x

x

Art. 15 - Rapporti dell’obbligo di soggiorno con la detenzione, le misure di sicurezza e la libertà vigilata (1)

1. Il tempo trascorso in custodia cautelare seguita da condanna o in espiazione di pena detentiva, anche se per effetto di conversione di pena pecuniaria, non è computato nella durata dell’obbligo del soggiorno.

2. L’obbligo del soggiorno cessa di diritto se la persona obbligata è sottoposta a misura di sicurezza detentiva. Se alla persona obbligata a soggiornare è applicata la libertà vigilata, la persona stessa vi è sottoposta dopo la cessazione dell’obbligo del soggiorno.

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 291/2013, ha dichiarato, tra l’altro, in applicazione dell’art. 27, L. 87/1953, l’illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 15, nel disciplinare il rapporto tra stato di detenzione (per espiazione pena) ed esecuzione di una misura di prevenzione personale, alla luce dell’intervento additivo della Corte costituzionale 291/2013, prevede che in caso di detenzione di lunga durata, lo stato di sospensione della misura non cessi all’atto della fine dell’esecuzione della pena, ma permanga fino a quando il giudice competente non verifichi nuovamente la pericolosità sociale della persona sottoposta alla misura e quest’ultima non gli sia stata notificata.

Pertanto, in tali ipotesi, la nuova verifica da parte del giudice competente, attestante la pericolosità della persona, costituisce una condizione di efficacia della misura di prevenzione. In difetto di tale accertamento, non sussiste il reato di cui all’art. 75, comma 2, in quanto non avendo efficacia il provvedimento genetico della misura di prevenzione, non può configurarsi il fatto penalmente rilevante della sua violazione.

Tale interpretazione trova ora sostegno normativo nel nuovo art. 14, comma 2–ter, introdotto dalla L. 161/2017. La disposizione prevede che, dopo la cessazione dello stato di detenzione per espiazione di pena, la verifica della pericolosità avviene ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione che si è protratta per almeno due anni, attraverso un procedimento, nel corso del quale sono assunte le necessarie informazioni.

Si valorizza in tal modo l’esigenza di un accertamento dell’attualità della pericolosità sociale, necessario presupposto sul piano costituzionale e convenzionale, dell’applicazione di una misura di prevenzione.

A tale prospettiva interpretativa, fornisce continuità la recente pronuncia delle Sezioni unite secondo cui, l’accertamento della “attualità” della pericolosità è necessario persino per coloro che sono indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso (SU, 111/2018).

In considerazione di quanto detto va affermato il seguente principio di diritto: “Nei confronti di un soggetto destinatario di una misura di sorveglianza speciale, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza di una rivalutazione dell’attualità e persistenza della sua pericolosità sociale ad opera del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura, non è configurabile il reato di reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75” (SU, 51407/2018).

La Corte costituzionale (sentenza 291/2013) intervenendo sull’art. 12 L. 1423/1956 (ora art. 15), ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui non prevedeva che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale fosse stata sospesa a causa della detenzione per espiazione di pena, l’organo che aveva adottato il provvedimento di applicazione fosse tenuto a valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale nel momento dell’esecuzione della misura.

La Corte costituzionale ha richiamato l’art. 679 CPP secondo cui, quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti.

Si è così legittimato una sorta di accertamento bifasico, da operare in cognizione, verificando la sussistenza della pericolosità al momento della pronuncia della sentenza e, successivamente, a misura disposta, allorquando essa doveva essere messa in esecuzione.

Con ciò valorizzando l’affinità tra la misura di scurezza e quella di prevenzione e armonizzandone gli statuti di disciplina. La stessa Corte di Strasburgo ha ribadito che i requisiti che giustificano l’iniziale applicazione della misura debbano permanere anche durante la sua esecuzione (sentenza del 6/4/2000, Labita c. Italia § 195), Grande Camera della Corte EDU che ha accertato la violazione dell’art. 2, Prot. 4, CEDU) (Sez. 1, 40121/2019).

È ben vero che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 12 L. 1423/1956 (poi trasfuso nell’art. 15, norma a cui è stata estesa la declaratoria di illegittimità costituzionale) nella parte in cui non prevede che, nel caso di sospensione dell’esecuzione di una misura di prevenzione personale a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena del sottoposto, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura (Corte costituzionale, 291/2013).

Ma è del pari vero che l’interpretazione della norma, come emendata dal giudice delle leggi, si è orientata nel senso che (reso chiaro da Sez. 1, 38775/2016) si debba direttamente da parte del giudice di merito vagliare la situazione, attesa la natura del vizio denunciato, considerandosi in concreto che il breve lasso di tempo in cui la persona sottoposta sia restata detenuta, in uno con la reiterazione a breve distanza di comportamenti inosservanti, possa essere ritenuto dimostrativo della sicura insussistenza di modifiche positive nell’atteggiamento della medesima verso il rispetto delle regole del vivere civile, così da escludere la necessità della verifica della perdurante pericolosità sociale, la cui attualità viceversa è già dimostrata nei fatti (Sez. 7, 42385/2018).