoria, prevede che il giudice, ove occorre, nomina il commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata. Il che ovviamente comporta che l’ordine può essere impartito quando l’atto è divenuto vincolato ovvero ha esaurito tutti i margini di discrezionalità.

 

7. Separazione dei poteri- Riserva del potere in capo alla P.A.

L’articolo 34, comma 2. CPA dispone che: “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. Salvo quanto previsto dall’articolo 30, comma 3, il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento di cui all’articolo 29”.  

Il legislatore con la disposizione in esame ha avvertito la necessità di ribadire quelli che sono i limiti generali al sindacato del giudice amministrativo. L’effettività della tutela giurisdizionale, garantita dalla previsione di una pluralità di strumenti posti a disposizione del ricorrente asseritamente leso dall’azione amministrativa, non può spingersi fino al punto di violare quello che è il principio cardine previsto dalla costituzione ovvero della separazione dei poteri. Il giudice amministrativo può sindacare la legittimità ovvero il merito (nelle materie di giurisdizione estesa al merito, articolo 134 CPA) dell’azione amministrativa ma non può pronunciarsi con riferimento ai poteri non ancora esercitati. 

La riserva di amministrazione in capo alla P.A., infatti, impone l’esistenza di un provvedimento immediatamente lesivo della situazione soggettiva facente capo al ricorrente. La mancanza di un siffatto provvedimento reca con sé l’impossibilità per il giudice di pronunciarsi e quindi l’inevitabile chiusura anticipata del giudizio con una pronuncia in rito a norma dell’articolo 35, comma 1, lett. b) CPA (inammissibilità). 

Quanto affermato trova conferma nella decisione del Consiglio di Sato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5. La Plenaria, nel rispondere al quesito sulla “vincolatività dell’ordine gerarchico assegnato dal ricorrente ai motivi di ricorso” e, nel richiamare il principio dispositivo (articolo 39, CPA e 99 c.p.c.), ha affermato che la disponibilità in capo al ricorrente dell’oggetto del processo trova il proprio limite  nell’articolo 34, comma 2, CPA. In forza di tale norma l’Ad. Plenaria ha sottratto il vizio di incompetenza alla graduazione dei motivi riconoscendo carattere prioritario ed assorbente al vizio di incompetenza. Il tutto al fine di consentire alla P.A. competente l’esercizio del potere pubblicistico.

La seconda parte della norma in esame ribadisce l’importanza del principio generale della perentorietà dei termini per l’impugnazione. Il legislatore, al fine di assicurare il rispetto delle esigenze di certezza sottese ai rapporti sostanziali pubblici controversi, ha previsto termini di decadenziali il cui decorso determina l’inoppugnabilità dell’atto amministrativo. Unica eccezione al principio in esame lo si rinviene nell’inciso “salvo quanto previsto dal 3 comma dell’articolo 30”.  A ben vedere più che una eccezione la norma ben si coordina con la diversità di indagine che il giudice amministrativo compie in sede risarcitoria rispetto a quella di legittimità. Mentre, infatti, in sede di giudizio di annullamento il giudice conosce direttamente della legittimità dell’atto amministrativo; nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno il giudice conosce l’illiceità comportamentale quale requisito strutturale richiesto, tra gli altri, dall’articolo 2043 c.c. ai fini dell’accertamento della fondatezza della domanda risarcitoria. L’atto amministrativo, secondo l’insegnamento della storica sentenza Cass. n. 500/1999 e successive interpretazioni giurisprudenziali, in sede risarcitoria, non rileva come atto bensì viene riqualificato in termini di comportamento illecito fonte di responsabilità ai sensi dell’articolo 2043 c.c.

 

8. Interesse ai fini risarcitori

“Quando nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”. (articolo 34, comma 3, CPA). La disposizione è stata designata, fin dalla sua introduzione, come espressiva della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto tra P.A. e privato rispetto al quale l’atto amministrativo diviene solo uno degli elementi, tra i tanti, oggetto di cognizione e accertamento da parte del giudice amministrativo (F. Caringella e M. Giustiniani). 

La giurisprudenza che si è occupata del tema si è divisa in ordine all’individuazione dell’ambito applicativo della norma. 

Secondo un primo orientamento l’articolo 34, comma 3, CPA “deve applicarsi in via restrittiva e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento oche è in procinto di farlo” (Cons. St., sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8550, id. TAR Parma, sez. I, 27 giugno 2016, n. 199; TAR Catania, sez. III,  13 maggio 2015, n. 1257; TAR Milano, sez. III, 28 agosto 2015, n. 1908, TAR Palermo, sez. II, 23 settembre 2015, n. 2314). A fondamento dell’assunto si valorizza la necessità di rispettare il principio della domanda (articolo 34, comma 1, CPA)  e quello di economia dei mezzi processuali (quale corollario della ragionevole durata del processo: articolo 2, comma 2, CPA). A tali assunti si sono aggiunte argomentazioni di carattere logico sistematico: “1) è coerente con il contesto normativo che disciplina l’azione di risarcimento del danno (che può essere proposta insieme alla domanda di annullamento, durante la pendenza del relativo giudizio, ovvero in via autonoma, articolo 30 CPA); 2)è coerente con la lettera e la ratio dell’articolo 1204 CPA, che dopo ave ribadito il divieto nel processo amministrativo di proporre domande nuove in appello,  introduce tre eccezioni, la prima delle quali incentrata proprio sull’articolo 34, comma 3, CPA” (cit. TAR Palermo, sez. II, 23 settembre 2019. 

Altra parte della giurisprudenza, invece, opina per la non necessarietà di una espressa domanda di parte. A fondamento dell’assunto si valorizza il dato letterale della norma in uno alla considerazione di carattere generale per cui “il petitum” della domanda di annullamento contiene in sé, come necessario presupposto, l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato. (cfr. Cons. St., sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817, Cons. St., sez. VI, 18 luglio 2014, n. 3848; TAR, L’Aquila, sez. I, 22 luglio 2015, n. 561). 

Di recente il Cons. St., Ad. Plen., sentenza 13 aprile 2015, n. 4  ha enunciato il principio di diritto per cui: “Sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell’istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, ed a essa debba seguire il mero rinnovo , in tutto o in parte, della procedura esperita”. Nei processi di carattere soggettivo, come è quello amministrativo (principio dispositivo- disponibilità dell’oggetto del processo- articolo 39 CPA artt 99 e 112 c.p.c) ciò che rileva è l’interesse del ricorrente di cui il giudice deve tenere conto nell’esercizio del suo potere giurisdizionale. Ai fini dell’articolo 34, comma 3, CPA questo comporterà che, in disparte una espressa e formale domanda di parte, sarà pur sempre necessaria, quanto meno in sede di discussione, una manifestazione di interesse della parte all’accertamento dell’illegittimità attraverso la prospettazione, anche per sommi capi, del danno di cui si intende chiedere il ristoro in separato giudizio.

 

9. Condanna articolo 34, comma 4, CPA

L’articolo 34, comma 4, CPA, prevede che: “In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti”.  La norma, nel riprodurre, sia pur con alcune modifiche, l’articolo 35, comma 2, Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (come novellato dall’articolo 7 L. 21 luglio 2000, n. 205), consente l’adozione di una sentenza di condanna con caratteri peculiari. Il giudice amministrativo, quando accoglie la domanda di condanna (che il ricorrente ha l’onere di formulare in modo completo), se nessuna delle parti gli chiede espressamente di provvedere alla liquidazione, può limitarsi a fissare nella sentenza i criteri per liquidare l’importo dovuto (A. Travi). In tal caso, entro il termine indicato in sentenza, l’amministrazione deve formulare la propria proposta. In caso di mancato accordo ovvero di inadempimento dell’accordo raggiunto si potrà adire il giudice in sede di ottemperanza. L’ambito di applicazione della norma in esame è più ampio rispetto a quello previsto dalla previgente disciplina di cui all’articolo 35 Decreto Legislativo 80/1998. 

Infatti lo strumento in esame, per espressa previsione del Codice, è utilizzabile per tutte le ipotesi di condanna al pagamento di somme di denaro e non solo per le domande di risarcimento danni (benché quest’ultimo sia il settore in cui la norma trova maggior applicazione attesi gli indubbi vantaggi, sotto il profilo probatorio, in punto di quantificazione del danno da lesione di interesse legittimo). La giurisprudenza prevalente opina per la non sovrapponibilità della norma con la condanna generica di cui all’articolo 278 c.p.c. A fondamento dell’assunto si valorizza il fatto che il debitore, nella fase di cognizione dinanzi a. g.a., deve in ogni caso fornire la prova positiva dell’an del danno.  Il giudice, dopo aver accertato tutti gli elementi positivi dell’illecito, potrà individuare criteri oggettivi predeterminati per la determinazione consensuale del “quantum” da corrispondere.  Il giudice, quindi, con la sentenza di accertamento del danno indica parametri vincolanti per le parti, destinati ad acquisire forza di giudicato con la conseguenza che gli stessi non potranno essere rimessi in discussione nemmeno dal giudice dell’ottemperanza (cfr. Cons. St., sez. V, 17 gennaio 2014, n. 186).  Il meccanismo di cui all’articolo 34, comma 4, CPA richiede una puntuale individuazione da parte del giudice dei criteri che le parti dovranno utilizzare per la determinazione delle somme spettanti al danneggiato (P. Tonnara). 

In tal modo il giudice dell’ottemperanza, potrà agilmente e celermente liquidare, in difetto di accordo e/o inadempimento di una delle parti, il quantum debeatur. 

 

10. Cessata materia del contendere

L’articolo 34, comma 5, CPA dispone che: Qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara cessata la materia del contendere”. 

Prima dell’entrata in vigore del Codice l’istituto era disciplinato dall’articolo 273, comma 7, L. TAR (“se l’amministrazione annulla o riforma l’atto impugnato in modo conforme all’istanza del ricorrente, il tribunale amministrativo regionale dà atto della cessata materia del contendere”) e veniva considerato una pronuncia di rito.

Il legislatore del 2010 colloca la sentenza dichiarativa della cessata materia del contendere tra le sentenze di merito assegnando peculiare rilievo alla satisfattività della pretesa del ricorrente. 

Come bene evidenziato dalla dottrina, dal confronto tra i testi normativi emerge come la previsione codicistica sia riferibile non già solo al giudizio impugnatorio ma a tutti i tipi di azioni proponibili in una prospettiva che individua l’oggetto del processo amministrativo nella pretesa sostanziale al bene della vita cui aspira il ricorrente (F. Caringella e M. Giustiniani).

Sulla cessazione della materia del contendere, prevista dall’articolo 34, comma 5, CPA, si registrano in giurisprudenza principi consolidati di seguito  richiamati:  a) può essere pronunciata nel caso in cui il ricorrente abbia ottenuto in via amministrativa il bene della vita atteso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2018, n. 2687), così da rendere inutile la prosecuzione del processo stante l’oggettivo venir meno della lite (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1135; sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 383; sez. IV, 7 maggio 2015, n. 2317); 

b) si differenzia dalla sopravvenuta carenza di interesse ex articolo 35, comma 1, lett. c), CPA che, invece, si verifica quando l’eventuale accoglimento del ricorso non produrrebbe più alcuna utilità al ricorrente, facendo venir meno la condizione dell’azione dell’interesse a ricorrere (Cons. Stato, sez. IV, 24 luglio 2017, n. 3638); 

c) è caratterizzata dal contenuto di accertamento nel merito della pretesa avanzata e dalla piena soddisfazione eventualmente offerta dalle successive determinazioni assunte dall’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5343; sez. IV 28 marzo 2017, n. 1426); 

d) qualora sia dichiarata in sede di impugnazione comporta la rimozione della sentenza impugnata in quanto priva di attualità con conseguente perdita di ogni effetto della stessa anche per ciò che attiene all’eventuale condanna al pagamento delle spese (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2014, n. 6338; sez. V, 5 marzo 2012, n. 1258, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6541); 

e) in mancanza di accordo delle parti, il giudice deve procedere all’accertamento virtuale sulla fondatezza dell’originaria pretesa ai fini del regolamento delle spese di lite (Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2909). 

 

Il punto di vista dell’Autore 

L’analisi dell’articolo 34 CPA, nei suoi sviluppi teorici e giurisprudenziali, dimostra come il legislatore del 2010, in omaggio al principio nazionale (articolo 111 cost.) ed europeo (articolo 6 CEDU e articolo 47, comma 2, Carta dei diritti dell’Unione Europea) del giusto processo abbia voluto ampliare gli strumenti di tutela così da rendere effettiva e concreta la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche soggettive vantate dai privati nei confronti della P.A.  nei rapporti di diritto pubblico. La tensione verso l’effettività è ben evidente nei recenti sviluppi giurisprudenziali in punto di full jurisdiction. La giurisprudenza, sotto le spinte delle recenti prese di posizione della CEDU riconosce in capo al giudice amministrativo la piena cognizione dei fatti posti a fondamento della vertenza, siano essi semplici o complessi. Il tutto ovviamente sempre nel rispetto della separazione dei poteri e della riserva amministrativa in capo alla P.A.