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Art. 42 - Disciplina delle spese, dei compensi e dei rimborsi

1. Le spese necessarie o utili per la conservazione e l’amministrazione dei beni sono sostenute dall’amministratore giudiziario mediante prelevamento dalle somme riscosse a qualunque titolo ovvero sequestrate, confiscate o comunque nella disponibilità del procedimento.

2. Se dalla gestione dei beni sequestrati o confiscati non è ricavabile denaro sufficiente per il pagamento delle spese di cui al comma 1, le stesse sono anticipate dallo Stato, con diritto al recupero nei confronti del titolare del bene in caso di revoca del sequestro o della confisca.

3. Nel caso sia disposta la confisca dei beni, le somme per il pagamento dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario, per il rimborso delle spese sostenute per i coadiutori e quelle di cui all’articolo 35, comma 9, sono inserite nel conto della gestione; qualora la confisca non venga disposta, ovvero le disponibilità del predetto conto non siano sufficienti per provvedere al pagamento delle anzidette spese, le somme occorrenti sono anticipate, in tutto o in parte, dallo Stato, senza diritto al recupero. Se il sequestro o la confisca sono revocati, le somme suddette sono poste a carico dello Stato.

4. La determinazione dell’ammontare del compenso, la liquidazione dello stesso e del trattamento di cui all’articolo 35, comma 8, nonché il rimborso delle spese sostenute per i coadiutori, sono disposti con decreto motivato del tribunale, su relazione del giudice delegato. Il compenso degli amministratori giudiziari è liquidato sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14.

5. Le liquidazioni e i rimborsi di cui al comma 4 sono fatti prima della redazione del conto finale. In relazione alla durata dell’amministrazione e per gli altri giustificati motivi il tribunale concede, su richiesta dell’amministratore giudiziario e sentito il giudice delegato, acconti sul compenso finale. Il tribunale dispone in merito agli adempimenti richiesti entro cinque giorni dal ricevimento della richiesta.

6. I provvedimenti di liquidazione o di rimborso sono comunicati all’amministratore giudiziario mediante avviso di deposito del decreto in cancelleria e all’Agenzia per via telematica.

7. Entro venti giorni dalla comunicazione dell’avviso, l’amministratore giudiziario può proporre ricorso avverso il provvedimento che ha disposto la liquidazione o il rimborso. La corte d’appello decide sul ricorso in camera di consiglio, previa audizione del ricorrente, entro quindici giorni dal deposito del ricorso. Se il provvedimento impugnato è stato emesso dalla corte d’appello, sul ricorso decide la medesima corte in diversa composizione.

Rassegna di giurisprudenza

Le censure che attengono alla omessa liquidazione del compenso in relazione all’attività prestata dal coadiutore tecnico sono fondate e meritevoli di accoglimento.

Sul punto il ricorso coglie nel segno, là dove evidenzia l’intima contraddizione motivazionale del provvedimento impugnato che, da una parte, riconosce ed afferma che il compenso dovuto al coadiutore «non possa essere sic et simpliciter posto a carico dell’amministratore»; dall’altra, sulla base di una discutibile interpretazione del disposto normativo, statuisce che all’amministratore spetta esclusivamente il rimborso di somme da lui già erogate al coadiutore, per cui nella specie tale parte del compenso non sarebbe dovuta.

Di contro, appare chiaro che un coadiutore nominato previa autorizzazione del tribunale, come nel caso, abbia diritto ad essere compensato dalla procedura, a prescindere dal fatto che egli sia già stato “liquidato” dall’amministratore giudiziario.

È evidente, del resto, che il compenso a favore dell’amministratore giudiziario deve necessariamente ricomprendere il compenso e le spese spettanti al coadiutore, eventualmente ridotte dal tribunale sulla base di una valutazione discrezionale dell’attività compiuta dall’ausiliario dell’amministratore.

La disciplina di cui al DPR 177/2015 non fissa alcun principio per cui l’amministratore giudiziario è tenuto in proprio al pagamento dei coadiutori di cui si avvale, derivandone solo in seguito il suo diritto ad ottenere il rimborso delle spese sostenute. Semmai è vero il contrario, posto che la norma di cui all’art. 3, comma 8, DPR 177/2015, nel disporre che all’amministratore “spetta un rimborso forfettario delle spese generali”, ivi comprese le spese sostenute ed i costi dei coadiutori, non osta ad una interpretazione che valorizzi il diritto al rimborso delle spese documentate, tra cui quelle dei coadiutori, anche se non anticipate dall’amministratore.

Insomma, il senso della norma è che i costi conseguenti ai coadiutori di cui l’amministratore si sia avvalso (previa autorizzazione del tribunale) debbano essere comunque corrisposti all’amministratore al lordo del suo compenso (Sez. 4, 45209/2019).

L’art. 8 D. Lgs. 14/2010 sancisce il principio in virtù del quale “nel caso in cui siano oggetto di sequestro o confisca patrimoni misti, che comprendano sia singoli beni o complessi di beni che beni costituiti in azienda, si applichi il criterio della prevalenza, con riferimento alla gestione più onerosa, maggiorato di una percentuale da definirsi per ogni altra tipologia di gestione meno onerosa”.

Dovendosi calcolare la liquidazione dell’amministratore in funzione dei beni amministrati riconducibili al soggetto proposto, il criterio stabilito dal comma 6 del citato art. 3 (in caso di beni rientranti in almeno due delle categorie indicate alle lettere a), b), c), e d) del comma 1) è quello della prevalenza della gestione più onerosa, tanto che il successivo comma 9 stabilisce che quando i beni sequestrati appartengono a più proposti, per la liquidazione del compenso si procede in relazione a ciascuna massa attiva e passiva.

Si tratta di un criterio di liquidazione che ha come punto di riferimento il complesso della massa patrimoniale di cui il proposto ha la disponibilità, e che per masse particolarmente consistenti prevede la facoltà di un’ulteriore maggiorazione (per una percentuale non superiore al 25 per cento per ogni altra tipologia di gestione ed in relazione alla complessità della stessa, vedi lo stesso comma 6 dell’art. 3), consentendo di disporre un quantum di liquidazione che tenga effettivamente conto della concreta complessità e difficoltà di gestione del patrimonio composto da diverse tipologie di beni.

Un simile criterio, di per sé, non appare lesivo del diritto costituzionale alla remunerazione del lavoro, come prospettato dal ricorrente, non potendosi in astratto affermare che lo stesso comporti la liquidazione di somme eccessivamente ridotte rispetto all’impegno profuso dall’amministratore (Sez. 4, 452019/2019).

Non vi è dubbio alcuno circa il fatto che – come testualmente affermato nel corpo dell’art. 42 – le spese per i compensi spettanti all’amministratore giudiziario, così come quelle sostenute (dall’amministratore giudiziario) per i coadiutori, in caso di restituzione alla parte privata del bene già oggetto di sequestro vadano poste a carico dello Stato.

Ciò deriva dal generale principio per cui l’avvenuto spossessamento del privato – con gestione giudiziaria del bene sequestrato – non può e non deve determinare, in caso di restituzione del bene, pesi sul diritto di proprietà che non siano giustificati dallo stesso andamento della gestione. In particolare la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che le spese sostenute per gli organi di amministrazione giudiziaria hanno natura di spese giudiziali e pertanto – seguendo la soccombenza – vanno poste a carico dello Stato.

In caso di restituzione i costi dell’amministrazione – intesi quale compenso dell’amministratore + spese sostenute da costui per i coadiutori – vanno dunque scorporati e, dopo l’approvazione del rendiconto di gestione, vanno imputati a carico dello Stato.

In caso in esame tuttavia si caratterizza per una particolare condizione relativa alla posizione del coadiutore, evidenziata dal giudice dell’esecuzione e rappresentata dalla esistenza di un contratto di collaborazione intervenuto tra tale soggetto e l’ente in sequestro, in costanza di procedura. La posizione del coadiutore è prevista e regolamentata dall’art. 35, comma 4. Si tratta di soggetti dotati di particolari competenze tecniche che l’amministratore giudiziario – in caso di gestioni complesse – può porre al suo servizio, organizzando – sotto la propria responsabilità – un ufficio di coadiuzione.

La legge vigente (con nova inseriti dalla L. 161/2017) prevede che detta scelta venga comunicata al giudice procedente con «autorizzazione» da parte del medesimo e prevede un regime di incompatibilità (art. 35, comma 4–bis) anche per i coadiutori. Appare dunque evidente, al di là della miglior articolazione dell’istituto derivante dalle modifiche normative intervenute nel 2017, che il «coadiutore» è un soggetto che collabora in via diretta con l’amministratore giudiziario al fine di contribuire a realizzare gli scopi del pubblico ufficio di gestione giudiziaria.

La sua retribuzione – nella dimensione normativa – è a carico dell’amministratore giudiziario, sotto forma di spesa sostenuta (e con inserimento della medesima nel conto della gestione ai sensi dell’art. 42, comma 3).

Da ciò deriva che lì dove il soggetto in esame venga «assunto» dalla società in sequestro perde la qualifica di coadiutore dell’amministratore giudiziario, non essendo prevista dalla legge simile modalità operativa (Sez. 1, 42718/2019).

L’art. 117, comma 1, ha stabilito che le disposizioni relative, tra l’altro, al compenso spettante agli amministratori giudiziari (art. 42, comma 4), non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data, di entrata in vigore del predetto decreto legislativo, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali ipotesi, trovano applicazione le norme anteriormente in vigore, vale a dire l’art. 2–octies L. 575/1965.

Tale norma prevede che “la determinazione dell’ammontare del compenso, la liquidazione dello stesso ... sono disposti con decreto motivato del tribunale, su relazione del GD, tenuto conto del valore commerciale del patrimonio amministrato, dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, dalla sollecitudine con la quale furono condotte le operazioni di amministrazione, delle tariffe professionali o locali e degli usi”.

Ora, dall’interpretazione letterale di tale norma si evince che il legislatore ha fissato una serie di parametri oggettivi e predeterminati cui il tribunale deve attenersi nel procedere (tra l’altro) alla liquidazione finale dei compensi in favore dei custodi e degli amministratori dei beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento di prevenzione, vale a dire: a) il valore commerciale del patrimonio amministrato; b) l’opera prestata; c) i risultati ottenuti; d) la sollecitudine con la quale sono state svolte le operazioni di amministrazione; e) le tariffe professionali o locali; f) gli usi.

Il riferimento alle tariffe professionali o locali e agli usi dev’essere, a sua volta, correlato, in una prospettiva esegetica di tipo logico–sistematico, con il disposto dell’art. 2–septies, comma 5 L. 575/1965, che autorizza l’AG a scegliere l’amministratore, oltre che tra i professionisti iscritti in appositi albi, anche fra le persone che abbiano comprovata esperienza nell’amministrazione di beni del genere di quelli sequestrate.

La lettura coordinata delle due disposizioni in precedenza richiamate consente di affermare che l’art. 2–octies, avuto riguardo alla sua ampia e diversificata portata applicativa e alla sua rado, nonché alla sua collocazione topografica, elenca in maniera omnicomprensiva e necessariamente generalizzata i criteri che devono guidare l’attività del giudice (tra l’altro) nella liquidazione finale dei compensi.

Tenuto conto, però, della varietà delle figure professionali su cui può cadere la scelta motivata dell’AG e del loro differente inquadramento normativo, è indubbio che il richiamo alle tariffe professionali assume una valenza univoca solo con riguardo a quelle categorie i cui compensi siano oggetto di specifica disciplina.

Viceversa, il rinvio alle tariffe locali o agli usi trova la sua ragione di essere con esclusivo riferimento alla nomina, quale amministratore, di una persona non inquadrata in alcuna delle categorie per le quali è dettata un’apposita disciplina riguardante la liquidazione delle spettanze.

Peraltro, come la giurisprudenza di legittimità ha avuto più volte occasione di precisare, sia pure con riferimento alle tariffe relative alle prestazioni professionali rese dagli avvocati, in caso di successione di tariffe professionali, la liquidazione degli onorari va effettuata in base alla tariffa vigente al momento in cui le attività professionali sono state condotte a termine, identificandosi tale momento con quello dell’esaurimento dell’intera fase rilevante ovvero, per il caso in cui le prestazioni siano cessate prima, con il momento di tale cessazione.

Tale principio, in ragione dell’evidente analogia di materia, dev’essere applicato anche al caso in esame: anche la gestione di un bene da parte dell’amministratore giudiziario è configurabile come un’attività di carattere professionale che, ai fini della liquidazione del compenso, dev’essere considerata non atomisticamente ma in senso complessivo, non diversamente da quella svolta in sede di difesa in giudizio da parte dell’avvocato (categoria professionale i cui appartenenti, non a caso, ben possono essere investiti della qualifica di amministratore giudiziario e dei relativi compiti).

Anche per questo caso, pertanto, premessa la già acquisita necessità di riferirsi per la determinazione dei compensi alle tariffe vigenti per la categoria professionale interessata, deve concludersi nel senso che l’individuazione della tabella pertinente vada eseguita, ove l’incarico si sia svolto diacronicamente sotto la vigenza di tabelle diverse succedutesi nel tempo, attraverso l’utilizzazione della tabella applicabile al momento in cui l’incarico si è esaurito o si è, comunque, concluso.

È, peraltro, evidente che nella determinazione dei compensi il giudice avrà la possibilità di esercitare la propria discrezionalità, nei limiti delle forcelle di valore previste dalla tabella professionale di riferimento, valutando – onde meglio calibrare, fra un minimo ed un massimo astrattamente previsti, l’importo del compenso in questione, e giusta la previsione del ricordato art. 2–octies – oltre al valore commerciale dei beni patrimoniali amministrati, anche la qualità e la complessità dell’opera prestata dall’amministratore, la sollecitudine dimostrata dal medesimo ed i risultati da lui ottenuti nella gestione dei beni oggetto del suo incarico, potendo in tal modo modulare l’importo dell’effettivo compenso alla reale materialità dell’opera di volta in volta prestata dal professionista (Sez. 2 civile, 21592/2019).

Nessun dubbio sussiste sull’attribuzione all’Erario del compenso dell’amministrazione giudiziario in caso di revoca della misura di prevenzione patrimoniale, trattandosi della remunerazione delle competenze dovute per la custodia dell’organo dell’amministrazione giudiziaria che, sotto la vigilanza del GD, svolge funzioni, sostanzialmente di curatela, del bene vincolato. Siffatte funzioni sono definite dall’art. 2–sexies, commi 10, 11 e 12 e 2–octies L. 575/1965.

La specifica regolamentazione dettata per l’attività di conservazione e amministrazione dei beni confiscati delinea inequivocabilmente un assetto che incentra nel tribunale della prevenzione il controllo relativo ad ogni aspetto attinente alla gestione dei beni confiscati e la cognizione sugli incidenti relativi alla corretta realizzazione dell’effetto ablativo.

Il delineato sistema si incentra sulla figura dell’amministrazione giudiziaria, ufficio di diritto pubblico, che si sostanzia in poteri di rappresentanza ed amministrazione ordinaria del bene e che fonda sulla necessaria sostituzione nelle prerogative del proprietario, escluso per effetto della misura ablatoria dall’esercizio delle corrispondenti facoltà.

Siffatti poteri incontrano un limite naturale conformato alla natura del bene sottoposto a vincolo giudiziale, di guisa che – ove l’oggetto del sequestro sia costituito dai beni aziendali e dal capitale sociale di una persona giuridica – l’amministrazione giudiziale si affianca e non si sostituisce all’organo amministrativo, previsto dalla legge o dallo statuto, per preservare la funzionalità della persona giuridica.

Di guisa che alla custodia statica riconosciuta all’amministratore giudiziario, in funzione di controllo e garanzia di legalità, viene a giustapporsi la gestione dinamica dell’impresa al fine della sua conservazione nel mercato, che sistema delle misure di prevenzione patrimoniale garantisce ed in funzione della quale è orientato a potenziarne la redditività.

Il mantenimento della produttività aziendale e la conservazione della forza lavoro impiegata costituiscono, difatti, le linee direttrici lungo le quali si è mosso anche il percorso riformatore delle misure di prevenzione patrimoniali, approdato alle modifiche apportate al codice antimafia che intende coniugare la legalità dell’impresa mafiosa, la sua conservazione nel mercato ed il mantenimento dei livelli occupazionali, in una visione macroeconomica di sistema che privilegia l’iniziativa economica e l’utile sociale.

Nel quadro dei valori di riferimento, nessuna disposizione normativa esclude che la società – il cui capitale sociale ed i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro – possa avvalersi degli organi previsti dalla legge e dallo statuto, secondo valutazioni di funzionalità rimesse all’approvazione del GD, demandando a chiunque vi abbia interesse – e dunque anche all’amministratore estromesso – la facoltà di proporre opposizione al tribunale della prevenzione avverso i provvedimenti di amministrazione al fine di assicurare la protezione di interessi meritevoli di tutela.

Di guisa che anche avverso il provvedimento di autorizzazione alla nomina del consiglio di amministrazione ed avverso la delibera di determinazione del compenso dell’organo esecutivo è consentito – a tutela della integrità aziendale – proporre opposizione.

II “doppio binario” che viene in tal modo a delinearsi comporta che i costi di remunerazione dell’organo amministrativo della società debbano essere annoverati nella categoria delle spese di gestione che, consentendo la prosecuzione dell’attività e l’utile di impresa, sono contabilizzate nei costi d’esercizio e, in quanto tali, non sono soggette a rimborso in ipotesi di restituzione del bene produttivo, in quanto necessarie all’amministrazione.

Deve essere, pertanto, affermato il principio di diritto secondo cui, in caso di revoca di misura di sicurezza patrimoniale di una società, le spese di gestione – compreso il compenso percepito dall’organo amministrativo societario – gravano sulla società e non sono suscettibili di rimborso dopo il dissequestro (Sez. 5, 24663/2018).

Il terzo comma dell’articolo 42 precisa che, nel caso sia disposta la confisca dei beni, le somme per il pagamento dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario sono inserite nel conto della gestione, aggiungendo che “qualora la confisca non venga disposta, ovvero le disponibilità del predetto conto non siano sufficienti per provvedere al pagamento delle anzidette spese, le somme occorrenti sono anticipate, in tutto o in parte, dallo Stato, senza diritto al recupero.

Se il sequestro o la confisca sono revocati, le somme suddette sono poste a carico dello Stato”. A sua volta, il quinto comma dell’articolo 42 dispone che “In relazione alla durata dell’amministrazione e per gli altri giustificati motivi il tribunale concede, su richiesta dell’amministratore giudiziario e sentito il GD, acconti sul compenso finale “.

Dunque, il quinto comma dell’articolo 42 nulla dispone circa l’imputazione dell’acconto, chiarendo soltanto che, nel corso della procedura, l’amministratore giudiziario ne può beneficiare per giustificati motivi o in relazione alla durata dell’incarico.

Il terzo comma dell’articolo 42, invece, disciplina l’imputazione dell’acconto ma non menziona esclusivamente il provvedimento di confisca perché, nell’ultima parte della disposizione, equipara il provvedimento ablativo al sequestro, sia pure ai soli fini della revoca, e proprio per questo presuppone che, in caso di sequestro, l’imputazione va fatta al conto di gestione della procedura, altrimenti non avrebbe avuto senso accomunare confisca e sequestro, mentre, nella prima parte della disposizione, il riferimento alla sola confisca si spiega con il fatto che, nel caso di specie, questa presuppone il sequestro, il quale è prodromico all’eventuale confisca.

In altri termini, l’articolo 42 è soggetto a un’interpretazione per simmetria nel senso che, siccome nel caso di revoca del sequestro le somme per il pagamento dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario sono poste a carico dello Stato, invece, quando il sequestro è mantenuto, le somme per il pagamento dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario seguono – anche nel caso di acconto, se dovuto, sui compensi finali – le regole generali, ossia che dette spese sono inserite nel conto della gestione ovvero se le disponibilità del predetto conto non siano sufficienti per provvedere al pagamento di esse, le somme occorrenti sono anticipate, in tutto o in parte, dallo Stato, senza diritto al recupero (Sez. 3, 51600/2017).

 

Altre fonti normative

Art. 9 DL 1/2012, convertito con modifiche con L. 27/2012

DM 140/2012: Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto–legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

 

Linee guida, circolari e prassi

Tribunale di Palermo, sezione misure di prevenzione, “Direttive per lo svolgimento dell’incarico di amministratore giudiziario”, 17 gennaio 2017, reperibile al seguente link: https://www.avvisopubblico.it/home/wp–content/uploads/2017/03/circolare–su–amministratori–giudiziari–palermo.pdf

Tribunale di Roma e ODCEC di Roma, “Protocollo di intesa per la liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari di beni sequestrati e confiscati”, 23 maggio 2014, reperibile al seguente link: http://www.tribunale.roma.it/documentazione/D_7420.pdf

CNDCEC, “Linee guida in materia di amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati”, ottobre 2015, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=fb16cd12–3c1c–493f–a46f–dcea39c24929

ODCEC di Napoli, “L’amministrazione giudiziaria”, maggio 2018, reperibile al seguente link: https://www.commercialisti.it/documents/20182/323701/2018.03.05_Riforma+del+codice+antimafia_revisione.pdf