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Art. 88

 Contenuto della sentenza

1. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e reca l’intestazione «Repubblica italiana».

2. Essa deve contenere:

a) l’indicazione del giudice adito e del collegio che l’ha pronunciata;

b) l’indicazione delle parti e dei loro avvocati;

c) le domande;

d) la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi;

e) il dispositivo, ivi compresa la pronuncia sulle spese;

f) l’ordine che la decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa;

g) l’indicazione del giorno, mese, anno e luogo in cui la decisione è pronunciata;

h) la sottoscrizione del presidente e dell’estensore.

3. Si applica l’articolo 118, comma 3, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile.

4. Se il presidente non può sottoscrivere per morte o altro impedimento, la sentenza è sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento; se l’estensore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento, è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento.

Bibliografia. S. Cassarino, Manuale di diritto processuale amministrativo, Giuffrè, 1990; G. Conte – S. Landini, Principi, Regole, Interpretazione, Editore Universitas Studiorum, 2017; A. Corsaro, Il processo amministrativo. Percorsi giurisprudenziali, Giuffrè, 2012; M. De Bernardi, La legge delle citazioni del 426 d.C. e l’articolo 118 delle disposizioni per l’attuazione del vigente codice di procedura civile italiano, in Rivista di Diritto Romano, XIII, 2013, in www.ledonline.it/rivistadirittoromano/; S. Evangelista, Motivazione della sentenza civile, in ED, XXVII, Milano, 1977, 154; A. Liberati, Il Nuovo Diritto Processuale Amministrativo, IV volume, CEDAM, 2010; G. Palliggiano – U. Zingales, Il codice del nuovo processo amministrativo, IPSOA, 2012; M.A. Sandulli, Il nuovo processo amministrativo. Studi e contributi, vol. 1, Giuffrè, 2013.

 

Sommario. 1. Gli elementi essenziali della sentenza. 2. La motivazione della sentenza e il rinvio all’articolo 118, co. III, disp. att. c.p.c. 3. Gli impedimenti alla sottoscrizione della sentenza e le conseguenze della mancata sottoscrizione.

 

1. Gli elementi essenziali della sentenza

Sono diversi gli elementi che compongono una sentenza. Innanzitutto, la sentenza reca l’intestazione “Repubblica Italiana” ed è pronunciata “in nome del popolo italiano”: secondo la dottrina, la mancanza dell’intestazione non dovrebbe invalidare la pronuncia, costituendo “una mera irregolarità, sanabile col particolare procedimento di correzione” (S. Cassarino).

Gli ulteriori elementi compositivi della sentenza sono poi elencati tra le lettere A) ed H) del comma II dell’articolo 88 CPA Gli elementi non seguono un ordine rigoroso né devono essere espressi con precise formule sacramentali: “è solo necessario che ciascuno di questi elementi possa essere desunto senza incertezze dal contesto della sentenza” (Cass. Civ. del 21.09.1979, n. 4870).

 

2. La motivazione della sentenza e il rinvio all’articolo 118, co. III, disp. att. c.p.c

In conformità a quanto stabilito dall’articolo 111 della Costituzione (“tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”), la sentenza deve essere motivata.

La motivazione si articola in una “concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi”. La presenza della motivazione è indispensabile sul piano logico e giuridico affinchè la sentenza assolva la sua funzione; di conseguenza, l’assenza di motivazione determina la nullità assoluta del provvedimento giudiziario (Cons. St. del 24.02.2020, n. 1376).

La motivazione della sentenza deve attenersi al principio di sinteticità e ciò, almeno in parte, spiega il rinvio che la norma in esame opera nei confronti dell’articolo 118, co. III, disp. att. c.p.c.: “In ogni caso deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici”.

Quest’ultimo divieto di citazione – la cui inosservanza non determina alcun vizio del provvedimento (Cass. Civ. del 23.10.2001, n. 12999; Cass. Civ. del 06.10.1994, n. 8184) – è stato introdotto dal legislatore al fine di impedire la pratica, un tempo assai diffusa tra i giudici, di citare gli autori giuridici nella redazione dei provvedimenti decisori.

Questa prassi, spiega magistralmente Alessio Liberati, è stata seguita per lungo tempo perché rappresentava un indice di valutazione della completezza e dell’esaustività dello studio del giudice e, in qualche modo, influenzava la sua progressione di carriera nella magistratura. Poi, a distanza di anni, il legislatore ha compreso che una simile pratica avrebbe conflitto con la funzione pubblica dell’attività giurisdizionale e con la celerità delle decisioni e, di conseguenza, l’ha vietata.

In tempi recenti, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (alias l’organo di autogoverno della giustizia amministrativa) ha osservato che il presente divieto di citazione non dovrebbe impedire ai giudici di riprodurre/ricopiare estratti di testi di dottrina nella motivazione dei propri provvedimenti (n.b.: la decisione dell’organo di autogoverno riguarda la pronuncia n. 2318/2007 del Consiglio di Stato).

 

3. Gli impedimenti alla sottoscrizione della sentenza e le conseguenze della mancata sottoscrizione

L’ultimo comma dell’articolo 88 CPA, prevede un meccanismo sostitutivo operante nell’ipotesi in cui il presidente e/o l’estensore appartenenti al collegio giudicante non sottoscrivano la sentenza per morte e/o per altro impedimento. In simili ipotesi, la sentenza viene sottoscritta dal presidente (se l’estensore muore o è impedito) o dal componente più anziano del collegio (se il presidente muore o è impedito) purchè venga menzionato l’impedimento prima della sottoscrizione.

La sottoscrizione rappresenta un requisito essenziale del provvedimento, “la cui mancanza determina la nullità assoluta ed insanabile (ovvero l’inesistenza del provvedimento, rilevabile d’ufficio), cui non può ovviarsi né con il provvedimento di correzione degli errori materiali né con la rinnovazione della sua pubblicazione da parte dello stesso organo giurisdizionale” (Cons. St. del 24.10.2012, n. 5441; Cons. St. del 28.09.2006, n. 5689).

La rinnovazione della pubblicazione della sentenza, invece, sarebbe ammissibile secondo il TAR Campania – Napoli, nelle ipotesi, rispettivamente, di difetto di sottoscrizione del giudice o di errata sottoscrizione da parte di un giudice non appartenente al collegio giudicante: i componenti del collegio giudicante e/o il giudice monocratico “preso atto dell’inesistenza della decisione già pubblicata e in quanto ancora investiti della potestà di decidere, non consumata da un atto inesistente, possono procedere alla nuova deliberazione e redazione della sentenza alla stregua degli articoli 276, 132, secondo comma , c.p.c. e 119 disp. att” (TAR Campania – Napoli del 23.02.2004, n. 2316).

 

Il punto di vista dell’Autore

Il rinvio della norma in esame all’articolo 118, co. III, disp. att. c.p.c.:, ripropone in chiave moderna una vecchia regola, già esistente nell’articolo 265 del Regolamento generale giudiziario per l’esecuzione del Codice di procedura civile (R.D. n. 2641/1865) secondo cui “nella compilazione dei motivi delle sentenze devono separarsi le questioni di fatto dalle questioni di diritto; si enunciano gli articoli di legge, sui quali la sentenza è fondata, e si fa un cenno conciso dei principi generali del diritto che avranno influito sulla decisione, senza estendersi a confutare tutti gli argomenti addotti in contrario dai patrocinatori delle parti, e senza invocare l’autorità degli scrittori legali”.

A mio parere, nonostante il tempo trascorso, il divieto di citazione degli autori giuridici conserva ancora oggi una sua funzione: se in passato esprimeva l’idiosincrasia del legislatore verso la dottrina giuridica, oggi, invece, contribuisce alla formazione di decisioni sintetiche e celeri, garantendo così il buon andamento dell’azione giudiziaria.

La disposizione, annullando la citazione degli autori giuridici, risponde a una precisa politica legislativa che, per ragioni di certezza del diritto, vuole limitare quanto più possibile il ruolo e l’intervento “creativo” della dottrina.